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Pietro Verri Diario militare IntraText CT - Lettura del testo |
Da un mese a questa parte mi trovo assai ben collocato in questa città. Ho preso a mie spese un quartiere, ed alloggio da un trattore alla vecchia cancelleria di guerra, dove mi trovo con decenza e comodo. Ho pregato Lloyd di venire con me, perché se dovessimo ricoverarci nei meschini quartieri assegnatici, staremmo male. Il caro Lloyd non mi ha mai cercato a prestito un soldo, ed è povero; non mi ha mai cercato un pranzo, finalmente accettò di starsene con me; mi è di nessun peso, bensì d'un'amabile ed utile compagnia, e credo che egli voglia bene a me ed a quelle poche oneste qualità che ho nell'animo.
La vita che facciamo noi due si è d'uscire tutte le mattine soli, senza palafreniere, per riconoscere l'inimico ed il terreno di mezzo. Il freddo è così intenso, che talvolta la terra è come uno specchio, tutte le notti trovansi soldati morti pel freddo. Gli ufficiali riparati sotto le tende, s'aiutano con alcune stufe di ferro, ma questo aiuto, in una casa ove soffia l'aria da ogni cucitura, e coll'entrarvi d'un uomo si muta tutto l'ambiente, è debole assai. Bel piacere assai se avessi dovuto stare sotto una tenda!
Varie mattine abbiamo scaramucce coi posti avanzati degli usseri prussiani. Una fra le altre, Lloyd s'avvide che una dozzina di questi usseri ci avevano adocchiati, e ci facevano la festa per prenderci. Costoro avrebbero rubato quello che avevamo, e poi ci avrebbero consegnati prigionieri. Essi si divisero da lontano per poterci chiudere l'uscita; Lloyd m'avvisò dicendomi di star seco e saldo che non potevamo riuscire nell'intento. In fatti fra essi e noi eravi un fosso stretto e profondo ch'egli conosceva perché il terreno lo conosce palmo a palmo. Quando i Prussiani credettero d'essere a tempo, si posero a galoppare alla nostra volta. Lloyd quando li vide vicino alla riva del fosso, cavò loro il cappello canzonandoli. Gli usseri scaricarono le loro pistole, e Lloyd nuovo inchino canzonandoli; poscia li usseri ci fecero segno d'aspettare che avrebbero ricaricato le armi. Lloyd freddamente rispose: - Oh, eroi dei miei stivali, siete veramente valorosi, dodici contro due, che nemmeno adoperan le armi contro di voi. Non siete buoni a prenderci, né buoni di mirarci colle pistole, e avete l'ardire di farci segno di starvi ad aspettare! Eroi de’ miei stivali. Dodici di voi altri non valgono un mezzo uomo. - Così disse, e fatto un terzo inchino d'arlecchino, passo passo ritornammo ai fatti nostri. Vi assicuro che è un uomo unico nella sua specie. Una mattina vi fu del fuoco più generale, il maresciallo era presente. Lloyd ed io, dopo finito l'affare, abbiamo voluto visitare, vedere e riconoscere, sì che fummo di ritorno a casa assai tardi. La mia gente cominciava a dubitare ci fosse accaduta qualche cosa di peggio. Sapete qual sentimento aveva il mio bravo Giuseppe? osservò che mi ero dimenticato l'orologio appeso al letto, e si consolò che non l'avessi portato via. Vi sono delle anime che non si rendono mai sensibili per qualunque beneficio loro si faccia. Dunque, come vi dissi, la mattina siam presi in moto, il resto della giornata lo passo a mio modo. Buon pranzo. Abbiamo un eccellente pasticciere, squisiti vini di Sciampagna, Borgogna, ecc. Il mio padrone di casa serve una buona tavola. Dopo pranzo andiamo dal libraio Valter, che ha un gran negozio e stamperia, compro, leggo e porto quello che voglio al mio quartiere. La sera dopo una passeggiata per la città, ritorno a casa. In Dresda non v'è nessun nobile; son tutti rifugiati chi in Polonia, chi altrove, non vi si trovano che cittadine ed artigiani; vi posso dire una verità che non è esagerata, ed è che le donne che son rimaste a Dresda, e son molte, son tutte al comando di chi offra loro uno zecchino. Il libertinaggio è così facile che non costa un momento di pensiero, e per questo mi pare che se ne diminuisca lo stimolo. In tutte le case di queste cittadine siete ammesso, se lo volete. Il solito cerimoniale è che vi si prepara una caraffa d'ottimo vino del Reno ed il caffè; questo è il costume del paese. Le donne sono vestite elegantemente, e belle assai; la lingua tedesca è dolce nella loro bocca, non hanno l'asprezza dell'accento austriaco. Portano in capo un elegante berrettino contornato di zibellini, formato a punta, che si porta in mezzo alla fronte e gira come una corona scherzata sul capo; il berrettino è di raso celeste, o rubino, o di altro colore, riccamente guarnito d'oro, e termina in una punta ricca di frange d'oro, che cade fra l'orecchio e la guancia. Hanno molt'anima nella fisionomia, occhi vivaci, bellissime tinte, bei denti; un mantello di raso celeste o rubino, foderato in pelliccia bianca, l'abito assestato al busto, gonnelle corte, e soprattutto gran lusso ed eleganza nelle calze bianche di seta, scarpe finemente calzate, sì che sono figure teatrali assai belle e gentili. Gli uomini in proporzione sono anch'essi eleganti, e soffrono piuttosto il freddo che guastare la parrucca linda e polverosa coll'uso del cappello. Ben volentieri avrei veduto la Galleria e la Corte, ma noi Austriaci siam tanto in buon concetto che non v'è modo; dicesi che le chiavi sieno state portate in Polonia. Per darvi però un'idea della città, vi basti il sapere ciò che m'è accaduto in un traiteur francese, certo Le Fon. Un giorno, in compagnia di cinque ufficiali, si propose di pranzare dal Le Fon. Entriamo in un palazzo, che tale era veramente, ci si affaccia cortesemente un uomo ben vestito, al quale chiediamo un pranzo. Egli ci fa le scuse se la folla delle persone gl'impediva di darci un alloggio, quasi sembrava che non vi fosse luogo, ma vedendoci disposti ad accontentarci d'una camera qualunque, ci condusse, replicando le scuse, in un piccolo appartamento affatto libero, composto di una sala, una stanza da letto e un gabinetto, pavimento di legno cerato, tappezzerie di damasco cremisi, specchi fra una finestra e l'altra, lampadarii di cristalli, canapè e scranne: il tutto sommamente decente. Poco dopo si preparò una tavola con biancheria a figure, e tutto fu servito in argento assai ben lavorato, od in porcellana. Le vivande corrisposero alla finezza del rimanente, ed ebbimo vini di ottima qualità che ci piacque d'ordinare. Non avrei difficoltà alcuna ad invitare chiunque ad un simil pranzo a casa mia. Il prezzo che ci venne chiesto fu, credo d'uno scudo a testa, prezzo assai moderato. Quello poi che v'è di curioso nel costume di quell'ospite, è che voi potete francamente ordinare una cena per tanti coperti, e prevenire che sianvi tante fanciulle, due bionde, una bruna, grande, piccola, ecc., ed è lo stesso come se gli ordinaste uno storione o dei tartuffi; niente lo scompone, niente lo fa ridere. La Fon ordina ai suoi commessi d'andare dalla signora Kreps, grande abadessa di fanciulle, e siete servito, senza che la riputazione del padrone di casa ne soffra. Se volete passarvi la notte, siete libero.
Dresda è una deliziosa città. Situata in una pianura attorniata, alla distanza di due o tre miglia, da collinette, che sono come l'anello di Saturno, le quali riflettono i raggi del sole e riparano dai venti, per modo che il clima vi è meno rigido che nei dintorni. Vi crescono le viti, e in questo spazio di terra si fa del vino, sebbene nella parte più meridionale, verso la Boemia non reggano le viti l'asprezza dell'inverno. I vini però comunemente usati qui, sono del Reno, e sono ottimi. Voi qui avete pesci di mare e ostriche dell'Oceano, nel quale sbocca l'Elba, che è come l'Adda. La città è divisa da questo fiume, e si unisce con un bel ponte, che non è pesante, come sogliono usare gli architetti tedeschi. La chiesa cattolica della Corte è bella. La chiesa di città, cioè la protestante, assomiglia al nostro San Lorenzo. Le case sono quasi tutte fabbricate solidamente di pietra, ben mobiliate, e tutto spira una colta nazione. Se andate a Vienna in una bottega per spendervi i vostri denari, siete ricevuto come un seccatore, o qualche cosa di peggio; qui gli abitanti sono officiosissimi, civilissimi, e giacché un forestiero, secondo i principii di natura, e delle genti, dev'essere gabbato, in buon'ora lo siamo almeno con civiltà e buona maniera. Se Dresda è tale in mezzo alla desolazione di questa guerra che le sta intorno, ed è già il quarto anno, mi figuro che debba essere il soggiorno delle grazie e degli amori in tempi tranquilli. In generale, come vi dissi, noi Austriaci siamo poco amanti, e sebbene alleati coi Sassoni, essi preferiscono i Prussiani a noi. Ho osservato all'Hôtel de Pologne, locanda frequentata, che le stanze sono addobbate con quadri rappresentanti battaglie, e da per tutto i bianchi e i rossi, che siamo noi, sono in positure umilianti, e i bleu sempre in atto di eroi vincitori. Molte cagioni vi sono di questo genio. Primieramente gli Austriaci sono poco civili e cortesi, e per lo più non hanno educazione, onde coi loro sgarbi indispongono gli altri, laddove nell'armata prussiana gli ufficiali cercano d'accostarsi, com'è naturale, al loro modello, il re, e quindi a gara s'inciviliscono, si mostran colti ed educati. Secondariamente, la religione vi ha la sua parte; non è già che naturalmente i Sassoni abbiano al dì d'oggi fanatismo per la loro setta; ma sentendosi disprezzare dai nostri soldati, e chiamare cani Luterani, è ben naturale che preferiscano i Prussiani loro confratelli. Finalmente molta parte vi ha la diversa disciplina delle due armate. Quando la nostra marcia, e si reca in un nuovo campo, vedreste come da ogni reggimento si stacchi un drappello di soldati per foraggiare e trovare paglia, legna e altro da portare al campo. Questi nostri drappelli, composti di gente feroce, di mal umore, entra nei villaggi del contorno, rompe, distrugge, ruba, maltratta, e per portare al campo il valore di dieci, rovina pel valore di cento. I Prussiani, per contrario, non escono mai dal loro campo. Sono muniti di cartelle e tabelle così esatte, che sanno appuntino il numero degli abitanti di ciascuna terra, e presso a poco i viveri che vi sono. Dal campo regolarmente si staccano gli ordini alla tal terra di portare tanta paglia, tanta legna, ecc.; così fanno molto bene. Primo, disertano meno soldati; secondo, niente si devasta, tutto si distribuisce con prudente economia, e l'armata prussiana trova la sussistenza per venti giorni in quel campo d'onde noi saremmo obbligati di sloggiare dopo cinque o sei, dopo aver tutto ruinato all'intorno; terzo, i villani non fuggono, non si sottraggono all'arrivo dei Prussiani, anzi vanno al lor campo, vi portano, come ad un mercato, ogni genere di polli, carni e viveri; a nessuno si fa violenza, tutto è pagato, e tutti fanno la spia in favore di essi, col sentimento che posto che vi è la guerra, l'armata prussiana li difende dalle nostre depredazioni. Io ho cercato di farmi voler bene dai contadini, presso i quali sono stato di quartiere, tutto ho pagato largamente, né ho sloggiato se prima non sapeva dai padroni di casa che i miei domestici gli dovevano nulla; non di meno varie volte ho dovuto soffrire l'odio nazionale. Una mattina singolarmente volevo prima di giorno essere al quartiere del maresciallo per unirmi alla marcia. Posto tutto in ordine, vedo una nebbia che non ne ho visto di simile; figuratevi che stando a cavallo non si vedeva il terreno in nessuna guisa. I fuochi dell'armata mi facevano l'effetto come d'un'aurora all'orizzonte senza distinguerli, quantunque fossero vicini. Ho regalato, pregato, accarezzato il villano perché mi guidasse, egli mi ha condotto pochi passi fuori di casa, poi ho avuto bello a chiamarlo, promettergli nuovi regali, rimasi isolato, ascoltando la voce de’miei domestici senza vederli, ed avrei avuto bisogno di una bussola per non dare con la testa del cavallo nella casa. Dovetti aspettare sui quattro piedi del cavallo che spuntasse il giorno, e allora si diradò la nebbia, che pareva quella di Mosé in Egitto. ma già la mia è troppo lunga, vi abbraccio.