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Pietro Verri
Diario militare

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Görlitzheim, 14 luglio, 1759.

 

Eccomi alla grande armata del maresciallo Daun, oggi verso mezzodì vi sono giunto, partii da Praga il giorno 12, e prima di mettermi a dormire vi scrivo anche le cose più minute a ciò che conosciate esattamente gli oggetti tanto da vicino come li vedo io stesso. Da mezzodì a questa parte già qualche strana cosa mi è capitata. Giungendo all'armata non vi ho conosciuta veruna regolarità; di tratto in tratto ho incontrato tende di vivandieri e mercanti; chiesi del quartier generale e mi fu indicato. Promisi di regalare il postiglione affinché restasse coi cavalli in un prato colla mia gente e col mio carrettino, sul quale ho la tenda, il letto e qualche mio arnese, perché, non sapendo se vi sia al campo il mio Federico co' miei cavalli, non sapevo di quali servirmi per collocare al mio alloggio l'equipaggio. Poi preso meco il cameriere di Vienna, m'incamminai alla casa ove alloggia il maresciallo. Avanti la porta di quella casa eravi, come sempre, una compagnia di granatieri con due sentinelle. Entrai. Tutto era in moto pel pranzo. Un ufficiale dello stato maggiore interrogato da me se si poteva presentarsi a Sua Eccellenza, rispose che andava allora a tavola, e conoscendo ch'io era un ufficiale che veniva da Vienna, e che aveva una lettera pel maresciallo, pulitamente mi invitò a pranzare ad un tavolino con lui e un altro aiutante generale, che poi finito il pranzo mi avrebbe annunziato. Accettai l'invito e fummo serviti bene. Durante il pranzo chiesi a quei due che erano del quartier generale, se l'inimico che avevamo di fronte fosse il re ovvero il principe Enrico, non lo sapevano; se era lontano o vicino, se era forte più o men di noi, a quanto ascendesse la nostra armata, a nessuna di queste questioni seppero né l'uno né l'altro rispondere, eppure uno era aiutante generale del maresciallo, l'altro aiutante d'ala. Terminato il pranzo, l'aiutante d'ala mi chiese nome, qualità e reggimento per annunziarmi, poi mi disse che s'immaginava che avrei fatto la mia campagna al mio reggimento; risposi, dipenderà questo dalla volontà del signor maresciallo. - Oh, il maresciallo, soggiunse egli, sicuramente lo manderà al reggimento. - Con questa bella prevenzione mi scortò alle stanze superiori ove era la gran tavola, e mi introdusse nel momento in cui s'alzavano da tavola. Ero prevenuto che il maresciallo Daun fosse sommamente altero, ma da quanto m'è accaduto non posso dirlo. Mi ha ricevuto con cortesia, gli ho presentata la lettera del conte Kaunitz, un'altra della contessa Simonetti, e lettele mi fece varie interrogazioni intorno il teatro di Vienna, intorno Milano e la signora contessa, con grande meraviglia di molti generali e signori che, facendo circolo, ascoltavano il dialogo. Alcuni cominciarono a mirarmi bieco, non so bene perché, forse perché non avendo il ventre gallonato, osassi rispondere in loro presenza al maresciallo; ma io gli squadrava con eguale franchezza e non m'imbarazzava di essi. Dopo ciò la conversazione cangiò, ed io mi sottrassi al circolo e mi posi alla porta ove doveva passare il maresciallo. Lo abbordai umilmente al passaggio, e lo supplicai a decidere di me ove dovessi fare la campagna. - La scelta dipende da lei, rispose il maresciallo cortesemente. - Io sarò al colmo dei miei voti, soggiunsi, se avrò il bene di servire immediatamente presso di Vostra Eccellenza. - Mi ringraziò della mia ufficiosità, e immediatamente ordinò ad un generale aiutante che mi venisse assegnato il quartiere. Ecco svanita la mia inquietudine ed ottenuto il fine propostomi. V'assicuro che questo mi ha veramente allargato il cuore, pensando che niente avrò più a che fare con quei signori del reggimento, mezzo italiani e mezzo intedescati, che hanno i difetti delle due nazioni. Avevo premura di conoscere il mio quartiere e collocarvi la roba mia che avevo lasciato sul prato col postiglione. L'aiutante generale adunque scrisse un ordine al colonnello quartier maestro, in cui venivagli comandato d'assegnarmi un quartiere per essere io fissato al quartier generale. Questa cedola fu consegnata ad un sergente d'ordinanza, col quale mi venne voglia d'incamminarmi per disbrigare più presto il mio affare. Intesi che il colonnello quartier maestro era discosto quasi una mezz'ora di cammino, ma non m'increbbe, e giuntovi dissi al sergente che gli presentasse la cedola e gli dicesse che ero venuto per visitarlo; mi fece poi entrare. Stavasi il colonnello a sedere col cappello in testa nella casa d'un villano ove alloggiava, e appena cavatosi il cappello se lo ripose e mi chiese chi ero, poi di qual reggimento, poi voleva il mio rango; alla terza interrogazione tanto incivile, alla quale lasciava che io rispondessi in piedi e scoperto, mentre egli non si era mosso dal suo sito, risposi ponendomi il cappello e sedendo. - Signore, non sono venuto per subire l'interrogatorio. Il nome, la qualità e tutto sta scritto nella cedola che il maresciallo le invia affinché mi dia un quartiere. Io non son venuto che per usarle una civiltà, se vuol riceverla. - Sin qui il nostro discorso era stato in francese. Allora il colonnello cavò il cappello, si alzò, mi chiese se ero italiano, si mostrò molto amico degli Italiani, e finì per disporre subito pel mio quartiere. Voi vedete adunque quale è il tuono di società di questi signori. Partii buon amico, trovai il mio nuovo albergo, mi aveva fatto scusa il colonnello che essendo già l'armata collocata ove siamo, non poteva darmi per ora che un quartier cattivo, ma che nelle altre marce vi rimedierà. Trovai modo di far collocare i cavalli e condurre la mia roba al quartiere, che è veramente un meschino tugurio d'un povero contadino, e non so come vi potrò stare. Poi mancavano ancora almeno due ore al finire del giorno, mi sentivo bene ed allegro, non sapevo che fare, e pensai di visitare il reggimento Clerici, e vedere come sarei stato accolto da quei signori. L'armata si vede bene dal mio quartiere, è un bel colpo d'occhio, e solo mi incamminai al campo. Prima di chiudere e mettermi a riposo vi voglio raccontare l'accoglienza avuta.

Dopo aver trovato che gli aiutanti generali non sanno dire dove, come e quale sia il nemico che di qui non si vede, non mi fece più meraviglia il girare il campo e chiedere conto a quanti incontravo dove è il reggimento Clerici, senza trovare un'anima che me lo sapesse indicare. Eppure un reggimento non è un ago da smarrirsi, e dopo anni che si guerreggia vi parrà impossibile che i soldati ed anche gli ufficiali non conoscano l'esistenza d'un reggimento, ma la cosa è così: passeggiai molto lungo l'armata, sempre cercando ove fosse il reggimento Clerici, e non lo seppi allora che la ventura mi vi fece cadere. Ascolto parlare italiano, osservo l'uniforme, ecco il famoso reggimento. Cerco della tenda del signor colonnello Ferretti, mi viene indicata, ed io mi presento dicendo, se era permesso al conte Verri d'inchinarsi al signor colonnello. - Oh, signor capitano, rispose egli, è giunto ben tardi, cosa ha avuto a Vienna, è stato forse ammalato? - Sanissimo sempre, risposi, forse è accaduto qualche fatto d'armi del quale non si è saputa la nuova? - Ma lei, soggiunse, doveva venir prima. - Il signor colonnello, diss'io, sta bene? me ne rallegro. - Poi mi interrogò il colonnello se avessi meco la mia tenda. - La tenda! risposi, ed a qual uso? - Bisogna, soggiunse egli, averla se non vuol dormire a ciel sereno. - Oh per questo poi frattanto vi rimedierò e dormirò in qualche alloggio di contadino. - Questo non si può, non lo permetterò mai. - Ma, signor colonnello, vuol ella ch'io stia alla pioggia a dormire? - Suo danno, si cerchi una tenda! - E perché non potrei frattanto stare in qualche casuccia da villano? - Io le dico di no, che non lo voglio. - Ma lei, signor colonnello è meno cortese del signor maresciallo... - a questo nome restò come attonito. - E come, replicò, ha ella parlato al signor maresciallo? - Sicuramente, soggiunsi, e crede il signor colonnello che vorrei venire all'armata senza prima presentarmi a chi comanda e a lei e a me? - Ed il signor maresciallo, disse il colonnello, le ha permesso d'alloggiare in una casa? - Signor sì, in una casa. - Dunque ella è al quartier generale? - A questo scongiuro diventò l'uomo il più ufficioso, m'invitò a pranzo per domani, mi fece cento cortesie. Amico, credo che costoro facciano automaticamente il mestiere del soldato per necessità. Che vivono come frati al loro reggimento e il nome di quartier generale loro impone. Forse non osano mai presentarsi al comandante. Credo che lo scopo fosse di tenermi al reggimento per avere la mia tavola e per impedire ch'io mi faccia degli appoggi. Ora è sventato. Che gente, amico, guai ad aver bisogno di essi! Vedete se in quest'oggi ho avuto degli oggetti per me interessanti. Sono stanco, chiudo la lettera abbracciandovi di cuore.

 

 

 




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