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Pietro Verri
Diario militare

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Vienna, 14 maggio, 1759.

 

Eccomi giunto. Ma quanta diversità dal correre la posta tranquillamente al camino, e coll'itinerario in mano, dire domani al tal sito, posdomani comodamente al tal altro. Sedendo al fuoco agiatamente, da Milano a Vienna vi si passa in sei o sette giorni. Io però nel Tirolo, nella Stiria e Carinzia, ho incontrato delle difficoltà che sulla carta non erano scritte. La mattina al fare del giorno 5 di questo mese m'avete veduto partire; ora vi dico, che non ho potuto giungere a Vienna se non ieri, cioè il nono giorno, e vi sarei giunto assai più tardi, se non avessi sacrificato quattro notti. La sera del 5 dormii a Brescia, viaggiai tutto il giorno 6 e la notte, e dormii la sera del 7 a Bolzano. La mattina del giorno 8 partii, viaggiai di seguito tutta la notte e tutto il giorno 9, e la sera dormii a Lienz. Ripigliai il viaggio e lo proseguii anche la notte del giorno 10, né riposai che la sera dell'11 a Villac, da dove non mi riposai che a Vienna ieri sera. Non mi è accaduto nessun accidente per viaggio, niente s'è rotto del mio biroccio, non era nemmeno pesante, giacché sapete che il mio equipaggio l'ho spedito in dirittura a Praga, non ho meco se non un paio d'uniformi e la biancheria che m'abbisogna, il tutto rinchiuso in un mediocre baule. Non ho incontrato né neve, né cattivo tempo che m'abbia fatto rallentare il corso, la colpa si deve unicamente a sei o sette postiglioni, dai quali sono stato mal servito.

Sinché sono stato nell'Italia, sino a Bolzano ho potuto andare lestamente, passato quel tratto di strada, talvolta mi sono capitati dei villani per postiglione, i quali poteva batterli, poteva caricarli di denaro, ma farli correre no. La posta prima di Brunecken mi è costata un'intera notte, nella quale avrei pure fatto saggiamente a dormire s'avessi potuto essere profeta. Quella disgraziata bestia che faceva il postiglione nemmeno aveva gli stivali, appena uscito dalla posta ricevette varie bastonate sulla gamba dal timone, dal quale non sapeva preservarsi, ciò gli rese impossibile lo starsene a cavallo, onde ci servì a piedi, e a piedi zoppicando. Ne ho bastonato alcuno, ma vi perdeva inutilmente anche questo incomodo, onde abbandonandomi pazientemente al destino, mi sono lasciato condurre come una cassa di mercanzia, come e quando si poteva. Gli alloggi sono buoni, i letti morbidi, le stanze assai ben difese, e passabilmente si mangia, questo è quel poco di buono che ho trovato nei giorni scorsi, ma la maggior parte delle cose sulle quali mi è accaduto di volgere lo sguardo, mi hanno fatto noia e tedio. Dopo passato il Veronese s'ingolfa nel fondo di una valle circondata di monti sterili e assai alti, e quasi tutto il viaggio è in mezzo a sassoni pelati. Qualche cascata d'acqua di tratto in tratto fa piacere, ma abitualmente mi si stringe il cuore nel non vedere mai l'orizzonte. Talvolta anche la strada maestra nel Tirolo è sotto un masso enorme del quale si vedono i pezzi caduti e ve ne pendono altri sul capo: non vi si passa senza qualche inquietudine. Gli uomini poi sono robusti, quadrati, ma assai meno vivi e sensibili dei nostri. Esibite un pugno di monete ad un postiglione italiano perché scelga da se stesso la buona mano, lo vedrete sorpreso, forse arrossirà e ricuserà ad un tempo stesso di essere giudice e parte, ovvero sceglierà il giusto e consueto. Fate la medesima esibizione ad un tedesco, e vedrete che vi scoperà pulitamente tutto il palmo della mano, e sogghignando s'intascherà il tutto facendosi beffa di voi. L'italiano ha più bisogni, conosce il bisogno della stima altrui e ne è geloso; il tedesco oltre i bisogni fisici non ne conosce altri. Già altre volte sono stato in questo paese, ma ero allora troppo giovine, né riflettevo sulla maggior parte degli oggetti. Vi dirò che sono stato sin ora poco contento dell'assistenza di Giuseppe. Sapete che a Milano la sua famiglia gode l'intero salario; sapete che a lui ho fissato quattro zecchini al mese; e sapete pure come io son fatto; egli, stando con me, non avrà da pensare né al pranzo, né alla cena, né al vestito, onde quei quattro zecchini sono puramente per il suo divertimento. Mi pare che ogni altro servitore sarebbe grato e contento; ma costui è il più noioso ipocondriaco, il più inetto compagno che si potesse scegliere. Da principio gli consegnai una dozzina di zecchini a ciò che pagasse la posta; accadeva che erano già all'ordine e attaccati i cavalli senza che vi fosse modo di distanarlo dalla stanza, ove si rinchiudeva per scrivere il suo conto. Sino a Brescia egli stette dietro il biroccio, e non faceva che bestemmiare dietro ai postiglioni perché correvano. Mi sono incaricato io di pagare le poste, l'ho preso meco nel biroccio, e per quanto gli andassi predicando la discrezione, costui stava sedendo in mezzo al biroccio e mi comprimeva contro il fianco, e quasi sempre sonnolento mi cozzava, mi urtava; un pugno di tempo in tempo ch'io gli slanciava, lo faceva rimettere in dovere, ma non passavano pochi minuti che eravamo da capo. Del meglio che era preparato per me, io ne faceva divisione con questo mio don Sancio: ho portato l'umanità al segno che la mattina dopo viaggiato, e la notte mentre si cambiavano i cavalli, discendevo e preparavo io stesso il cioccolatte per due, e presane la mia porzione, uscivo a custodire il biroccio facendolo entrare a ristorarsi ove tutto era preparato, come se io fossi di lui cameriere. Costui non mi ha mai detta una parola di gratitudine e non mi riesce veramente che di peso e d'incomodo. Non sa una parola di tedesco, e si ostina a credere che questi postiglioni per malizia non vogliano intenderlo. Basta, ne sono fuori di questa seccatura. Gli ho fatto i conti, e non si sovviene di cinque zecchini che mancano, ed io anche di questi non ne parlerò più. Voglio pur vedere se v'è modo di rendermelo affezionato, ma ne dubito assai, egli è troppo stolido e duro naturalmente per poterlo ridurre a sentire.

Ora si apre per me una nuova scena, debbo presentarmi al signor conte di Kaunitz e ottenere da lui una lettera per far la campagna al quartier generale. Il marchese Clerici mi vorrebbe al reggimento, dove non avrei che noia senza conoscere niente di quanto mi può giovare. Giacché per opera del signor conte di Kaunitz impensatamente sono stato fatto capitano, io spero che farà il resto. Al reggimento non ci potrei stare che come volontario, giacché la mia compagnia, come sapete, non è all'armata; e posto che debba essere volontario, mi conviene vivere in più buona compagnia e dove possa imparare in grande cosa è il mestiere della guerra. Vi terrò informato di quanto mi accadrà. Frattanto vi abbraccio.

 

 

 




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