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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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CAPITOLO OTTAVO

Accidente per cui di nuovo rivedo Napoli, e Roma, dove mi fisso.

 

La donna mia (come piú volte accennai) vivevasi angustiatissima; e tanto poi crebbero quei dispiaceri domestici, e le continue vessazioni del marito si terminarono finalmente in una violenta scena baccanale nella notte di Sant'Andrea, ch'ella per non soccombere sotto orribili trattamenti fu alla per fine costretta di cercare un modo per sottrarsi a fatta tirannia, e salvare la salute e la vita. Ed ecco allora, che io di bel nuovo dovei (contro la natura mia) raggirare presso i potenti di quel governo, per indurli a favorire la liberazione di quell'innocente vittima da un giogo barbaro e indegno. Io, assai ben conscio a me stesso che in codesto fatto operai piú pel bene d'altri che non per il mio; conscio ch'io mai non diedi consiglio estremo alla mia donna, se non quando i mali suoi divennero estremi davvero, perché questa è sempre stata la massima ch'io ho voluta praticare negli affari altrui, e non mai ne' miei propri; e conscio finalmente ch'era cosa oramai del tutto impossibile di procedere altrimenti, non mi abbassai allora, né mi abbasserò mai, a purgarmi delle stolide e maligne imputazioni che mi si fecero in codesta occorrenza. Mi basti il dire, che io salvai la donna mia dalla tirannide d'un irragionevole e sempre ubriaco padrone, senza che pure vi fosse in nessunissimo modo compromessa la di lei onestà, né leso nella minima parte il decoro di tutti. Il che certamente a chiunque ha saputo o viste dappresso le circostanze particolari della prigionia durissima in cui ella di continuo ad oncia ad oncia moriva, non parrà essere stata cosa facile a ben condursi, e riuscirla, come pure riuscí a buon esito.

Da prima dunque essa entrò in un monastero in Firenze, condottavi dallo stesso marito come per visitar quel luogo, e dovutavela poi lasciare con somma di lui sorpresa, per ordine e disposizioni date da chi allora comandava in Firenze. Statavi alcuni giorni, venne poi dal di lei cognato, chiamata in Roma, dove egli abitava; e quivi pure si ritirò in altro monastero. E le ragioni di fatta rottura tra lei e il marito furono tante e manifeste, che la separazione fu universalmente approvata.

Partita essa dunque per Roma verso il finir di decembre, io me ne rimasi come orbo derelitto in Firenze; ed allora fui veramente convinto nell'intimo della mente e del cuore, ch'io senza di lei non rimanea neppur mezzo, trovandomi assolutamente quasi incapace d'ogni applicazione, e d'ogni bell'opera, né mi curando piú punto né della tanto ardentemente bramata gloria, né di me stesso. In codesto affare io avea dunque caldamente lavorato per l'util suo, e pel danno mio; poiché niuna infelicità mi potea mai toccare maggiore, che quella di non punto vederla. Io non potea decentemente seguitarla tosto in Roma. Per altra parte non mi era possibile piú di campare in Firenze. Vi stetti tuttavia tutto il gennaio dell'81, e mi parvero quelle settimane, degli anni, né potei poi proseguire nessun lavoro, né lettura, né altro. Presi dunque il compenso di andarmene a Napoli; e scelsi, come ben vede ciascuno, espressamente Napoli, perché ci si va passando di Roma.

Già da un anno e piú mi si era di bel nuovo diradata la sozza caligine della seconda accennata avarizia. Aveva collocato in due volte piú di centosessanta mila franchi nei vitalizi di Francia; il che mi facea tenere sicura oramai la sussistenza indipendentemente dal Piemonte. Onde io era tornato ad una giusta spesa; ed avea ricomperato cavalli, ma soli quattro, che ad un poeta n'avanzano. Il caro abate di Caluso era anche tornato a Torino da piú di sei mesi; quindi io senza nessuno sfogo d'amicizia, e privo della mia donna, non mi sentendo piú esistere, il bel primo di febbraio mi avviai bel bello a cavallo verso Siena, per abbracciarvi l'amico Gori, e sgombrarmi un po' il cuore con esso. Indi proseguii verso Roma, la di cui approssimazione mi facea palpitare; tanto è diverso l'occhio dell'amante da tutti gli altri. Quella regione vuota insalubre, che tre anni innanzi mi parea quel ch'era, in questo venire mi si presentava come il piú delizioso soggiorno del mondo.

Giunsi; la vidi (oh Dio, mi si spacca ancora il cuore pensandovi), la vidi prigioniera dietro una grata, meno vessata però che non l'avea vista in Firenze, ma per altra cagione non la rividi meno infelice. Eramo in somma disgiunti; e chi potea sapere per quanto il saremmo? Ma pure, io mi appagava piangendo, ch'ella si potesse almeno a poco a poco ricuperare in salute; e pensando, ch'ella potrebbe pur respirare un'aria piú libera, dormire tranquilli i suoi sonni, non sempre tremare di quella indivisibile ombra dispettosa dell'ebro marito, ed esistere in somma; tosto mi pareano e men crudeli e men lunghi gli orribili giorni di lontananza, a cui mi era pur forza di assoggettarmi.

Pochissimi giorni mi trattenni in Roma; ed in quelli, Amore mi fece praticare infinite pieghevolezze e destrezze, ch'io non avrei poste in opera né per ottenere l'imperio dell'universo: pieghevolezze, ch'io ferocemente ricusai praticare dappoi, quando presentandomi al limitare del tempio della Gloria, ancorché molto dubbio se vi potrei ottenere l'accesso, non ne volli pur mai lusingareincensare coloro che n'erano, o si teneano, custodi di esso. Mi piegai allora al far visite, al corteggiare per anche il di lei cognato, dal quale soltanto dipendeva oramai la di lei futura total libertà, di cui ci andavamo entrambi lusingando. Io non mi estenderò gran fatto sul proposito di questi due personaggi fratelli, perché furono in quel tempo notissimi a ciascheduno; e sebbene poi verisimilmente l'obblio gli avrà sepolti del tutto col tempo, a me non si aspetta di trarneli, laudare non li potendo né li volendo biasimare. Ma intanto l'aver io umiliato il mio orgoglio a costoro, può riuscire bastante prova dell'immenso mio amore per essa.

Partii per Napoli, come promesso l'avea, e come, delicatamente operando, il dovea. Questa separazione seconda mi riuscí ancor piú dolorosa della prima in Firenze. E già in quella prima lontananza di circa quaranta giorni, io avea provato un saggio funesto delle amarezze che mi aspettavano in questa seconda, piú lunga ed incerta.

In Napoli la vista di quei bellissimi luoghi non essendo nuova per me, ed avendo io una profonda piaga nel cuore, non mi diede quel sollievo ch'io me ne riprometteva. I libri erano quasi che nulla per me; i versi e le tragedie andavan male, o si stavano; ed in somma io non campava che di posta spedita, e di posta ricevuta, a null'altro potendo rivolger l'animo se non se alla mia donna lontana. E me n'andava sempre solitario cavalcando per quelle amene spiagge di Posilipo e Baia, o verso Capova e Caserta, o altrove, per lo piú piangendo, e fattamente annichilato, che col cuore traboccante d'affetti non mi veniva con tutto ciò neppur voglia di tentare di sfogarlo con rime. Passai in tal guisa il rimanente di febbraio, sin al mezzo maggio.

Tuttavia in certi momenti meno gravosi facendomi forza, qualche poco andai lavorando. Terminai di verseggiare l'Ottavia; e riverseggiai piú che mezzo il Polinice, che mi parve di una pasta di verso alquanto migliorata. Avendo finito l'anno innanzi il secondo canto del poemetto, mi volli accingere al terzo; ma non potei procedere oltre la prima stanza, essendo quello un tema troppo lieto per quel mio misero stato d'allora. Sicché lo scrivere lettere, e il rileggere cento volte le lettere ch'io riceveva di lei, furono quasi esclusivamente le mie occupazioni di quei quattro mesi. Gli affari della mia donna si andavano frattanto rischiarando alquanto, e verso il fin di marzo ella avea ottenuto licenza dal papa di uscire di monastero, e di starsene tacitamente come divisa dal marito in un appartamento che il cognato (abitante sempre fuori di Roma) le rilasciava nel di lui palazzo in città. Io avrei voluto tornar a Roma, e sentiva pure benissimo che per allora non si doveva. I contrasti che prova un cuor tenero ed onorato fra l'amore e il dovere, sono la piú terribile e mortal passione ch'uomo possa mai sopportare. Io dunque indugiai tutto l'aprile, e tutto il maggio m'era anche proposto di strascinarlo cosí, ma verso il dodici d'esso mi ritrovai, quasi senza saperlo, in Roma. Appena giuntovi, addottrinato ed inspirato dalla Necessità e da Amore, diedi proseguimento e compimento al già intrapreso corso di pieghevolezze e astuziole cortigianesche per pure abitare la stessa città e vedervi l'adorata donna. Onde dopo tante smanie, fatiche, e sforzi per farmi libero, mi trovai trasformato ad un tratto in uomo visitante, riverenziante, e piaggiante in Roma, come un candidato che avrebbe postulato inoltrarsi nella prelatura. Tutto feci, a ogni cosa mi piegai, e rimasi in Roma, tollerato da quei barbassori, e aiutato anco da quei pretacchiuoli che aveano o si pigliavano una qualche ingerenza negli affari della donna mia. Ma buon per essa, che non dipendeva dal cognato, e dalla di lui trista sequela, se non se nelle cose di mera convenienza, e nulla poi nelle di lei sostanze, le quali essa aveva in copia per altra parte, ed assai onorevoli, e per allora sicurissime.

 

 

 




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