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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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CAPITOLO UNDECIMO

Seconda stampa di sei altre tragedie. Varie censure delle quattro stampate prima. Risposta alla lettera del Calsabigi.

 

Verso i primi d'agosto partito di Milano, mi volli restituire in Toscana. Ci venni per la bellissima e pittoresca via nuova di Modena, che riesce a Pistoia. Nel far questa strada, tentai per la prima volta di sfogare anche alquanto il mio ben giusto fiele poetico, in alcuni epigrammi. Io era intimamente persuaso, che se degli epigrammi satirici, taglienti, e mordenti, non avevamo nella nostra lingua, non era certo colpa sua; ch'ella ha ben denti, ed ugne, e saette, e feroce brevità, quanto e piú ch'altra lingua mai l'abbia, o le avesse. I pedanti fiorentini, verso i quali io veniva scendendo a gran passi nell'avvicinarmi a Pistoia, mi prestavano un ricco soggetto per esercitarmi un pochino in quell'arte novella. Mi trattenni alcuni giorni in Firenze, e visitai alcuni di essi, mascheratomi da agnello, per cavarne o lumi, o risate. Ma essendo quasi impossibile il primo lucro, ne ritrassi in copia il secondo. Modestamente quei barbassori mi lasciarono, anzi mi fecero chiaramente intendere: che se io prima di stampare avessi fatto correggere il mio manoscritto da loro, avrei scritto bene. Ed altre fatte mal confettate impertinenze mi dissero. M'informai pazientemente, se circa alla purità ed analogia delle parole, e se circa alla sacrosanta grammatica, io avessi veramente solecizzato, o barbarizzato, o smetrizzato. Ed in questo pure, non sapendo essi pienamente l'arte loro, non mi seppero additare niuna di queste tre macchie nel mio stampato, individuandone il luogo; abbenché pur vi fossero qualche sgrammaticature; ma essi non le conoscevano. Si appagarono dunque di appormi delle parole, dissero essi, antiquate; e dei modi insoliti, troppo brevi, ed oscuri, e duri all'orecchio. Arricchito io in tal guisa di peregrine notizie, addottrinato e illuminato nell'arte tragica da cospicui maestri, me ne ritornai a Siena. Quivi mi determinai, per occuparmi sforzatamente, che per divagarmi dai miei dolorosi pensieri, di proseguirvi sotto i miei occhi la stampa delle tragedie. Nel riferire io poi all'amico le notizie ed i lumi ch'io era andato ricavando dai nostri diversi oracoli italiani, e massimamente dai fiorentini e pisani, noi gustammo un pocolino di commedia, prima di accingerci a far di nuovo rider coloro a spese delle nostre ulteriori tragedie. Caldamente, ma con troppa fretta, mi avviai a stampare, onde in tutto settembre, cioè in meno di due mesi, uscirono in luce le sei tragedie in due tomi, che giunti al primo di quattro, formano il totale di quella prima edizione. E nuova cosa mi convenne allora conoscere per dura esperienza. Siccome pochi mesi prima io avea imparato a conoscere i giornali ed i giornalisti; allora dovei conoscere i censori di manoscritti, i revisori delle stampe, i compositori, i torcolieri, ed i proti. Meno male di questi tre ultimi, che pagandoli si possono ammansire e dominare: ma i revisori e censori, spirituali che temporali, bisogna visitarli, pregarli, lusingarli, e sopportarli, che non è picciol peso. L'amico Gori per la stampa del primo volume si era egli assunto in Siena queste noiose brighe per me. E cosí forse avrebbe anche potuto proseguire egli per la continuazione dei du' altri volumi. Ma io, volendo pure, per una volta almeno, aver visto un poco di tutto nel mondo, volli anche in quell'occasione aver veduto un sopracciglio censorio, ed una gravità e petulanza di revisore. E vi sarebbe stato di cavarne delle barzellette non poche, se io mi fossi trovato in uno stato di cuore piú lieto che non era il mio.

E allora anche per la prima volta abbadai io stesso alla correzione delle prove; ma essendo il mio animo troppo oppresso, ed alieno da ogni applicazione, non emendai come avrei dovuto e potuto, e come feci poi molti anni dopo ristampando in Parigi, la locuzione di quelle tragedie; al qual effetto riescono utilissime le prove dello stampatore, dove leggendosi quegli squarci spezzatamente e isolati dal corpo dell'opera, vi si presentano piú presto all'occhio le cose non abbastanza ben dette; le oscurità; i versi mal tomiti; e tutte in somma quelle mendarelle, che moltiplicate e spesseggianti fanno poi macchia. Sul totale però queste sei tragedie stampate seconde, riuscirono, anche al dir dei malevoli, assai piú piane che le quattro prime. Stimai bene per allora di non aggiungere alle dieci stampate le quattro altre tragedie che mi rimanevano, tra le quali la Congiura de' Pazzi, che la Maria Stuarda, potevano in quelle circostanze accrescere a me dei disturbi, ed a chi assai piú mi premea che me stesso. Ma intanto quel penoso lavoro del riveder le prove, e affollatamente tante in poco spazio di tempo, e per lo piú rivedendole subito dopo pranzo, mi cagionò un accesso di podagra assai gagliardetto, che mi tenne da quindici giorni zoppo e angustiato, non avendo voluto covarla in letto. Quest'era il secondo accesso; il primo l'avea avuto in Roma un anno e piú innanzi, ma leggerissimo. Con questo secondo mi accertai, che mi toccherebbe quel passatempo assai spesso per lo rimanente della mia vita. Il dolor d'animo, e il troppo lavoro di mente erano in me i due fonti di quell'incommodo; ma l'estrema sobrietà nel vitto l'andò sempre poi vittoriosamente combattendo; tal che finora pochi e non forti sono sempre stati gli assalti della mia mal pasciuta podagra. Mentr'io stava quasi per finire la stampa, ricevei dal Calsabigi di Napoli una lunghissima lettera, piena zeppa di citazioni in tutte le lingue, ma bastantemente ragionata, su le mie prime quattro tragedie. Immediatamente, ricevutala, mi posi a rispondergli, perché quello scritto mi pareva essere stato fin allora il solo che uscisse da una mente sanamente critica e giusta ed illuminata; perché con quell'occasione io poteva sviluppare le mie ragioni, e investigando io medesimo il come e il perché fossi caduto in errore, insegnare ad un tempo a tutti i tant'altri inetti miei critici a criticare con frutto e discernimento, o tacersi. Quello scritto mio, che dal ritrovarmi io allora pienissimo di quel soggetto, non mi costò quasi punto fatica, poteva poi anche col tempo servire come di prefazione a tutte le tragedie, allorché l'avessi tutte stampate; ma me lo tenni in corpo per allora, e non lo volli apporre alla stampa di Siena, la quale non dovendo essere altro per me che un semplice tentativo, io voleva uscire del tutto nudo d'ogni scusa, e ricevere cosí da ogni parte e d'ogni sorte saette; lusingandomi forse che n'avrei cosí ricevuto piú vita che morte; niuna cosa piú ravvivando un autore, che il criticarlo inettamente. Né questo mio orgoglietto avrei dovuto rivelare, s'io non avessi fin dal principio di queste chiacchiere impreso e promesso di non tacer quasi che nulla del mio, o di non dare almeno mai ragione del mio operare, la quale non fosse, la schiettissima verità. Finita la stampa, verso il principio d'ottobre pubblicai il secondo volume; e riserbai il terzo a sostener nuova guerra, tosto che fosse sfogata e chiarita la seconda.

Ma intanto, ciò che mi premeva allora sopra ogni cosa, il rivedere la donna mia, non potendosi assolutamente effettuare per quell'entrante inverno, io disperatissimo di tal cosa, e non ritrovando mai pace, né luogo che mi contenesse, pensai di fare un lungo viaggio in Francia ed in Inghilterra, non già che me ne fosse rimastodesideriocuriosità, che me n'era saziato d'entrambi dal secondo viaggio, ma per andare; che altro rimedio o sollievo al dolore non ho saputo ritrovar mai. Coll'occasione di questo nuovo viaggio mi proponeva poi anche di comprare dei cavalli inglesi quanti piú potrei. Questa era, ed è tuttavia, la mia passione terza; ma fattamente sfacciata ed audace, e spesso rinascente, che i bei destrieri hanno molte volte osato combattere, e vinto anche talvolta, i libri che i versi; ed in quel punto di scontentezza di cuore, le Muse aveano pochissimo imperio su la mente mia. Onde di poeta ripristinatomi cavallaio, me ne partii per Londra con la fantasia ripiena ed accesa di belle teste, be' petti, altere incollature, ampie groppe, o nulla o poco pensando oramai alle uscite e non uscite tragedie. Ed in fatte inezie consumai ben otto e piú mesi, non facendo piú nulla, né studiando, né quasi pure leggendo, se non se a squarcetti i miei quattro poeti, che or l'uno or l'altro io mi andava a vicenda intascando, compagni indivisibili miei nelle tante e tante miglia ch'io faceva; e non pensando ad altro che alla lontana mia donna, per cui di tempo in tempo alcune rime di piagnisteo andava pur anche raccozzando alla meglio.

 

 

 




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