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Pietro Verri
Diario militare

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Dresda, 28 novembre, 1759.

 

Troppe cose vorrei scrivervi, né so se ne avrò l'agio; prima vi dirò dell'affare di Maxen accaduto giorni sono: omettendo interamente quello che potete sapere dai fogli pubblici, vi informerò invece di quelle circostanze che formano la storia arcana. Figuratevi che la nostra armata, dopo aver inutilmente contemplato il nemico nel suo campo di Torgau per quindici giorni, inoltrandosi la stagione si ripiegò verso Dresda, dove fummo il giorno 17. L'armata appoggiava il suo fianco dritto alla città, e faceva fronte al nemico che era a nord. Il re di Prussia non trovando il suo conto d'attaccarci ove eravamo, pensò d'obbligarci ad abbandonare Dresda col tagliarci la comunicazione colla Boemia: Distaccò un corpo di dodicimila uomini sotto il comando del generale Wunsch e lo portò a Maxen. Ciò fatto, a noi non restava altro partito o di passar L'Elba e ritornarcene in Boemia, ovvero far sloggiare il nemico da Maxen, d'onde ci avrebbe rappresagliati i viveri che ci vengono dalla Boemia e intercettata la comunicazione. Il maresciallo marciò con porzione di gente verso Maxen il giorno 19, poi vi marciò il 20, e sempre ritornò senza mai aver potuto vedere i nemici, i quali sono controllati da boschi e scavi impraticabili. Anche il giorno 21 il maresciallo stava per ritornarsene a Dresda colle truppe. Era veramente cosa meschina il vedere come non si trovasse un villano che potesse spiegare come fosse quel terreno al di del bosco. I Sassoni non sono niente nostri amici. Si stava disputando che convenisse fare, perdendo il tempo verso Reinharksgrimme, piccolo villaggio. Un nostro italiano, il tenente colonnello Fabris, nativo del Friuli, uomo di testa e di quei pochi che amano la gloria, impazientato del ridicolo perditempo che si faceva per ritornare alla volta del bosco, da cui si passava al nemico, incontrato un capitano dei Croati che era al nostro posto avanzato, gli chiese se volesse venir seco colla sua compagnia, e questi lo seguì. Eravi una piccola altura che dominava l'unica strada per cui si passava al bosco. Fabris l'esaminò, e vide che il nemico aveva mancato d’impadronirsene, ove, collocando qualche pezzo d'artiglieria, poteva impedire l'accesso. Cominciò a giudicare che i Prussiani s'erano malamente appostati. Entrò nel bosco seguito dai Croati, osservò che non si erano gettate delle piante attraverso la strada per impedirvi il passaggio dei cavalli e della artiglieria. Osservò altresì che non v'erano cacciatori, né truppe leggere a dritta ed a sinistra del bosco. Queste negligenze dei Prussiani sempre più gli fecero pensare che poco sapientemente s'erano collocati. Stava già per isbucare dal bosco, quando vide alcuni usseri prussiani che alla vista dei Croati, credendoli forse in assai maggior numero, presero la fuga per unirsi al loro corpo. Allora Fabris si mise a galoppar loro dietro per non perderli di vista; osservò che, terminato il bosco, eravi una pianura capace a schierarvi dodicimila uomini; ma questa era dominata da tre alture, dalle quali il cannone avrebbe potuto molestarci troppo. Era a conoscere se su quelle alture fossero appostate artiglierie. Fabris teneva di vista gli usseri, affine, mi diss'egli, d'osservare se essi, avvicinandosi a quelle alture, rallentavano il corso, allora avrebbe giudicato che questa tranquillità nasceva dall'esser ivi i loro compagni; se poi proseguivano, era segno che anche quelle importanti alture erano sguernite. Infatti continuarono a galoppare. Fabris allora apposta i suoi Croati all'imboccatura interna del bosco, e ascende solo quelle alture, e vede tutto libero. Esamina il nemico, e vede che nel campo tutto era in movimento ed inquietudine, quasi per cercare una nuova posizione. Osservò che v'erano due strade poste in modo dalla natura, che, senza essere vedute dal nemico, potevano due nostre colonne portarsi sino al colpo di fucile ed attaccare senz'essere prima offese. Il nemico era collocato su di un'altura, per cui conveniva a noi, giunti alla portata del fucile, discendere, e poscia arrampicarsi ad essi. Il contegno dei Prussiani, la somma negligenza di non aver difeso il loro ingresso del bosco, non gli lasciò dubitare dell'esito. Conviene ch'io dica che il nemico non era accessibile ai fianchi, perché scorrevano due cavi profondi che sboccano l'acqua nell'Elba, con rive altissime e intralciate d'alberi. Visto ciò, Fabris lascia i Croati ove li aveva collocati, e a gran galoppo ritorna a noi, e dice al maresciallo: - Signore, questo è il momento, venite e vi rispondo della vittoria. Io condurrò una colonna alla portata del fucile senza perdere un uomo, darò a Beaulieu la condotta d'un'altra, che giungerà sicura come la mia, i nemici non sanno quello che si facciano, ho visitato tutto, il momento decide. - Fabris era conosciuto, perché serviva nel numero degli addetti al generale Lascy per le marce e i quartieri. La sua franchezza, la necessità d'appigliarsi ad un partito, il non conoscerne uno migliore, determinarono il maresciallo ad ordinare la marcia del corpo di truppa che aveva seco. Fabris precedeva. Passiamo tranquillamente nel bosco, ci schieriamo con sicurezza nella pianura, e, usciti fuori dal bosco, ci dividiamo in due colonne. I nemici cannoneggiavano senza far danno ad alcuno, perché eravamo coperti dalle alture. Fabris, alla testa della sua colonna, appena si mostrò ai nemici, scivolò sedendo, ed in egual modo fece scivolare sul loro sedere i granatieri che gli venivano dietro, così i cannoni d'un fortino che stava sul fianco sinistro dei Prussiani, e di contro al quale si mostrò, non poterono più offenderli, giacché, oltre una certa inclinazione, il cannone non si piega. Poi arrampicandosi e sostenendosi siccome ad una scaletta, attaccarono il fortino. I Prussiani, dopo una scarica generale dei loro fucili, la maggior parte li gettarono e si diedero alla fuga. Fabris, posto il piede nel fortino, mandò al maresciallo un complimento di congratulazione per la vittoria. I nemici furono inseguiti, ma sopraggiunse la notte. I Prussiani si trovarono coll'Elba alle spalle; di contro eravamo noi, ai fianchi eranvi i due cavi come ho detto, sopra d'uno eravi il generale Brentano col suo corpo, sull'altro verso Dohna il maresciallo Serbelloni coll'armata dell'Impero. Durante la notte tentarono di farsi strada verso l'armata dell'Impero, ma con pochi colpi di cannone vennero respinti. Comparve il giorno, cercarono essi capitolazione, non fu ammessa, dovettero arrendersi, dimettere le armi e darsi prigionieri; l'unica cortesia loro accordata fu di lasciare a ciascuno il suo equipaggio. Notate che dalla costa, sulla quale erano accampati i Prussiani, sino all'Elba si discende continuamente, laonde abbandonato che ebbero il campo, noi fummo loro sempre imminenti.

Di questo fatto pochi ne sono informati, come ora lo siete voi. Il vulgo anche gallonato incolpa d'errore il re, d'aver così collocato questo corpo; ma voi vedete che se il Wunsch si fosse collocato con più sapienza, a noi sarebbe stato impossibile l'accostarvici. A me sembra che il re ha disposto da abile capitano, che se il suo generale avesse saputo meglio il suo mestiere, noi eravamo scacciati dalla Sassonia, e alla campagna ventura da capo alla guerra. Del trionfo poi del maresciallo parlerà l'Europa e forse la storia; sempre più mi confermo nel mio pirronismo sulla storia. Ecco Kollin, Hockirken e Maxen, tre trionfi di Daun, senza sua saputa. Fabris è stato dichiarato colonnello sul campo di battaglia, e, sebbene il maresciallo non abbia questa facoltà, nessuno dubita che la Corte applaudirà a questa promozione confermandola. Daun venne a Dresda come in trionfo, conducendo nel suo seguito i generali Wunsch, Fink e Rebentisch, che ha tenuto seco a pranzo. Nell'accogliere Wunsch, gli disse una freddura che è un giuoco di parole. Wunsch in tedesco significa desiderio, il maresciallo gli disse che aveva piacere di conoscerlo, che spiacevagli la circostanza, ma che in questo modo le cose non vanno sempre a seconda di Wunsch, cioè del desiderio.

Il reggimento Clerici aveva perduto le tende, che l'inimico gli aveva tolte, e perciò s'era collocato in Meissen. Nel ritirarsi verso Dresda, una delle nostre colonne attraversava Meissen. Il reggimento Clerici era schierato sulla piazza ed aveva ordine di marciare dopo il tale reggimento. Poi doveva venirgli dietro la cavalleria.

Un reggimento di cavalleria appostato fuori dalle porte di Meissen, che riceveva qualche colpo di fucile dalle truppe leggere nemiche, non volle sapere d'aspettare, e s'inoltrò nella città; Clerici non riescì a metterlo in ordine, sì che dovette incamminarsi l'ultimo, col nemico vicino. In fine se ne uscirono lasciando, sia per paura o per smemoratezza, i loro cannoni in Meissen. Per caso il maresciallo li vide, osservò che mancavano i cannoni, ne chiese al colonnello, il quale in quel momento aveva meno imperio di quello che aveva mostrato al mio ricevimento, rispose scioccamente. Non ho mai veduto il maresciallo Daun sulle furie se non in quel punto; deciso gli disse che andasse a riprendere i cannoni, e se non li conduceva ne avrebbe risposto colla sua testa. Il giorno dopo vidi giungere all'anticamera del maresciallo il tenente colonnello Lombardi, e fu la prima volta che vidi uno del reggimento Clerici in quel luogo. Il signor duca di Braganza lo conosceva, gli si avvicinò incoraggiandolo. Il Lombardi, stato leggermente ferito in una mano, aveva riacquistati i cannoni; col mezzo del signor duca poté avvicinarsi al maresciallo, che al sentire il nome Clerici avvampò in volto, e sebbene il buon Lombardi non ne avesse colpa, fu bruscamente ricevuto, ed in pubblico intesi che gli replicò che aveva tutti i torti il colonnello, che non aveva fatto il suo dovere. Il maresciallo Daun è però assai di rado collerico. Il generale Lascy è assai più duro. Egli ha un drappello d'ufficiali colonnelli, maggiori capitani, unicamente dipendenti da lui, e sono i migliori dell'armata. Fra questi il Fabris e il Lloyd. Questi non si ricordano se sia notte o giorno, s'espongono a mille incomodi e pericoli allo scopo di riconoscere il paese, gli accampamenti, e quanto dipende dal generale quartier mastro. Non v'è memoria che Lascy abbia detto una volta ad alcuno: - Son contento di voi. - Egli è impetuosissimo, ha un sogghigno derisore, è pieno di valore, è anche generoso, ma non conosce la moneta che costa meno e fa operar di più, la cortesia, e le buone parole de’ grandi. Al di lui quartiere in ogni ora i suoi ufficiali trovano tavola, e in ciò spende liberamente ed è necessario, poiché chi è sotto ai suoi ordini non può avere ore fisse per far cosa alcuna. Mentre giorni sono eravamo a Heinitz, ebbimo un piccolo assalto coi nemici. A un nostro capitano, appostato con due cannoni di campagna sopra un'altura, pronto a difendersi, il generale Lascy mandò a dire che se muovevasi l'avrebbe fatto appiccare; per un uomo d'onore, questa è una maniera assai strana di comandargli. Eppure chi vi è, conviene che vi stia, non v'è rimedio con un superiore. Non so se nelle armate francesi o spagnuole si usi simile linguaggio. I Moscoviti si bastonano tutti, non v'è che il generale in capo che non lo possa essere. Il generale è bastonato dal tenente maresciallo, questi dal tenente generale, e il tenente generale dal generalissimo, ossia generale in capo. Così si vive all'armata moscovita. In fatti, non vi sono a quel servizioufficiali francesi, né italiani, né credo d'altre nazioni. Noi non siamo a questo segno; è cosa disgustosa per un uomo d'onore il vedersi minacciato del capestro nell'ingiusta ed ingiuriosa supposizione che voglia fuggire dal nemico, ovvero ricevere la bastonata. Il problema meriterebbe una dissertazione, che non ho tempo di farvi. Questi sono gli aneddoti che pochi dicono, perché ciascuno vorrebbe far invidiare il suo mestiere, ma a voi svelo gli oggetti, e vi mostro interiora rerum. Ve ne scrivo un altro per illuminarvi sulla nobiltà della professione a cui siamo elevati. Il conte Origo, tenente colonnello posto nel corpo comandato dal duca d'Aremberg, ebbe occasione di respingere una banda di nemici e ne approfittò per recarsi a farne il rapporto in persona al duca, e così farsi conoscere, e in quella occasione raccomandarsi. Fu ammesso al suo quartiere; il duca stava sedendo su una seggiola senz'appoggio, e un cameriere da una parte, un altro dall'altra stavano pettinandolo. Si inchinò profondamente a sua altezza il nostro tenente colonnello, riferì il fatto, e poiché vide che il duca n'era contento, s'avanzò per esporgli i suoi lunghi anni di servizio, e si raccomandò alla sua persona per essere promosso. Il duca chiese ad un cameriere un pezzo di carta e se ne servì all'uso che un altro fa senza testimoni, poi altro pezzo, poi un altro, e frattanto andava rispondendo al tenente colonnello ch'egli non ha nulla a che fare con lui, che ha abbastanza da pensare al suo proprio reggimento, e che non infastidirebbe Sua Maestà per il conte Origo, e così si congedò il tenente colonnello.

Questo fatto fresco fresco l'ho dalla bocca dello stesso Origo. Vedete se i nostri allori sono splendenti, se la gloria e l'onore hanno grandi adorazioni da noi. Quello che più mi sorprende si è che ciò sia fatto non da un soldato di fortuna, ma da un duca d'Aremberg, che per la sua nascita dovrebbe certamente avere tutt'altre maniere. Vedete cos'è l'armata, cos'è questo mestiere! Vi abbraccio.

 

 

 




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