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Pietro Verri
Diario militare

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Lichtenau, 2 agosto, 1759.

 

Gli altri dall'armata scrivono per comparire spaccamonti, io scrivo semplicemente a fine di farvi schiettamente partecipi di quanto vado io osservando, e se non vi dico la verità degli oggetti, sicuramente almeno vi paleso la verità delle mie sensazioni. Ho almeno il piacere di porvi in situazione di conoscere qualche poco il mestiere del soldato in campagna, e voi lo potete conoscere con meno incomodo certamente che non faccio io.

Io mi figuravo venendo all'armata di dovervi trovare assai libertinaggio, assai festa e allegria, e molta familiarità fra uomo e uomo: tutte le idee sognate. Mi pare che questa unione di uomini che forma l'armata sia un aggregato del rifiuto delle altre società. I soldati comuni sono o canaglia, che invece della galera è stato loro destinato un reggimento, ovvero scioperati che per essersi ubbriacati una volta hanno giurato fedeltà. I bassi ufficiali sono scelti da questo primo fondo. Gli ufficiali poi pochi sono gente di buona nascita, e quei pochi sono ordinariamente spiantati cadetti che, essendo incapaci d'altra occupazione, indossarono un abito bianco e rosso per vivere. Ora tutto questo bel composto è un'unione di persone essenzialmente malcontente. Vi vorrebbe una energia di animo non volgare, un amor della gloria, una passione di farsi distinguere assai violenta per soffocare nel cuore il tedio della vita che ciascuno mena. Non calcolo il pericolo, ché questo è il meno, perché nel corso di un anno difficilmente troverete un uomo che sia stato per sei ore tutto in complesso esposto al pericolo, ma calcolate tutte le intemperie delle stagioni che s'hanno a soffrire, le marce, la schiavitù di non poter uscire dal distretto del reggimento, il cattivo cibo, la mancanza di ogni distrazione, non una donna, non un ballo, niente che rassereni o ravvivi. Io vedo su tutti i visi della tristezza feroce che palesa l'uomo malcontento; questo introduce delle maniere assai ruvide reciprocamente. Si cavano il cappello gli ufficiali l'un l'altro quasi che s'insultassero. Passare delle ore con davanti un bicchiere di cattiva birra o fumando, questo è il solo bene che comunemente prova un ufficiale. Interrogate sulla guerra, pochissimi sapranno rispondervi, non sono al fatto né degli avvenimenti della guerra presente, né della teoria dell'arte in generale della guerra. Un capitano sa come campa la sua compagnia, quanti uomini la compongono e il dettaglio delle scarpe, stivaletti, ecc., che gli occorrono. Sa che si è battuto nella tale e tale occasione, che ha fatto la tal marcia, ecc. Ma fuori dalla sfera di quanto lo riguarda immediatamente, ben pochi sono che ne sappiano qualche cosa. Erano otto giorni da che io ero giunto all'armata a Görlitzheim ove da più settimane era il campo, ed io non avevo mai potuto sapere precisamente se eravamo nella Slesia, ovvero in Boemia, ovvero nella Lusazia, giacché questo piccolo luogo non si trovava sulle mie carte, e i confini erano vicini. Alcuni da me interrogati non lo sapevano, altri davano varie e contradittorie risposte, finalmente il giovine principe Lobkovitz, che è assai più colto degli altri, mi ha mostrato una carta esatta ed ho da esso saputo che eravamo veramente in Lusazia. Un bastimento in mare almeno sa in qual parte del globo si trova e in un corpo d'armata dopo venti giorni nessuno sapeva dirlo! Che direte della mia ingenuità se vi scrivo che gli stessi generali aiutanti fanno arrivare da Vienna la gazzetta per avere le nuove dell'armata! Io lo vedo ogni giorno e me lo crederete. Il maresciallo Daun non parla mai di guerra, alla sua tavola, ove v'è sempre un luogo per me, si sta come se fossimo in città, non si nominano mai i Prussiani, non si tocca mai discorso che appartenga alla guerra. Vi assicuro che a vedere da vicino questi oggetti sono diversi assai da quello che appaiono da lontano. Noi crediamo di vedere le descrizioni del Tasso e dell'Ariosto, un'unione di eroi che avvampano per la gloria, anime passionate pel mestiere, avide d'illuminarsi, animate da principii di generosa elevazione... cassa, cassa, ipocondria, noia, schiavitù, invidia, rusticità e non altro.

Pochi giorni dopo che fui all'armata mi raggiunse il mio Federico e mi liberò dal pensiero che avevo, che se frattanto capitava una marcia non solamente dovevo farla a piedi, ma rischiavo perdere la roba mia non avendo cavalli da trasportarla. Privo di cavallo, dovevo in quei giorni fare le cinque o sei miglia a piedi, poiché distante il quartier generale più d'un miglio, vi andavo due volte al giorno se non altro per sentire se si marciava. Avuti i miei cavalli, i quali con Federico avevano fatto un giro cercando l'armata ove non era, ho cominciato a soffrir meno incomodo. Anzi ho abbandonato il quartiere così meschino e discosto, ed ho piantata la mia tenda in vicinanza del signor maresciallo: dormo assai meglio sotto la tenda che in quella puzzolenta stanza che non basta a contenermi ritto in piedi e ove una falange di mosche non mi lasciava quieto. Il giorno 29, secondo il solito, io era dopo pranzo all'anticamera del maresciallo. Egli uscì e tutti gli facemmo seguito a cavallo, si fece un gran giro per visitare il terreno all'intorno ed io non capii nulla, né trovai alcuno che mi sapesse insegnare qualche cosa; a notte ritornai nella tenda e vidi che il mio cameriere aveva già fatto impacchettare il letto e stava per spiantare la tenda. - E perché questo? gli chiesi. - Perché domattina all'aurora si marcia, rispose. - Questo è impossibile, or ora vengo dal quartier generale, nessuno parla o sa di questo. - Se non lo sanno quei signori, io l'assicuro che è così, la tenda del principe d'Anhalt è già spiantata, lo so dal cameriere del principe che è mio amico, e il cameriere lo sa per mezzo dei stallieri di sua eccellenza il maresciallo. - Imparai da quel punto a regalare i palafrenieri e stallieri del signor maresciallo, i quali ai loro buoni amici sanno dar avviso preventivo delle marce, essendo essi informati di ciò, coll'ordine che ricevono per la biada ai cavalli più per tempo e per tenerli sellati. Questi fatto non si crederebbero se venissero scritti da altri, tanto sono veramente poco ragionevoli e difformi dagli usi comuni della vita. Ricevuto quest'annunzio feci immediatamente por mano perché tutto fosse pronto, e allo spuntar del giorno il mio carro potesse essere dei primi a mettersi in fila onde in tal modo fosse anche dei primi a giungere e collocarsi al mio nuovo quartiere, il quale, come quello d'ogni altro assegnato al quartier generale, sarebbe scritto alla porta del nuovo alloggio del maresciallo. Vi confesso che nell'interno dell'animo mio ebbi in quell'ora dell'agitazione. Si marcia. Si osserva un mistero impenetrabile sulla marcia, non meno che sul luogo ove dobbiamo portarci. Verosimilmente si vuol sorprendere ed attaccare l'inimico. Forse a quest'ora domani sarò senza una gamba... Ma è il mio mestiere, son venuto qui per questo; tanti altri corrono lo stesso pericolo; vi sono alcuni che contano ventine di battaglie e sono sani; avrò piacere di raccontarlo poi, queste ragioni mi raccomodano con me stesso. Vi dirò però, che dell'inquietudine mia interna nessuno né meno i miei domestici se ne sono accorti, anzi non ho mai detto pazzie tanto buffone [come] in quella notte, effetto naturale per distrarre me stesso. All'albeggiare del giorno monto a cavallo col mio palafreniere e vado dal signor maresciallo. Fui dei primi, un'aiutante generale s'alzava allora dalla paglia nell'anticamera, chiesi ove andavamo, nessuno lo sapeva. Cessai d'interrogare a ciò che nessuno sospettasse inquietudine in me. Poco dopo giunge il generale principe di Montacoremi. Cerca da me ove si marciava! compare il maresciallo, si dice messa, si legge l'orazione per la fortuna delle nostre armi, si discende, il maresciallo monta a cavallo e tutti noi di seguito. Il maresciallo aveva avanti da sé quattro aiutanti generali e due aiutanti d'ala, poi subito dopo la sua persona eravi un trombetta poi un ussero di suo servizio, poi una moltitudine di volontarii. Il duca di Braganza, il principe Luigi di Vittemberg, un figlio del conte Kaunitz, un Lobkovitz, e una folla d'altri generali. Io povero capitano, naturalmente venivo in seguito con altri Dii minorum gentium. Nessuno sapeva ove si andasse, per il che non chiesi altro; la polve era enorme alzata da tanto calpestio; nelle marce bisogna stare attenti che i tanti cavalli, che guidano a mano i palafrenieri, non vi favoriscano un calcio. Si marciò fin verso mezzogiorno. Ebbi pena ad informarmi che il nuovo campo ove giungemmo fosse Lichtenau. Tutti quanti girammo avanti e indietro nel nuovo campo senza ch'io abbia potuto formarmi un embrione d'idea come eravamo accampati. Non ho osservato che linee irregolari, parte dell'armata fa fronte da un lato, e parte dall'opposto; non v'è uomo fra tutti costoro che capisca od abbia volontà d'insegnare a chi ha voglia d'istruirsi. Dopo questo gran cavalcare per dieci ore di seguito, io e il cavallo non ne potevamo più dal caldo, dalla stanchezza e dalla polvere. Accompagno il maresciallo sino al suo alloggio, e alla porta vedo il libro, cerco il mio nome, trovo che il mio quartiere è presso Matthias Hilber. Cerco un ragazzo che con pochi soldi mi conduca da Matthias Hilber, spero trovarvi la mia gente che mi avessero apparecchiato il pranzo, ma non erano giunti. Del pan nero e del burro che aveva il buon Matthias, furono il mio pranzo. Però mi sentivo stranamente stanco, e la mia gente di servizio tardarono a comparire sino verso sera. Mi dissero tante scuse e pretesti che non posso verificare, fatto si è che non mi hanno servito bene.

Il punto essenziale è che sin ora non ho veduto il nemico, nemmeno col cannocchiale, nessuno sa dove sta o presso a poco. Gli uni dicono che contro di noi v'è il re, altri al contrario sostengono che vi è il principe Enrico. È una vera babilonia, e, amico caro, se la cosa continua così, mi pare che questa sia veramente una vita da disperato. Non intendo né imparo precisamente nulla affatto, e tocco con mano che la massima parte degli ufficiali non ne sanno più di me. Basta, potrò almen dire e conoscere che nel mestier della guerra, il quale pare a primo aspetto sia da farsi con energia, con impeto, con calore e con impegno, realmente gli uomini sono spossati, indifferenti, annoiati e ignoranti. Hoc tantum scio me nihil scire. Se coll'andare avanti la scena muterà ve ne avviserò, e di buon grado mi ritratterò, sempre però vi communicherò i sentimenti che mi occupano.

Il signor maresciallo mi ha fa tutte le graziosità, m'ha fatto avvisare che per me sempre vi è luogo alla sua tavola; io vi vado di tempo in tempo per farmi vedere, ma mi piace pranzare colla roba mia. È accaduto che volendomi collocare alla seconda tavola, ove però vi sono gli ufficiali dello stato maggiore, sono stato tolto di là e collocato alla prima dal maresciallo istesso. Osservo che m'indirizza sempre qualche parola; sono contentissimo di questo signore, che non so come da taluni siasi creduto altiero.

Un generale m'ha lodato il mio tabacco di Spagna ed esagerava che a nessun prezzo se ne può qui trovare. Gli feci avere al suo quartiere un barattolo di due libbre. Mi ha ringraziato; in seguito non mi salutò più. Prima che io doni l'altro barattolo, me lo sapranno dire! D'inezie ne abbiamo sin che se ne vuole: vi sono merciai all'alloggio del comandante che vendono tutte le più inutili galanterie del lusso; ma se volete un paio di stivali, un cappello, del panno per servirti, un paio di guanti, ecc., non si trovano. Si vive del resto da veri cappuccini, non vedo una donna, giacché non darò questo nome alle orribili figure di quelle che vengono insieme all'armata coi vivandieri. Credo anzi che la più bella e fresca giovane in venti giorni che vivesse con noi, diventerebbe deforme dal sole, dalla polve, dagli stenti, e dal dormire vestita, oltre poi la rogna e qualche insetto che acquisterebbe. Oh, amico, quanto sarebbe mai deforme il peccato! Vi abbraccio teneramente.

 

 

 




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