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Pietro Verri Diario militare IntraText CT - Lettura del testo |
Da che vi ho scritto, poco è accaduto di nuovo, siamo marciati avanti e indietro, abbiamo accampato in diversi luoghi, a Penzig, a Rothenberg, a Priebus, a Triebel, a Muskau, a Forst, poi nuovamente a Triebel, poi a Eskerswalde, poi qui. La prima volta che ho potuto vedere i Prussiani è stato il giorno 2 del corrente. Almeno questa volta siamo stati avvisati. La sera di sabato scorso, giorno 1, al quartier generale si disse: "Domattina prima di giorno tutti i carabinieri e granatieri dell'armata marceranno verso Sorau. Li equipaggi a ruota resteranno indietro". Non v'era dubbio che dovevamo batterci, ed io mi trovai meno sensibile a questo affare che non ho lo fui l'altra volta, forse vi contribuì il non esservi mistero. Venni al mio quartiere, mi posi per tempo a letto, e mi raccomandai singolarmente a Giuseppe perché nella piccola valigia che porta il palafreniere, solo equipaggio che doveva servirmi, vi riponesse le cose più necessarie. Mi promise tutta l'attenzione, m'assicurò che dormissi quieto. L'avvertii che poteva darsi che per qualche settimana non ritornassi a vederlo, onde mi premeva d'avere il bisognevole. Che non dubitassi, che mi fidassi, ecc., fu la risposta. Due ore prima di giorno eccomi lesto, giungo col mio palafreno dal maresciallo, ci poniamo in marcia, la notte era oscurissima, ed io non travedevo che qualche raggio delle torce a vento che portavano i lacché del maresciallo; ma il gran numero dei cavalli che mi precedevano faceva sì che io andassi a caso. Spuntò il giorno che eravamo vicini a Sorau, e già cominciammo ad udire delle schioppettate. Erano i Prussiani, niente più che sei o settemila, un piccol corpo staccato dall'armata e accampato vicino a Sorau. Appena videro che venivamo sopra di loro in numero assai maggiore, i soldati più bravi dell'armata frettolosamente scamparono, ma non sì tosto poterono ritirarsi perché dovevano passare un piccol fiume sopra un sol ponte. Se da parte nostra ci fossimo contemporaneamente distribuiti ad impadronirci del ponte, erano battuti o forse presi. Io seguìto il maresciallo cogli altri, c'incamminammo sopra un'altura imminente alla città ove stava un mulino a vento. Ivi si fermò, e dalla finestra del mulino col cannocchiale stava osservando. Un certo capitano Colin, che è al quartiere generale, mi chiese cosa facevamo colà. - Non lo so per verità, risposi, io sono cogli altri. - Volete voi, mi disse, che andiamo a prendere la città di Sorau che vedete? - Prenderla? Noi due soli! - E perché no, disse; noi le intimeremo la resa, e se nessuno ci ha preceduti, avremo la gloria di questo fatto. - Così disse quel capitano. A me veramente pareva ridicolo il progetto; ma perché non sospettasse che il mio dissenso venisse da timore, mi determinai e andammo ben lesto. In breve fummo alla porta che era già aperta.- Ebbene, disse Colin, andiamo a batterci? - Andiamo, risposi, e seguendo il mio Ruggiero, c'incamminammo là ove si ascoltavano le schioppettate, e salita una riva assai alta, ci trovammo in un prato che di fronte terminava con un bosco, e nel prato gli usseri dalle due parti facevan piccolo fuoco, mentre c'inoltravamo, il Colin per pazzia, io per puntiglio, eccoti che dal bosco sbocca una turba di usseri prussiani e cannonate e una tempesta di schioppettate; i nostri usseri, che erano pochi assai, fuggono, e il mio Colin si mette a precipizio gridando in buon francese, fouttez le camp, fouttez le camp, e giù a rompicollo tutti e due da quella ripa. Appena scesi, c'incontriamo in uno squadrone di nostri usseri che venivano in buon ordine, ci accompagniamo con essi e ritorniamo al prato, fischiavano le palle da fucile, e il capitano Colin mi disse, per la pratica ch'egli aveva, che passavano di mezzo a noi con assai gentilezza senza toccarci. Noi stavamo per curiosità colà piantati come due statue equestri senza scaricar nemmeno le nostre pistole, pazienti di ricevere una schioppettata senza dovere che ci consigliasse, senza gloria. Non so cosa pensasse il Colin, forse la curiosità pura ve lo tratteneva, so che io mi trovai tranquillo e senza gran ribrezzo, il rumore delle palle da fucile non mi è spaventevole come quello della palla da cannone che mi fa terrore, ma lo nascondo. Venne una palla che colpì vicino. Oh mom ami, vous êtes blessé, grida Colin. - Io no, sarete voi, io sono sano, ecco le gambe, ecco le braccia, infatti credo che il colpo sia stato rasente terra, perché anche il mio cavallo era sano. Dopo qualche tempo i Prussiani si sono ritirati nel bosco, ed io con Colin abbiamo girato il loro campo, e i dintorni. Stanco per aver cavalcato più di undici ore senza cibo, contento di aver provato quanto possa rispondere di me, pranzai dal maresciallo verso sera a Eskerwalde, indi andai al quartiere assegnatomi. La porta della stalla era più bassa de’ miei cavalli, il mio alloggio era un fienile, delizioso per chi era stanco come lo era io. Mi congratulavo che la vista dei morti, il sibilo delle palle non mi avessero eccitati troppo vivi sentimenti nel mio animo, cerco le cose bisognevoli nella valigia, e non trovo né pettini, né fazzoletti, né camicia, né tabacco, né forbici, né rasoi. Niente insomma, di quello che mi premeva. Dovetti farne senza. Questa minuzia è stata per me un martirio, e bisogna veramente avere delle gran bestie scortesi al suo salario per essere assistito come lo sono io, singolarmente da Giuseppe. Soltanto l'altro ieri giunsero gli equipaggi, andai loro incontro, e veduto finalmente il mio carro, non dissi altro se non che in avvenire saprei quanto fidarmi della loro attenzione, e nominai le cose che mi mancavano. La sera mentre cenavo nel mio quartiere non vidi Giuseppe, ne feci ricerca, né mi si diceva il motivo perché non veniva. Seppi che era in un orto attiguo, lo ritrovai coricato e involto nel tabarro, lo chiamo, non risponde, gli do un colpo o due di canna, allora si scuote, è la prima volta che fui obbligato usare di questa eloquenza con costui. Indovinate cosa mi rispose. Disse, questa sera io sono a Brescia e domani a Milano, e non gli potei cavare altro di bocca. Costui o era pazzo od ubriaco, il giorno dopo aver concertato di rimandarlo spesato in patria col mezzo dei direttori del treno dei muli, mi si gittò in ginocchio, pianse, supplicò, insomma mi fece compassione, ed ho fatta la pazzia di lasciarmelo vicino ancora. L'imbecille teme d'esser fatto prigioniero dai Prussiani, e che lo faccian tamburino e lo bastonino, sempre invoca i morti di San Bernardino e trema, davvero dubito che diventi pazzo del tutto. Son pure stato buono a prendermi per Sancio pancia un decano della signora marchesa Litta!
Ho provato una sensazione affatto nuova prima dell'affare di Sorau. Dacché ero all'armata, non avevo veduto niente di bello e d'elegante. I miei quartieri erano un miserabile granaio, al quale si ascendeva con una scala a mano, ove il tetto mal rattoppato mi faceva piovere sul capo mentre dormivo, e dove non poteva muovermi per le sconnessure del pavimento. Anelo l'alloggio del maresciallo, se ben sia la casa più degna del luogo, è meschino. Dopo un mese di visita unicamente di questi oggetti, passiamo a porre il quartiere generale in una villa mediocremente ben fatta; il passeggiare da solo per qualche viale, il mirare i verdi tappeti ben fatti che lo costeggiano, mi fecero provare nell'animo un'emozione deliziosa. Credo che i villani ne provino di simili, se pure la mia delizia non nasceva dalla grata illusione di credermi per un momento in Italia, di che non saprei darvi buon conto; pare che i beni e i mali si compensino, e che la consolazione consistendo nel passare ad uno stato migliore, sia anzi più facile il provarne di più vive, quanto più infelicemente viviamo.
Mi è accaduto qui un caso assai strano, come sono quasi tutti i casi che capitano in questa società formata dal rifiuto delle altre. Stavo qui sulla piazza di Sorau in circolo con cinque o sei alti ufficiali, e fra questi il tenente colonnello conte Origo, che da molti anni conosco. Mentre pensavo a tutt'altro, ecco che entra nel circolo un ufficiale col petto gallonato, che con viso arcigno mi squadra dalla testa ai piedi, e mi domanda se sono del reggimento Clerici. - Sì, signore, rispondo. - M'avvedo bene, diss'egli, che lei è un ufficiale che non sa il suo dovere, perché non s'é presentato a me che sono il maggiore del reggimento. - A tale improvvisata mi montò il sangue alla testa. Non avevo mai veduto colui, secco secco gli risposi che non sapevo cosa si volesse dire, che non dipendevo che dal signor maresciallo, e che né conoscevo lui, né mi curavo di conoscerlo. Origo mi prese pel braccio, mi trascinò in disparte dicendomi che col superiore si ha sempre torto, che per amicizia m'avvisava di dissimulare e non cercarmi un affare; che le leggi militari condannano nella testa chi sfida un suo superiore, ecc. Non dissi altro, ma sottrattomi subito da Origo, cercai il maggiore, che frattanto stava sulla piazza contrattando delle erbe, gli lasciai fare il contratto, poi me gli accostai senza testimoni, e gli dissi che non avrei sofferto d'essere maltrattato da lui, e che s'egli aveva piacere d'intendersela con me, ero pronto. Colle sue erbe in mano voleva provarmi che un capitano è obbligato a questo e a quello; non volli sentir altro, e gli dissi che ogni volta che mi voleva, io stavo di quartiere al tal sito, ove ora sono. Gli voltai le spalle e fu finita. Oggi ho veduto il maggiore stesso venire alla volta del mio alloggio. Sopra di me dimora uno che fa spade, ivi egli è salito, al suo discendere mi affacciai alla porta affinché mi passasse davanti e mi vedesse, ha cavato il cappello, e pare affare finito. Ma che razza di bestie! Questo maggiore si chiama Brady, è un irlandese che si ubriaca tutte le mattine, ed ha già avuto un processo per altre brutalità. Perdinci, al reggimento non vi tornerei per tutto l'oro, nemmeno se m'avessero a far generale dopo un solo anno di pazienza. È una maledettissima compagnia. Vi abbraccio e sono.