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Ioannis Picus Mirandulensis
Libro detto Strega

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  • IL TERZO LIBRO DEL DIALOGO DETTO STREGA
    • IV
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IV

FRONIMO Hieri ti proposi Apistio in essempio quella Mensa del Sole cotanto nominata e ramentata da Herodoto e da Solino, et anchor da Pomponio Mela. Il perché tu debbe sappere qualmente il demonio astuto ne tira assai delli poveri e del rozzo volgo, colli piaceri della gola, oltro della speranza e promissioni delle delettationi carnali. Che cosa possemo istimare vuolessino significare quelle carni poste sovra dell'antidetta Mensa del Sole, de cui ne fa mentione santo Geronimo, scrivendo a Paulino, sicome di una cosa molto volgata e molto maravegliosa? Ma chi cosa fusse non lo chiarisse, né anchor dice che uscisseno le ditte carni fuori della terra, né che salisceno sovra di essa mensa, benché lo dica Herodoto. Vero è che Pomponio Mela e Gaio Solino dicono che erano divinamente portate ditte carni. Ma chi è colui di così rozzo ingegno, che non advertisca come fussero quelle vivande e cibi lusinghevoli inganni da ingannare il gusto della ignorante turba? Et anche chi è colui di così puoco discorso, il quale veda Solino contrario ad Herodoto, et il Mela contrario di Solino, che non conosca come variamente è dimostrata questa superstitione: conciosia che quello scriva, qualmente erano ivi poste le carni nel prato appo della città dal magistrato nella oscura notte, che se mangiaveno nel giorno, e che dipoi era detto da quelli del paese fussero uscite fuori della terra? Egli è ben vero che dice Solino come è quella mensa in un luogo dell'ombre, et è sempre apparecchiata abondantemente di lauti, dolci, et aggradevoli cibi et vivande, delle quali ne può mangiare ciascun che vuole et a tutta sua voglia, e benché ne siano mangiate in gran copia da quelli che ne vuoleno, non dimeno imperò non mai mancano, ma sempre ivi crescono divinamente. Ma Pomponio non dice pur una menoma parola, dove si sia questa mensa, o apreso della città overo nella oscura carcere, eccetto che dice come divinamente ivi nascono li cibi. E benché cotesti scrittori non convienono insieme in ogni cosa, pur imperò egli è fermamente da tutti quelli tenuto senza contrarietà, come è una maravegliosa cosa, et anzi divina l'antidetto Convito del Sole. Il che è molto convenevole con questo di Diana, sorella di Phebo, o del Sole, sicome egli dicevano. Anchora istimo non essere puoco a nostro proposito quello che racconta Pomponio Mela nella Descritione del Mondo, cioè che se ritrova un luogo dovi continuamente rispiandono grandi fuoghi nella oscura notte, et paiono esser ivi quasi esserciti di soldati che occupano ampio paese, et ivi siano fermati, suonando cimbali, tamburini, flauti e trombe, che paiono molto maggiore de quelli che usano l'huomini. Dimostravano anchora una similitudine di convito, l'incantamenti e magiche opere de Olisse, sendo sparso il sangue in torno in torno. Nel quale luogo vi venevono li Demonii, et si demostravano in diverse et varie figure. In qual modo diceva il Vinitore, che conversassi l'anima di Olisse cavata da Homero, coll'ombre et imagini di Protesilao e delli altri baroni, sicome dice Philostrato. Ma hora le scelerate e maladette streghe e stregoni de' nostri tempi cavano il sangue dalli fanciullini, e per maggior parte lo conservano nelli vasi, per fare quel maladetto unguento. E ben che paiono coteste cose assai sofficienti, per haver narrato il detto convito, non dimeno imperò voglio anchor soggiungere la Mensa di Achille.

APISTIO Che cosa serà mo' questa? stiammo pur ad udire.

FRONIMO Non ti maravigliare. Et anchora ti priego non vogli sprezzare quello che voglio narrare, conciosia che non fingo veruna cosa. Il perché se non mi vuoi credere, addimandalo tu a Massimo Tirio. Il che se tu farai, te lo raccontarà, ma anzi te lo dimostrarà colle sue carte scritte, cioè ti narrarà di una certa cosa iscritta per molti secoli, cioè avanti di mille anni, come ne' suoi tempi fu manifesta la Mensa di Achille, che era molto simile a quella delle streghe, dovi dicono che hora vi seggiono, mangiono e beveno.

APISTIO Il mio Fronimo, io credo alle tue parole.

FRONIMO Pur quando anchor non mi vuolesti credere, io ti mostrarebbi il libro dell'antidetto authore e greco et anche latino, che è apresso di me. Nel quale anchor vi è scritto di una certa isola del mare Eussino, dovi è il tempio di Achille. Nella quale sovente è stato veduto da lui esso Achille che ha fatto convito a quelli huomini ivi andavano, e che ha conosciuto Patroclo figliuolo di Thete, et altri demonii e (sicome egli dice) li chori delli demonii, cioè le moltitudini di essi, et ancho have veduto li Dioscuri che danno agiutorio alle navi che pericolavono, acciò io lasci di ramentare quello che esso scrisse, come era consuetudine di esser veduto nello Ilio le forze di Hettore. Ma coteste cose non pertengono al convito delle Lemuri.

APISTIO Non pareno queste cose molto discosto dal convito di Nereo e dell'oceano, delli quali ne fanno memoria diversi poeti.

FRONIMO Pensò il maligno et astuto nemico dell'huomo cotesti velenati conviti, acciò privasse l'huomo dello eccellentissimo convito di Christo, che ha apparecchiato sovra della mensa sua nel suo reamo. Ma hora, vi voglio raccontare non un convito finto e scritto dalli Poeti, ma una maravegliosa cosa già puochi anni passati a mi narrata da un grande huomo, ornato così di eccellente dignità, come di dovitia e di ricchezze. Fu un buon sacerdote nelle Alpi Rhetie, cioè di Germania, già dodici anni fa, il quale dovendo portare il sagrosanto viatico del corpo di messer Giesù Christo ad uno gravemente infermo et essendoli molto discosto, e vedendo di non poterlo così presto portare caminando a piedi, sicome era il bisogno, salì su il cavallo, e legossi al collo in una assai honorevole cassetta di legno il santissimo sagramento, e comenzò assai in freta di caminare, per satisfare al debito suo. Hor sendo alquanto caminato, se gli fece incontra uno che lo invitò a sciendere giù del cavallo et andare con lui per vedere uno maraveglioso spettacolo. Il che imprudentemente egli facendo, per vedere cotesta curiosa cosa, come fu scieso, ecco incontinenti sentì di esser portato per aria insieme con colui che l'havea invitato, et in puoco spatio di tempo se vedì porre sovra la cima di un altissimo monte, dovi era una molto ampia et amenevole pianura, intorniata da altissimi alberi, e con spaventevoli ruppi serrata. Nel mezzo de cui vi si vedevano diversi e varii balli, et ancho tutte le maniere de' giuochi, colle mense apparecchiate di lauti e diversi cibi, et anche se udivano tutte le generationi de suoni e di delettevoli canti, con ogni dolcezza e trastullo e brievemente sentevasi et udevasi tutte quelle cose, le quali suoleno rallegrare li anime dell'huomini. Del che molto maravegliandosi il buon e semplice sacerdote, e pur non havendo ardimento di parlare per la gran maraveglia, e sendo mezzo fuori di se istesso, gli fu chieduto dal compagno che l'havea condotto quivi, se vuoleva adorare e fare riverentia alla Madonna che era ivi, et ufferirli qualche duono, secondo che facevano l'altri. Era a sedere nel mezzo una bellissima Reina ricamente vestita, sovra di una reale segge, a cui se presentava ciascun a duoi a duoi, o a quattro a quattro, con vario ordine a reverirla e ad adorarla, presentandoli diversi duoni. Hor udendo costui ramentare la Madonna e vedendola ornata di tanto spiandor e da tanti sergenti servita, istimò, che la fussi la gloriosa madre di Dio e Reina del cielo e della terra, conciosia che non sapeva, che coteste cose fussero inventioni e ritrovi delli demonii: il perché, se lo havesse istimato, non vi serebbe andato. Hora fra se ben pensando che cosa gli dovesse presentare, pensò di non puoterle offerire più aggradevole presente alla madre, che il corpo sagratissimo del suo unigenito figliuolo, e così andò dove sedeva quella, et adorolla inginocchiandosi alli piedi, e dipoi, levandosi dal collo la cassetta dove era il sagratissimo corpo di misser Giesù Christo, divotamente vi la pose nel gremio. Odi cosa meravigliosa: ecco che incontinenti, come la hebbe posta sovra del gremio di quella Reina, così presto sparui la segge di oro e la Reina eravi su, con tutta quella moltitudine et con ogni cosa che pareva ivi, e più non fu veduto pur un puoco di vestigio di quelli, né delli conviti, né delli giuochi, né apparvi quello che fusse fatto del compagno. Hor conoscendo il semplizzotto prete come fusse stata questa cosa opera del Demonio, tutto smarrito e mezzo fuori di se stesso, comentiò di pregare Iddio, che non lo abbandonasse in quelli silvestri luoghi, privi di ogni habitatione de mortali. E così, girando hor indi e quindi l'occhi, andando mo' qui, mo' lì per quelli aspri luoghi per vedere se puoteva ritrovare qualche vestigio di huomini, acciò puotesse intendere dove fusse, e ritrovandosi sempre in maggiori ruine e boschi e selve, al fin pur tanto camino per quelle precipitose ruppi, che dopo molto longa fatica e dopo longo spatio di tempo con gravi affanni, ritrovò un pastore, da cui intese, come era discosto da quel luogo dove andava a portare il corpo di Christo da circa cento miglia. Poi che fu ritornato con gran strachezza alla sua habitatione, andò dal magistrato di Massimiliano Imperatore e raccontoli il tutto per ordine, sicome hora io ho narrato. Ma che coteste cose posson essere fatte dal demonio, te lo dirano li theologgi, li quali mostrano come la natura delli corpi è ubbediente alla volontà delle sostantie separate dalla materia, quanto imperò partente al movere da luogo a luogo. Anchora puotrai intendere assai essempii delli corpi humani portati per aria, da luogo a luogo, se tu vuorai, dalli libri di frate Arrigo et di frate Giacopo Thodeschi, eccellenti theologgi dell'ordine de Frati Predicatori, chiamati Il maltello, lo quale fecero, confirmandolo con assai testimonii di molte cose che essi videnno colli proprii occhi. Lo quale maltello puotrai havere, se tu lo vuoi usare contro di quelli, che sono duri, e non vogliono credere il vero, accioché tu li pieghi a dover credere quello che sono ubbrigati, overo li spacchi in cento migliara de pezzi.

APISTIO Certamente ho udito una maravigliosa cosa, la quale non può offuscare la nera notte, né ancho se può dire che fusse un sonnio, né che sia suta confessata per paura, overo per martorio o per qualche altra finta cagione. Ma vorebbi intendere da che puote procedere che sparissino tutte quelle cose nel toccare di quella hostia sagrata, conciosia che li demonii non solamente non temano il toccare di quella, ma ancho cercano e comandano che siano portate assai di quelle al giuoco, e dipoi ne fanno gettare in terra con grandi scherni, e li fanno dare sovra delli piedi, e li fan fare tutte quelle vergogne si posson fare, sicome disovra ha narrato la strega.

DICASTO Tu non ti debbi per questo maravegliare, conciosia che sapiamo come se spaventano e' demonii per il segno della santissima croce, e nondimeno anchora qualche volta appariscono in figura di Christo crocifisso, acciò più facilmente posson ingannare l'huomeni. In verità ti dico che tu non ti maravegliaresti se tu havessi letto le opere e la vita di santo Martino, e di s. Francesco e di molti altri santi, e se ancho tu havessi ben essaminato come messer Giesù Christo, sendo anchor in questa mortale carne, il quale scatiava li demonii, si lasciò tentare ad esso demonio, e gli permesse che lo portasse sovra del pinnacolo del tempio, e de indi poi sovra del monte, et anche permesse maggior cosa, cioè che fusse maltrattato da quelli perfidi Giudei servi del demonio e tormentato et ultimamente crocifisso. Oltre de ciò, tu presupponi che le streghe narrano che li demonii conculcano, e diano delli piedi sovra delle hostie consegrate, ma non è così, conciosia che non fanno cotesto li demonii, ma è ben vero che lo fa questo la malegnità dell'huomini, a suggestione di essi demonii. Anchora credo che così come fa la fede insieme con la riverentia che fanno l'huomini in essa santissima croce, e nella sagrosanta hostia consagrata, che il maladetto demonio se ne fugge, così anchor vi facci fare tanti vituperii esso per la gran malitia de essi e per il vituperio li fanno. Ma quanto al semplicetto prete, credo che fussi la semplicità di quello cagione che sparessino tutti quelli apparecchiamenti e tutte quell'altri cose, e maggiormente la forza della fede fece che non solamente non fu ingannato in suo danno, ma anchor fece che fu perservato, acciò puotesse narrare alli altri e dechiarare come quella cosa, de cui hora pariamo, che pareva esser molto dubiosa, cioè se le streghe e stregoni vano al giuoco con il corpo o vero solamente con la fantasia et imaginatione, overo se vi possono andare, può esser vera, et è vera e non una imaginatione. Anchor permette alcuna volta la possanza de Iddio, che sia schernito il sagramento e la croce e l'altri cose divine et alcuna volta no: segondo che a lui pare. E perché lo fa, se può sempre dare qualche ragione in generale, ma non se può imperò sempre isplicare in particolare, conciosia che è tanto rozzo e grosso l'occhio dell'intelletto nostro a dovere investigare li secreti della divina magiestà.

APISTIO Hormai son satisfatto con queste ragioni e ritrovomi contento, sendo uscito delle nere et oscure caverne delle dubitationi.

FRONIMO Ben vedi se tu hai altro dubbio, e sù presto chiede la chiarezza a Dicasto, perché già gli molto possenti e veloci cavalli quasi hanno tirato il carro del sole appo del suo segno, quanto al nostro hemispherio: acciò non bisognasi poi remanere qui cotesta notte, sendo serate le porte del castello. Il perché staressimo molto male agevoli, questa notte dell'inverno, in cotesto monastero a pena comenzato, dovi non si ritrova ancor verun letto.

APISTIO A mi pare che non ci sia altro da chiedere, eccetto che delli venificii o siano incanti.

DICASTO Di che cosa dubiti?

APISTIO Se sono fatti veramente o pur che paiono esser fatti solamente con la imaginatione. Conciosia che assai ha manifestato la forza della divina giusticia, sempre giusta e non sempre conosciuta, perché Iddio alcuna volta permette, se pur se fanno, et alcuna volta il prohibisca.

FRONIMO Non te ricordi di Lucio samosateno, e di Lucio madaureso?

APISTIO Si ben. Et ancho mi ricordo di avere alcuna volta letto dette cose, et anche già duoi giorni fa le ho udito ramentare a te. Ma egli è ben vero che dubito assai non siano favole e che in verità non fussero fatte così quelle cose che se narrano in quel Asino greco et anche latino.

FRONIMO Così come io non dubito che siano assai cose finte, e molto più di quello che so et anchor, se pur così vuoi, che siano tutte quelle cose che sono ne' detti libri favole et imaginationi, così anche credo che dette favole e fittioni siano cavate da qualche vero fondamento. Conciosia che il nostro divo Aurelio Agostino istimò che quelle trasformationi e tramutationi iscritte da Varrone, cioè delli augelli di Diomede, delle bestie di Circe e delli lupi di Archadia, pigliassono origine e principio da qualche cosa vera. Et anchor racconta nel decimo ottavo libro della Città di Dio, come era usanza ne' tempi suoi di fare molte cose assai simili a quelle che narra o vero finge Apulegio. Vero è che dice come gli demonii non possono fare veruna cosa con la forza della sua natura, se non la permette Iddio. Li occolti giudicii di cui, sono infiniti, e non vi si ritrova imperò verun di essi ingiusto. Il perché, se pare che li demonii faciono qualche cosa simile a quelle che ha creato l'omnipotente e vero Iddio, e che pare che mutano una specie di uno animale in un'altra, o vero tramutano una creatura in un'altra, non è vero che così sia; ma è ben vero che così fa apparere, o vero imprimendo dette specie e figure finte nell'imaginatione e fantasia, o vero mettendo avanti li occhi corporali un'altra finta specie e figura. E così qualche volta parerà a colui che ha conturbata la fantasia, di esser una cosa in luogo di un'altra, et il simile parerà all'altri; nondimeno serà imperò quel medemo, o vero gli preporà una similitudine avanti l'occhi, la quale di continuo gli farà parere essere così, e così crederà di esser veduto anche dall'altri. E cotesta non è gran meraveglia, perché se un corpo può ingannare li sentimenti corporali e farli parere una cosa altrimento di quelo che è, sicome vediamo che fa il vietro, il quale imprime quel suo colore nell'occhio per cotal modo che fa parere tutte l'altre cose simile a sé nel colore benché siano altrimento in sé colorate; quanto maggiormente i spiriti ignudi da ogni corpo, cioè li demonii, puotrano conturbare la fantasia et ingannare l'occhi e l'altri sentimenti delle creature inferiori? E così, in cotesto modo, istimarai fussero quelle opere di quei asini, e di quella specie di quello prestante cavallo che portava li grandi pesi, la disputatione del philosopho che disputava senza corpo le cose di Platone, le astute opere delli lupi di Arcadia, e li versi di Circe che trasformarono li compagni di Olisse. E così tutte coteste cose se debbono attribuire al spirito imaginario, overo alla fantasia, che così era ingannata, a cui pareva essere quella cosa che non era. Il simile anchor diremo della cerva in vece de Iphigenia, e li augelli in vece delli compagni di Olisse: cioè, che fussero poste simili imagini e figure dalli demonii avanti l'occhi dell'huomini, o pur anche forsi vi fussi posta una vera cerva et anche veri augelli, non vi apparendo Iphigenia né li compagni di Olisse, o sendo ivi presente o vero portati in altri luoghi.

DICASTO O quanto ben, e quanto brievemente hai tu raccontato quelle cose di santo Agostino, e non manco vere, sicome io istimo. Egli è ferma conclusione tenuta dalli theologgi qualmente sono soggietti naturalmente i sentimenti dell'huomini e la imaginatione e fantasia, alla possanza delli demonii, perché sono essi sentimenti e imaginatione, inferiori e manco nobili di dette sostantie separate e prive di ogni corpo, e così, sendo più nobili, gli sono soggiette queste cose men nobili. Il perché anchor voglio narrare alcune verissime cose, a cotesto proposito, per confermare quello che havemo detto. Egli è raccontato nelle Vite de' santi Padri, come fu acconciata una giovene per incanti in cotal modo che pareva una sfrenata cavalla. Il perché sendo presentata avanti di santo Machario, per le orationi di esso fu levato davanti l'occhi di ciascun quel prestigio e quella illusione del demonio, e così pareva in quel modo sicome era in verità. Puotè il demonio commovere li interiori sentimenti a molti, alli quali pareva fussi altrimente quella meschina giovine di quello che era, ma non puotè movere imperò essi sentimenti interiori di santo Machario, fortificati principalmente con lo adiutorio di Iddio, a farli parere quello che non era. Anchor non astregneva la finta figura di quel huomo, che pareva uno asino nella città di Salamina della isola di Cipro, li occhi di ciascun che lo vedeva da istimare che'l fusse un asino, eccetto di quella donna maga et incantatrice, la quale gli havea per tal modo conturbato la fantasia colli suoi maleficii, che anche a lui pareva di esser doventato uno asino, e così portava le legna in vece di giumento. Vero è che fu agiutato per prudentia di alcuni mercatanti genovesi, li quali vedendolo inginocchiare e prostrare in terra avanti la porta della chiesa per fare riverentia ed adorare Iddio, istimarono che quello non fusse una vera bestia, e così cercarono di agiutarlo e di fare portare la meritevole pena alla incantatrice. In verità vi dico che possono fare li malegni demonii apparere molte cose altrimenti di quelle che sono, e possono movere molte cose e rappresentarle nella fantasia, e fare parere una cosa in altro modo di quello che è et anchora fare il simile nelli corporali sentimenti, in un medesimo huomo. Oltro di ciò, occorre che sono ingannati li occhi di quelli che vedono, et ancho è conturbato l'occhio della mente, sendo mossa la imaginatione. Anchor, sicome già avanti dicessimo, può esser portato il corpo per diversi luoghi. Il perché interviene che quelli, li quali non ben e sollicitamente essaminano queste cose a parte per parte, facilmente sono ingannati, e così, non ben chiaramente considerando li libri delli dotti e litterati huomini, non posson drittamente giudicare quanta differentia è fralle cose create e quelle che uscisseno da qualche natura delle creature, e fra quello che è intiero e quello che è parte, e fra il vero e quello che è simile al vero, e quello che dimostra la sua imagine e quello che dimostra quella d'altrui. E non ben pesano con la giusta bilanza la forza di tutta la natura, né la possanza delli demonii. Et al fine ancho non considerano li giudicii de Iddio, li quali spesse volte sono occultissimi a noi, ma imperò sempre sono fatti con somma giustitia.

FRONIMO Hormai se appropinqua la sera e già comencia di apparere la oscura notte, il perché l'hora tarda ci invita di ritornare a casa. Sicché, Apistio, se non sei satisfatto per questa nostra longa disputatione, non posso più veder che cosa dobbian fare acciò possi esser contento. Conciosia che tu hai possuto conoscere come questo maladetto et iscommunicato giuoco non è fittione né favola, così per li libri dell'antichi, come per l'opere fatte ne' tempi nostri; e come egli è in sostantia antichissimo e nuovo per molte conditioni; et che è stato mutato secondo la maligna e perversa volontà delli demonii, e forsi anchor lo mutarà, perché è tanta la astutia e suttilità di esso iniquo ingannatore dell'huomini, che continuamente cerca nuovi modi da posser ingannare noi. Ho dimostrato a te li cerchi, li unguenti, le parole magiche et incanti, li viaggi per li grandi spatii dell'aria, li lascivi e libidinosi piaceri delli demonii, che si sono ritrovati così ne' tempi nostri, come ne' tempi delli baroni antichi. Et ho dimostrato qualmente pensarono li perversi demonii di dover calonniare e vituperare l'humana generatione dalla prima antiquità, cioè dal primo huomo, per infino ad hora. E come ha ingannato l'huomo colle sue resposte, colli ragionamenti, con la familiarità e dimestichezza, e come ha cercato per ogni via e modo di ingannare ogni sesso et ogni età colli simulacri e varie imagini, et che se è sforzato di usurpare la divinità e farsi adorare come Dio, et che ha fatto nuocevoli conviti alli mortali, et che li ha portato a similitudine di un giumento che habbia le ali, e come ha desiderato di haver li sceleratissimi piaceri carnali colli huomini. Ma perché io ti veggio hora molto stracco per tanto viaggio che hai fatto con l'animo tuo in diverse regioni e paesi della Italia, della Sicilia, et oltro del Ionio mare, e dello Eusino, et anchor perché te ho condotto colli miei ragionamenti nell'Africa, nell'Asia, e per infino alli Hiperborei Monti, e dovi non ti ho condotto? Il perché serà homai tempo ne debbi ritornare meco a casa.

APISTIO Tu di' il vero, sì ben hormai è hora. E così teco ne vengo, e molto satisfato.

DICASTO Sei tu dunque contento di quello che havemo detto? Et in verità ne vieni nella nostra oppenione?

APISTIO Sì, certamente son contento, et in verità vi dico, che credo quello che è stato detto.

DICASTO Di' tu pur da dovero, o per giuoco?

APISTIO Può esser questo, Dicasto, che tu istimi che io dica quello per iscrizo e giuoco, che ha creduto tutta la antiquità e tutta anchor la posterità? Io dico quello, che ancho confermano colli isperimenti et essempii li poeti, oratori, historici, leggisti, philosophi, theologgi, l'huomini prudenti, li soldati, li rustici e contadini; benché se ritrovano alcuni savioli, li quali, riputandosi più dotti e savii di tutti l'altri, che questo niegano.

DICASTO Dunque, sicome io vedo, tu hai mutato oppenione?

APISTIO Che bisogna più affirmarlo? Già te l'ho detto. E così, perché io ho vestito l'animo mio di un altro habito e vesta, e pare a me di haver ritrovato la verità di quello che prima non credevo in questa cosa, giacendo nella nera et oscura tenebra della ignorantia e della falsità, desidero grandemente di mutare il nome e di pigliarne un altro convenevole a questo nuovo habito, de cui hora son vestito.

DICASTO Molto mi piace. E così, per satisfare alla tua honesta voglia, ti darò un nome conveniente sì come addimandi. Dunque, per lo avenire serai chiamato Pistico.

APISTIO O quanto a mi piace questo nome. Hora così per ogni modo voglio esser chiamato.

FRONIMO Se più non ci resta cosa alcuna de cui tu habbi desiderio de intendere, egli è hora che ci partiamo, con buona licentia del Reverendo Padre Inquisitore, e che presto presto retorniamo al castello. Il perché, vale, reverendo padre.

DICASTO Ite in pace.


 




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