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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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CAPITOLO DECIMOTTAVO

Soggiorno di tre e piú anni in Parigi. Stampa di tutte le tragedie. Stampa nel tempo stesso di molte altre opere in Kehl

 

Appena io cominciava alquanto a riavermi, che l'amico (anch'egli molto prima guarito della slogatura del pugno), avendo delle occupazioni letterarie in Torino, dove era segretario dell'Accademia delle Scienze, volle far una scorsa a Strasborgo prima di ripartir per l'Italia. Io, benché ancora infermiccio, per goder piú lungamente di lui ce lo volli accompagnare. Ed anche la signora ci venne, e fu nell'ottobre. Si andò fra l'altre cose a vedere la famosa tipografia stabilita in Kehl grandiosamente dal signor di Beaumarchais, coi caratteri di Baskerville comprati da esso, e destinato il tutto alle molte e varie edizioni di tutte l'opere di Voltaire. La bellezza di quei caratteri, la diligenza degli artefici, e l'opportunità che mi somministrava l'essere io molto conoscente del suddetto Beaumarchais dimorante in Parigi, m'invogliarono di prevalermene per colà stampare tutte l'altre mie opere che tragedie non erano; ed alle quali avrebbero potuto essere d'intoppo le solite stitichezze censorie, le quali esistevano allora anche in Francia, e non picciole. Sempre ha ripugnato moltissimo all'indole mia di dover subire revisione per poi stampare. Non già ch'io creda, né voglia, che s'abbia a stampare ogni cosa; ma per me ho adottata nell'intero la legge d'Inghilterra, ed a quella mi attengo; né fo mai nessuno scritto, che non potesse liberissimamente e senza biasimo nessuno dell'autore essere stampato nella beata e veramente sola libera Inghilterra. Opinioni, quante se ne vuole; individui offesi, nessuni; costumi, rispettati sempre. Queste sono state, e saran sempre le sole mie leggi; né altre se ne può ragionevolmente ammettere, né rispettare.

Ottenuta io dunque direttamente dal Beaumarchais di Parigi la permissione di prevalermi in Kehl della di lui ammirabile stamperia, con quell'occasione d'esservi capitato io stesso, lasciai a que' suoi ministri il manoscritto delle mie cinque odi, che intitolate avea L'America libera, affine che quest'operetta mi servisse come di saggio. Ed in fatti ne riuscí cosí bella e corretta la stampa, ch'io poi per due e piú anni consecutivi vi andai successivamente stampando tutte quelle altre opere, che si son viste o che si vedranno. E le prove me ne venivano settimanalmente spedite a rivedere in Parigi; ed io continuamente andava sempre mutando e rimutando i bei versi interi; a ciò invitandomi, oltre la smisurata voglia del far meglio, anche la singolare compiacenza e docilità di quei proti di Kehl, dei quali non mai abbastanza mi potrei lodare; diversissimi in ciò dai proti, compositori, e torcolieri del Didot in Parigi, che mi hanno lungamente fatto fare il sangue verde, e cotanto mi hanno taglieggiato nelle borsa, facendomi a peso d'oro arbitrariamente ricomprare ogni mutazion di parola ch'io facessi; tal che se si suole talvolta nella vita ottenere ricompensa dell'emendarsi, io ho dovuto all'incontro pagare per emendare i miei spropositi, o per barattarli.

Si tornò d'Argentina nella villa di Colmar, e pochi giorni dopo, verso il finir d'ottobre, l'amico se ne partí per Torino, lasciandomi sempre piú desiderio di sé, e della sua dotta e piacevole compagnia. Si stette ancora tutto il novembre, e parte del decembre in villa, nel qual tempo mi andai rimettendo adagino della grande scossa avuta negli intestini; e cosí mezzo impotente tanto verseggiai alla meglio, o alla peggio, il Bruto secondo che dovea esser l'ultima tragedia ch'io mai farei; e quindi dovendo venir l'ultima a stamparsi, non mi potea mancar poi tempo di limarla e ridurla a bene.

Arrivati in Parigi, dove atteso l'impegno della intrapresa stampa, era indispensabile ch'io mi fissassi a dimora, cercai casa, ed ebbi la sorte di trovarne una molto lieta e tranquilla, posta isolata sul baluardo nuovo nel sobborgo di San-Germano, in cima d'una strada detta del Monte Parnasso luogo di bellissima vista, d'ottima aria, e solitario come in una villa; compagno della villa di Roma ch'io aveva abitata due anni alle Terme. Si portò con noi a Parigi tutti i cavalli, di cui presso che metà cedei alla signora, , pel di lei servizio, che per diminuirne a me la troppa spesa e divagazione. Cosí collocatomi, a bell'agio potei attendere a quella difficile e noiosa briga dello stampare; occupazione in cui rimasi sepolto per quasi tre anni consecutivi.

Venuto intanto il febbraio del 1788, la mia donna ricevé la nuova della morte del di lei marito seguita in Roma, dove egli da piú di due anni si era ritirato, lasciando Firenze. E benché questa morte fosse preveduta già da un pezzo, attesi i replicati accidenti che da piú mesi l'aveano percosso; e lasciasse la vedova interamente libera di sé, e non venisse a perdere nel marito un amico; con tutto ciò io fui con mia maraviglia testimonio oculare, ch'ella ne fu non poco compunta, e di dolore certamente non finto, né esagerato; che nessun'arte mai entrava in quella schiettissima ed impareggiabile indole. E certo quel suo marito, malgrado la molta disparità degli anni, avrebbe trovato in lei un'ottima compagna, ed un'amica se non un'amante donna, soltanto che non l'avesse esacerbata con le continue acerbe e rozze ed ebre maniere. Io doveva questa testimonianza alla pura verità.

Continuata tutto l'88 la stampa, e vedendomi oramai al 1789 fine del quarto volume, io stesi allora il mio parere su tutte le tragedie, per poi inserirlo in fine dell'edizione. Mi trovai in quell'anno stesso finito di stampare in Kehl le odi, il dialogo, l'Etruria e le Rime. Onde ostinato sempre piú nel lavoro, e per vedermene una volta libero, nel susseguente anno continuai con maggior fervore, e verso l'agosto il tutto fu terminato, in Parigi i sei volumi delle tragedie, che in Kehl le due prose, del Principe e delle lettere, e della Tirannide, che fu l'ultima cosa ch'io vi stampassi. Ed essendomi in quell'anno tornato sotto gli occhi il Panegirico prima stampato nell'87, e trovatovi molte piccole cose che potrei emendare, lo volli ristampare; anche per aver tutte le opere egualmente ben stampate. Con gli stessi caratteri ed opera del Didot lo feci dunque eseguire; e v'aggiunsi l'ode di Parigi sbastigliato, fatta per essermi trovato testimonio oculare del principio di quei torbidi, e tutto il volumetto terminai con una favoluccia, adattata alle correnti peripezie. E cosí, vuotato il sacco, mi tacqui; nessuna altra mia opera avendo tralasciato di stampare, fuorché la tramelogedia d'Abele, perché in questo nuovo genere facea disegno di eseguirne varie altre; e la traduzion di Sallustio, perché non mi pensava mai di entrare nel disastroso e inestricabile labirinto del traduttore.

 

 

 




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