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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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CAPITOLO VIGESIMOQUARTO

La curiosità e la vergogna mi spingono a leggere Omero, ed i tragici greci nelle traduzioni letterali. Proseguimento tepido delle satire, ed altre cosarelle.

 

Meglio tardi che mai. Trovandomi dunque in età di anni quarantasei ben suonati, ed aver bene o male da venti esercitata e professata l'arte di poeta lirico e tragico, e non aver pure mai letto né i tragici greci, né Omero, né Pindaro, né nulla insomma, una certa vergogna mi assalí, e nello stesso tempo anche una lodevole curiosità di vedere un po' cosa aveano detto quei padri dell'arte. E tanto piú cedei volentieri a questa curiosità e vergogna, quanto da piú e piú anni, mediante i viaggi, i cavalli, la stampa, la lima, le angustie d'animo, e il tradurre, mi trovava rinminchionito a tal segno, che avrei ben potuto oramai aspirare all'erudito, che non è poi insomma altro che buona memoria di suo, e roba d'altri. Ma disgraziatamente anche la memoria, ch'io avea già avuta ottima, mi si era assai indebolita. Con tutto ciò per isfuggire l'ozio, cavarmi dallo strione ed uscire un pocolin piú dall'asino, mi accinsi all'impresa. E successivamente Omero, Esiodo, i tre tragici, Aristofane, ed Anacreonte lessi ad oncia ad oncia studiandoli nelle traduzioni letterali latine, che sogliono porsi a colonna col testo. Quanto a Pindaro, vidi ch'egli era tempo perduto; perché le alzate liriche tradotte letteralmente troppo bestial cosa riuscivano; e non potendolo leggere nel testo, lo lasciai stare. Cosí in questo assiduo studio ingratissimo, e di poco utile oramai per me, che spossato non producea piú quasi nulla, c'impiegai quasi che un anno e mezzo.

Alcune rime intanto andava anche scrivendo, e le satire crebbero in tutto il '96, fino a sette di numero. Quell'anno '96 funesto all'Italia per la finalmente eseguita invasione dei francesi che da tre anni tentavano, mi abbuiò sempre piú l'intelletto, vedendomi rombar sovra il capo la miseria e la servitú. Il Piemonte straziato, già già mi vedea andare in fumo l'ultima mia sussistenza rimastami. Tuttavia preparato a tutto, e ben risoluto in me stesso di non accattar mai né servire, tutto il di meno di queste due cose lo sopportava con forte animo, e tanto piú mi ostinava allo studio, come sola degna diversione a sozzi e noiosi fastidi. Nel Misogallo, che sempre andava crescendo, e che anche ornai d'altre prose, io aveva riposto la mia vendetta e quella della mia Italia; e porto tuttavia ferma speranza, che quel libricciuolo col tempo gioverà all'Italia, e nuocerà alla Francia non poco. Sogni e ridicolezze d'autore, finché non hanno effetto; profezie di inspirato vate; allorché poi l'ottengono.

 

 

 




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