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Pietro Verri Diario militare IntraText CT - Lettura del testo |
Voi sarete maravigliati, come lo sono io stesso, dal ricevere anche sotto questa data mie nuove da Vienna. Vi avviso però che parto, ed ho ottenuto d'essere al quartier generale, almeno con probabilità, lo spero. Prima di dirvi come ciò sia accaduto, vi dirò qualche cosa della vita ed osservazioni che ho fatte su questo paese. Sono ammesso in molte case; dove vivo con qualche piacere è da monsignor Crivelli, buon uomo che ha buona tavola, che accoglie bene i suoi patrioti, e si vive con discreta libertà; ha seco due nipoti che hanno buone maniere. Nelle altre case mi annoio, ma ci vado. Generalmente questi signori Austriaci ci guardano come provinciali, come li Inglesi guarderebbero li Americani loro sudditi. Un galantuomo di merito e modesto può guardarsi come perduto, non s'accorgeranno mai che un uomo abbia cognizioni e spirito s'egli medesimo sfrontatamente non glielo ripete, e non conviene ributtarsi per freddezza o sgarbo, ma instare, proseguire, farsi avanti e parlare alto, fermo e decisivo. Io vedo uomini ben da poco, che con questa scuola vengono festeggiati e ben accolti. A me non fa invidia alcuna il loro destino e non comprerò mai le distinzioni con quest'arte. Passerò per un uomo comune, anche meno se si vuole, ma sarò sempre io stesso e non discenderò all'impostura. Ho osservato che in questa città capitale non vi son forestieri di sorte alcuna, se non quelli che per officio o speranza vi soffrono il soggiorno. Nell'Italia, in Toscana, a Napoli, a Roma, e così via, quanti forastieri vi soggiornano per puro genio di vivere in quella società piuttosto che altrove; ma qui vengono Inglesi, Francesi e Italiani per poter dire di esservi stati nei loro viaggi, e dopo pochi giorni se ne vanno. Si credono di buona fede questi Austriaci superiori al restante d'Europa, se ne eccettui Parigi e Londra, che hanno i loro partigiani anche qui. Quante siano poi nelle biblioteche le opere d'ingegno prodotte in questo clima e da questi nazionali, non saprei, non conosco un celebre pittore, non un architetto illustre che sia da annoverarsi fra li Austriaci, e nemmeno saprei se in tutta la monarchia abbia la casa d'Austria una città che sia paragonabile a Milano per ogni riguardo. Comunque sia, l'opinione di un paese non si affronta da un uomo solo, conviene soffrirsela in pace e sentirsi talvolta di riverbero rimproverare d'essere italiano. Se non sapete il tedesco, vostro danno, essi non hanno l'attenzione che abbiamo noi in Italia di usare del francese quando vi sia un forastiere che non sappia la nostra lingua, non s'incomodano punto perciò, vi invitano a pranzo, le tavole sono assai ben servite, ma talvolta vi è un silenzio stupido che vi annoia mortalmente nel tempo che pure altrove è destinato alla giocondità e alla amicizia. Le figlie nubili sono cortesi ed officiose, un forastiero che possa ammogliarsi è festeggiato da esse, le doti sono povere, e per una figlia si tratta di passare all'esistenza col trovare un marito; conviene però essere assai cauti, poiché per poco che vi addomesticate in semplici frequenze di parlare, vi faranno un'imboscata, vi accuseranno di mancare alla parola che non avete data, e potreste essere esposto ad un affare disgustoso anche in faccia della Corte, così è accaduto a varii italiani. Ordinariamente avviene che gl'Italiani generosi restano enormemente gabbati da questi Austriaci. Noi siamo in concetto di furberia; questa opinione ingiuriosa, l'italiano ben nato cerca di superarla con una decisa ingenuità e buona fede. Il costume rozzo e pesante di questa gente non ci rende cauti, non si teme l'insidia, e allora siamo enormemente traditi e nelle compre e ne’ contratti, nel giuoco, nel commercio colle figlie. Vi è tutto da temere, e non si falla mai se si esibisce la decima parte di quello che viene domandato, e se si sta cauti al giuoco, il quale non è indifferente, perché le signore della prima sfera non dimenticano nel giuoco tutti i vantaggi ai quali un'italiana non oserebbe né meno pensare. Il lusso è enorme, i mezzi sono scarsi, a tutto si mette mano per sostenere la pompa e la vanità.
Le dame qui non sono tanto riverite come da noi. Se siete al teatro od altro luogo pubblico nessun uomo abbandona il suo posto per cederlo ad una principessa che venga dopo; se si vede scendere o salir le scale una dama, non si usa di servirla in modo alcuno, ciascuno pensa a sé. Le donne in generale sono più franche e ardite che in Italia, la loro educazione le rende disposte a correre la città sole a far le compre per le botteghe, ed assai cosa rara è il veder sul viso d'una donna quell'imbarazzo, quel rossore, quel fiore di sentimento che dà il maggior vezzo al sesso amabile. Basti il dire che la maggior parte delle funzioni del carnefice è sulle donne che assassinano, rubano e si abbandonano ad ogni sorta di delitto. Persino le donne di partito in Italia, in mezzo all'abbandono de’sentimenti al quale le porta il loro genere di vita, conservano un non so che di nobile per cui si deve offrir loro la mercede del loro corpo con certa qual disinvoltura, sicché abbia l'apparenza di essere fatto per genio quell'atto che, secondo la natura, non dovrebbe appunto esser fatto che per esso. Qui il contratto è spaccato, e mi si dice che nell'atto medesimo della delizia non avrà difficoltà la vostra bella di replicarvi: “Mi darete bene uno zecchino!”
Il modo di fabbricar le case, d'ammobigliarle, di mangiare, di vestire è quasi uniforme presso i cittadini. Chi vede una casa può dire di averle vedute tutte. Pavimento di tavole; porte con serrature tutte uguali; finestre presso a poco della stessa misura, la soffitta piana coperta di stucco, tutto è uniforme. In Italia ciascuno ha la sua idea e fabbrica chi a vôlta, chi a soffitta, chi a finestra, chi a terrazzini a modo suo, e questa feconda varietà e capricciosa diversità qui non si vede, onde li alberghi paiono piuttosto fabbricati per istinto che per fantasia. Credo che i cibi del popolo e i loro alloggi siano i medesimi che erano ne’ secoli passati. Grand'uso v'è di sacre immagini, e statue gigantesche di santi e grandi aspersioni di acqua benedetta, e grandi preghiere nelle chiese di fanciulli che vi stordiscono, e grandi illuminazioni di candele che le donne accendono sulle panche della chiesa per riverenza alle imagini che hanno nei loro libri di preghiere; vi è parimente nell'insegne delle stesse botteghe dei pezzi tutti in gigantesco come fanno i cavadenti da noi. Tutto mi fa vedere che hanno bisogno questi abitanti di oggetti che vastamente percuotano i loro sensi per accorgersi che esistono. L'ordine della città però in parte mi piace. Le guardie che vegliano la notte per le strade, l'illuminazione di Vienna la rendono sicura di notte, sicché potete andarvi con l'oro in mano. Le carrozze di noleggio sempre pronte e numerizzate sono d'un gran comodo. Il vitto non è caro né dispiacevole, l'alloggio è comodo e tutto è in certa regola e simmetria; meglio che a Milano. Solamente m'incomoda che quando meno si crede bisogna avere la borsa alla mano. Sia che passate le porte della città ad una certa ora, che andate al teatro o che giuocate una partita tutto si paga al momento. A Milano posso uscire senza mai aver meco denari, a Vienna se ho dimenticato la borsa bisogna che me ne torni a casa a prenderla. Queste in breve sono le poche idee che mi ha fatte nascere la vista di questo paese. Vengo a me. Periodicamente mi lasciavo vedere la sera dal ministro pel fine che vi dissi; ma un giorno dopo l'altro passava senza risoluzione; avvertito che non bisogna infastidirlo, mi trovavo imbarazzato vedendo avanzarsi la stagione. Giorni sono fui dalla contessa d'Harrach, la quale mi chiese del mio destino, le manifestai il desiderio di sbrigarmi e il motivo che mi tratteneva. Essa si offerse di parlarne l'indomani al conte di Kaunitz, il quale, essendo giorno non so se di sua nascita o nome, veniva a pranzare in amicizia da lei. La sera al solito mi trovai dal ministro; vedo che mi adocchia più del solito, m'accosto verso di lui, egli verso di me e mi apostrofa a tal guisa: - Siete voi quello che va dicendo per Vienna di non poter partire per cagion mia?... - L'esordio detto con maestà non era piacevole; decisamente risposi. - Eccellenza, sí son quello, perché aspetto ch'Ella si degni decidere sulla supplica mia per servire al quartier generale. - E che volete, disse il ministro, che sua maestà vi trovi il generale presso del quale servire? - Non questo, risposi, ma unicamente che l'eccellenza vostra si degni o di farmi avere il permesso da servire come volontario al quartier generale, ovvero di negarmelo. - Rispose che mi avrebbe dato una lettera per il maresciallo Daun. Questo è quello che io cercava e lo ringraziai. Vedete però che il modo era un po' duro, e per un italiano sensibile non è il più aspettato in ricompensa della somma delicatezza usata nel non infastidirlo; spendendo frattanto inutilmente i miei soldi e a Praga dove ho il mio equipaggio, e qui. Ma ringrazio il cielo perché son fatto in modo che quando sento che un uomo ingiustamente mi vuole abbassare, mi sento raddoppiare l'animo e la franchezza in corpo, e perdo tutte quelle delicate misure che son naturali con chi le usa meco. Insomma, domani o dopo al più avrò la lettera, mi son raccomandato al signor Du-Beyne che deve stenderla e sarà fatta in modo che spero di restare presso il maresciallo. Subito avutala, partirò. Frattanto le armate sono state nell'inazione, spero che giungerò in tempo. Ma se la disgrazia portasse che dovessi far la campagna nella cattiva compagnia del reggimento Clerici sarei ben malcontento, sarebbe un'annata di mia vita passata male senza farmi conoscere da alcuno, senza imparar nulla e gettando senza frutto la sanità, il tempo e i denari. Vi abbraccio.