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Pietro Verri
Diario militare

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Vienna, 18 maggio, 1759.

 

Il marchese Visconti mi ha presentato al signor conte di Kaunitz. Questo ministro non suole dare udienza ad alcuno privatamente, e il tempo d'essergli presentati è o dopo che si alza da tavola, ovvero la sera dopo il teatro quando entra nella sala dell'assemblea che si tiene nel suo palazzo. In questa sala fui condotto e presentato alla sorella del signor conte la signora contessa di Questemberg che fa li onori di casa. II ministro ancora non v'era. La padrona di casa sta sedendo in mezzo ad un canapè, intorno v'è un circolo di dame e credo che osservino il rango della distanza; le persone della primissima distinzione siedono a fianco della contessa sul canapè. Tale e l'usanza di questo paese ove la padrona di casa invece di cedere il luogo più degno alle persone che vengono a visitarla, stassene, per lo contrario, come sul trono, a ricevere da esse li omaggi. Feci un profondo inchino, mi fu risposto con una piccola inclinazione di testa, e tutto è finito. Eravi nella sala un vecchio a sedere, il marchese mi avvisò che questi era il maresciallo Neiperg, e a lui mi presento; fui accolto cortesemente e mi disse se andavo all'armata, risposi di si - così va, diss'egli, quando si è giovani si sta in moto e s'acquista della gloria, quando s'è vecchi, come io lo sono, si sta a sedere riparato dall'aria. - Gli risposi che quando s'era fatto un nome come quello di Neiperg, s'era ben acquistato il diritto di godere il riposo. Replicò ringraziandomi della mia officiosità. Poco dopo comparvero nella sala due camerieri, ed accesero quella porzione di candele che tutt'ora erano spente. Questo è il segno, mi disse il marchese, che il conte sta per comparire. Anche questo mi colpì, come accogliendo il ministro in sua casa le persone più distinte non facesse compiere l'illuminazione che per sé medesimo. Si aprì poi la porta per dove suole uscire il ministro, e tutti colà si volsero, si fece un gran silenzio nella sala e il marchese mi fe’ cenno che lo seguissi e mi accostai a un circolo nel centro di cui stava il signor conte. La di lui figura è veramente nobile e bella, si veste con molta eleganza, i moti suoi sono tutti pittoreschi, ma peccano di studio, e fecemi l'impressione d'un personaggio da teatro. Parla varie lingue con molta grazia e colla più esatta pronunzia. Sembra un francese o un italiano ogni volta che cambia linguaggio. La fisonomia è dolce e previene sommamente, in ogni sua azione v'è un non so che di maestoso e ricercato che lo distingue. Quando ci fu dato me li accostai ringraziandolo, perché mi avesse ottenuto l'onore di essere al reale servizio come capitano, e inoltre perché col di lui mezzo avessi ottenuto il permesso di abbandonare l'Italia ove era destinato per fare la campagna all'armata, in seguito soggiunsi che per colmo de’ suoi benefizii imploravo di poter essere assegnato al quartier generale. Mi accolse con viso favorevole, e mi disse, che le buone informazioni avute di me da conte Cristiani, avevano determinato sua maestà a così collocarmi, e soggiunse, io poi avrò sempre piacere che mi si presenti l'occasione di giovarvi. Fui contento, ma non lasciò di farmi specie la confidenza di trattarmi col voi avendo io anche la chiave di ciambellano, mi accostai al conte Arconati, e gli chiesi s'egli fosse pure dal ministro trattato col voi, e inteso che ebbi questo essere il suo linguaggio con noi Milanesi, posi il cuore in pace.

Il giorno dopo questa presentazione, mi portai a casa del maresciallo Neiperg, il quale essendo presidente del Consiglio di guerra, è il mio superiore. L'accoglienza cortese della sera precedente mi determinò a farlo volentieri. Mi feci annunziare, nome, cognome, patria e qualità. Fui accolto. Era a sedere solo in una sala. Faccio una profonda riverenza, egli non si scuote, ma mi interroga: - Chi è lei? - Sono il tale, rispondo. - Che rango ha? - Sono capitano. - Di che reggimento? - Del reggimento Clerici. - Cosa vuole? - Niente, fuor che fare un atto di rispetto con Vostra Signoria. - Il marchese Clerici cosa fa? - Dei cattivi contratti, rispondo. - Perché dei cattivi contratti? - Perché ha speso a Roma centomila scudi per riportare due cadaveri. Questa mia risposta l'ha fatto smontare ed è entrato a schiarire cosa fossero i due cadaveri, io gli spiegai che il nuovo papa gli ha fatto il solito dono destinato alli ambasciatori cesarei, cioè, due corpi santi, i quali gli sono costati assai cari; dopo qualche discreto tempo sono partito contento di me medesimo. Veramente l'accoglienza è stata strana dopo l'accaduto della sera precedente, e dopo essermi fatto annunziare. Ma qui un italiano avvezzo all'officiosità e alla società delicata bisogna che deponga il pensiero né d'essere inteso se adopera modi gentili, né di riceverne. V'è qualche cosa di terreo nel clima stesso, e gli Italiani che per poco vi dimorino ne acquistano la scabrosità. Io ho osservato che li uomini che dall'Austria vengono in Lombardia, da principio sono assai duri, ma poi si ammansano e s'ingentiliscono nel nostro paese.

Questa visita del maresciallo non era per me la più importante, lo era bensì quella del barone Du-Beyne, che è il referendario delli affari d'Italia sotto il conte di Kaunitz. Volevo prevenirlo della supplica fatta al ministro per essere appoggiato al quartier generale, e ringraziando lui pure del passato, pregarlo a sollecitare la decisione, affine di poter sollecitamente andare al campo. pregai il Damiani, che è l’agente dei nostri fermieri generali, il quale mi presentò al signor Du-Beyne.

Questi ha l'aria veramente d'un ebreo ringentilito, e la sua moglie pare una Rebecca, tutta la famiglia mi sembra malsana, il referendario è uomo d'una studiata civiltà automatica, che tiene più al cerimoniale che alla cortesia dell'animo. Mi ha accolto assai bene, ma avendogli il Damiani detto, non so a qual proposito, ch'io fossi dedito alla lettura, il referendario mi ha chiesto quali libri avessi letti. Veramente una tal domanda è così impensata ed imbarazzante, che in riscontro gli dissi che il signor Damiani mi faceva un onore che io non meritavo. Vedete s'io ho ragione di chiamare la civiltà sua un cerimoniale, non una cortesia. Che giova a me che uno mi accompagni per più stanze con molte riverenze, quando mi pone indiscretamente nella scelta o di fare il ciarlatano colla lista dei libri da me veduti, o di fare la umiliante figura di un discepolo che va all'esame? Ma qui non se ne avvede chi fa di queste interrogazioni d'essere inofficioso, e conviene, come dissi, obliviscere populum tuum et domum patris tui, e livellarsi alla meglio senza a prendere a male delle sgarbatezze che vengono fatte non per offesa, ma per mancanza di riflessione. Il punto sta che bisogna guardarsi bene di non seccare il ministro, perché facilmente gli si diventa antipatico, e altronde io vorrei uscire dalla incertezza, ed avere la decisione se potrò o non potrò andare al quartier generale. La stagione è già avanzata, e non vorrei che accadesse un fatto d'armi frattanto ch'io sono in Vienna. L'ordine generale di Sua Maestà è che non si ammettono volontarii al quartier generale, ma quest'ordine è emanato perché nelle campagne passate era troppo grande il numero dei Moscoviti, Polacchi ed altri d'ogni nazione, i quali, non essendo al servizio, facevano da volontarii appresso il maresciallo Daun, che si trovò imbarazzato pei foraggi e viveri di questa inutile moltitudine. Io sono al servizio, e su questo spero una eccezione in favor mio. Non costerà al ministro che una lettera, avuta la quale, parto. Frattanto io mi lascerò regolarmente vedere tutte le sere dal ministro a ciò che si sovvenga di me senza che io l'importuni.

Ho preso un cameriere e un servitore e mi trovo meglio col lasciare il bisbetico Giuseppe a custodire la casa. Subito che avrò da darvi mie nuove le avrete. Vi abbraccio.

 

 

 




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