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Pietro Verri
Diario militare

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Schilda, 1 novembre, 1759.

 

 Son già dieci giorni che siamo immobili in questo quartiere, passo a passo siam giunti sin qui. Il nemico è accampato a Torgau contro di noi, che siamo appostati prima a Belgern, poi qui, ma si dice che non è visibile da vicino, sta sopra una costa elevata, ha davanti delle paludi, ai due fianchi l'Elba e un'altra cinta di boschi.

Lloyd vorrebbe dar fuoco a quel bosco di piante resinose, aspettare che il vento spingesse il fumo nel campo, ha designato come attaccarlo; ma le sue idee sono idee d'un povero tenente. Abbiamo distaccato il duca d'Aremberg, con diciottomila uomini, che si è appostato dietro al nemico a Dommitzch, ma i Prussiani hanno libera la riva diritta dell'Elba e non s'imbarazzano d'essere fra due, attesa la vantaggiosa situazione del loro campo. Giorni sono è accaduto che l'aiutante del duca d'Aremberg, è stato fatto prigioniero dai nemici, mentre dall'armata andava a portare al duca le lettere della posta. Il principe Enrico, ricevute queste, ed osservato il sigillo della duchessa d'Aremberg, spedì un trombetta al corpo del duca colla lettera e due righe, nelle quali gli diceva che, sebbene avesse prese coll'aiutante le sue lettere, non voleva differirgli la soddisfazione d'avere nuove della duchessa sua sposa, giacché era informato dei rispettabili sentimenti che li univa. In questa guerra si vedono altresì dei tratti d'umanità. Tutto il bene che si può fare ai nemici senza pregiudicare la causa, si fa. Se un servitore mi ruba e va al nemico, con una trombetta si passa l'avviso, e reciprocamente si consegna. I nostri prigionieri erano ben trattati nei primi anni a Berlino e dovunque; ma avendo poi il re di Prussia saputo che i suoi si confinavano nel Tirolo, non si tolleravano in Vienna, ed erano maltrattati, cambiò metodo; però non si può dire che siano maltrattati. Qui non v'è opinione né stabile, né ragionevole sul conto del re di Prussia, è un asino e peggio se occorre. Nel momento però che abbiamo un minimo rovescio, tutti ammutoliscono e si guarda il re come un gran soldato, e si teme. Un gran soldato lo è certamente, e lo dobbiamo dire per nostra riputazione, giacché resiste alla Francia, Austria, Moscovia, Impero e Svezia collegati, contro di lui, e attualmente non possediamo un palmo del suo.

Da che v'ho scritto mi son più volte trovato nella piccola guerra che i posti avanzati fanno a Belgen. Mi son trovato in mezzo alle nostre batterie di cannoni e quelle dei nemici. La curiosità mi spinse ad accostarmi verso il villaggio di Benewitz, che se ne disputavano il possesso una banda di Prussiani e dei nostri; a mezza strada cominciò a sentirsi lo scoppio alle spalle del nostro cannone; dopo un momento si sentì di contro la risposta e il muggito delle palle sulla mia testa, la musica rinforzava d'ambe le parti, e ingenuamente vi dico che niente mi piaceva. Quel rumore della palla di cannone ha del ferale, e bisogna ch'io faccia uno sforzo per resistervi, ma erano con me altri ufficiali; incontrammo il generale O'Donnel, che disse: - Costoro ci hanno preso di mira. - Il vicendevole impegno ci ha tenuti tutti fermi e tranquilli, sebbene continuasse vivamente la musica. Io solo ho saputo che avevo assai timore, ma intanto distribuivo tabacco, e il capitano Castelli, aiutante di O'Donnel, ne prese e mi parlò, credo che allora avesse tanto pensiero di sé che nemmeno dopo gli potei far risovvenire d'avermi parlato. Bel bello il generale s'incammina verso i nostri, e tutti noi lo seguimmo con eguale gravità sotto il continuo muggito di queste palle, che credo non passassero lontane. Un movimento naturale mi avrebbe costretto ogni volta a piegarmi sul collo del cavallo; ma la brama dell'opinione mi faceva star ritto come un palo. Quando ne fui fuori, dopo un buon quarto d'ora di questa faccenda, v'assicuro che mi trovai ben contento. Mi direte perché mi vado esponendo così alla ventura, sebbene non lo debba fare che in seguito al maresciallo; vi rispondo che l'occasione porta di essere in compagnia, e quando uno propone d'andare per curiosità, non mai bisogna farsi desiderare; non vorrei che per essere io più civile e ragionevole di costoro, mi credessero di minor coraggio, la mia cortesia nasce da scelta educazione e da principii, non da timidezza. Eccovi il secreto. Il maggiore del mio reggimento comanda un distaccamento di granatieri, quando il maresciallo cerca il mio cannocchiale che è eccellente e quasi sempre lo cerca per osservare il nemico, il maggiore cerca di formarsi un crocchio con un cannocchiale di Venezia di cinque o sei paoli, e pare un saltimbanco cercando di screditare il mio in confronto del suo. Vedete che vendetta! Fatto sì è che nessuno degli ufficiali del reggimento vedonsi al quartier generale, non osano mostrarsi e vivono nel loro covile, annoiatissimi fra gli annoiati, sapendo nulla di ciò che accade e non conosciuti da alcuno. Il bel mestiere che avrei fatto, se non otteneva di essere collocato dove sono! Il quartier generale è veramente la Corte dell'armata. Credo che l'accoglienza fattami dal colonnello, e la bella cortesia del maggiore siano state eccitate dal maresciallo Clerici; egli è di carattere ad ordire simile ricevimento, per qual ragione poi due uomini ai quali non aveva fatto alcun dispiacere, e che mi vedevano per la prima volta di mia vita, dovevano usarmi ostilità? Fra costoro del reggimento non ho veduto che un solo il quale mi è parso ragionevole, ed è il tenente colonnello Lombardi, egli vi è addetto e da poco tempo. Difficilmente m'indurrò a vivere in così disgustosa società. Ho già scritto ad un amico di casa per vedere se mi vorranno assistere per le altre campagne, sulla risposta prenderò le mie misure. Il marchese Clerici, mio cugino, quando partii mi raccomandò vivamente di scrivergli nuove. Sino a che fu a Milano le aggradì moltissimo e mi rispose graziosamente, ora che è a Vienna e non ne ha bisogno, ha cambiato stile; può aspettarsi altre mie lettere! Non ho mai cercato d'entrare nel suo reggimento. Il conte Cristiani spontaneamente s'era esibito di collocarmi in un impiego. L'anno scorso prima di morire mi fece avvisare che, s'egli soccombeva, dovessi dirigermi al conte Kaunitz, già da lui prevenuto; in conseguenza di ciò, v'assicuro che nessuno è stato più maravigliato di me, quando in agosto dell'anno scorso mi venne annunciato che ero capitano nel reggimento Clerici, colla inaspettata condizione di dover servire sempre nel battaglione d'Italia, per non scostarmi dai miei parenti. Questa condizione mi ha spinto appunto a chiedere il permesso di fare la campagna. Ma quel poco tempo d'otto mesi che fui a Milano coll'uniforme, bastò per farmi desiderare di non aver a che fare col marchese cugino. Alla domenica egli lascia venire gli ufficiali alla sua anticamera, ove li lascia per un'ora, frattanto entrano i suoi buffoni, e termina col farci dire che ci ringrazia, ma non può riceverci. Per un galantuomo ben nato, la cerimonia è poco graziosa. Egli è aspro, in faccia diventa officioso, non mi va a genio il suo carattere. Giorni sono il maresciallo ha spedito secretamente a Dresda, il capitano Collin per sapere dal generale Griboval, che ha la cura di fortificarvi un campo, qual sicurezza avremo. Questo prova che probabilmente finiremo l'anno col tornare indietro. Di più so che il maresciallo non sa di fortificazione, e il capitano ha avuta molta difficoltà a fargli comprendere i movimenti di terra che si son fatti. Quantum est in rebus inane! Sento che questo Griboval sia un francese di molto merito, non vorrei che anch'esso finisse a disgustarsi. I due generali prussiani, Rebentisch e Finck, che ora comandano due corpi separati, e ci perseguitano giorno e notte senza posa, erano due ufficialetti al servizio nostro, maltrattati forse perché non erano al livello degli altri. Finalmente disgustatisi, abbandonarono e passarono al servizio di Prussia, Federico gli ha conosciuti, gli ha rialzati, e lo proviamo noi: coloro fanno la guerra del loro padrone e la loro propria.

Il mio Lloyd è generalmente temuto ed odiato, perché non sa trattenersi e lascia vedere il proprio disprezzo che ha per chi lo merita. I primi signori gli corrono dietro come ad un uomo singolare. Al quartier generale, nell'anticamera, alle volte egli ha un circolo di quanto v'è di più distinto, lo stuzzicano a parlare dello stato delle cose, su quello che si può fare, sul bene e male dei nostri movimenti, egli lascia sbucciare la sua impazienza sulla nostra inoperosità, ed una volta l'ho udito alla porta stessa del maresciallo, interrogato cosa credeva che si facesse. - Delle scioccherie al solito - rispose ad alta voce. È molto se non si perde: ma egli vuol volare, od andarsene. Qualunque sia il suo destino, lo amerò e lo onorerò sempre, perché sin ora non ho trovate riunite in un uomo tante eccellenti qualità. Egli dice che invidia la cortesia del mio carattere, e se ne potesse avere una dose nel suo tutto, vorrebbe diventar padrone del mondo.

Vi abbraccio.

 

 

 




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