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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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COLASCIONATA SECONDA,

sendo mascherato da Apollo.

 

Cortesi donne, amati cavalieri,

cui non spiacque ascoltar la rauca cetra

di sporchissimo vate, il qual nell'etra

percosse sol, con li suoi detti veri;

 

voi attendete già dal blando aspetto

ch'io ne venga a smentir quel vil cencioso

ch'ai sciapiti amator fu noioso:

no, diverso pensier racchiudo in petto.

Io, ch'Apolline son; ma voi ridete?

E lieve menzogna or vi stupisce?

Quando parla di sé ciascun mentisce,

e ciò spesso v'accade, e non ridete.

 

Io, ch'Apolline son, cantar disdegno

con stucchevoli carmi il rancio amore:

da piú strano pensier, piú grand'onore

conseguir ne vorrei, se ne son degno.

 

Io m'accingo a cantar della sciocchezza:

quest'è un vago soggetto, e non cantato

benché spesso dai vati adoperato:

or sentite di lui l'alta bellezza.

 

Io comincio da voi, donne, e vi chieggio,

se non fossero sciocchi, i dolci sposi:

come fareste poi cogli amorosi?

Ecco che già fra voi sciocchezza è in preggio.

 

E dirovvi di piú, se un scimunito

non scorgeste in chi v'ama al sol parlare,

impazzireste già, per non sfogare

quello di civettar dolce prurito.

 

Oh quanto giubilate, voi zitelle,

se vi trovate aver le madri sciocche!

La scuola fate di filastrocche,

che c'infilzate poi, leggiadre e belle.

Dunque, o donne, negar non mi saprete

che la nostra sciocchezza vi fa liete.

Passo agli uomini adesso, e ben distinti

in moltissime schiere li ravviso.

Oh quanta gioia appar dei figli in viso,

ch'aver stolidi i padri son convinti!

 

I lor vizi sen vanno nascondendo.

E se avvien ch'un molesto creditore

stufo di passeggiar mova rumore

il buon vecchietto allor paga ridendo.

 

Ed all'incontro poi li padri avari

quanto godon d'aver figliuoli stolti,

è ver che di questi non son molti,

che lor chíedan consigli e non danari.

 

Da chi poi la stoltezza è piú ch'amata,

la cetra oscuramente quí li addita,

sono que' meschinelli, a cui la vita

la dabenaggin nostra ha già donata.

 

Che diremo de' brutti bacchettoni:

percotendosi il petto, e lagrimuccie

costor spargon fra gonzi; alle donnuccie

di soppiatto facendo certi occhioni.

 

E voi ricchi, ed ignari alti Signori

alla volgar stupidità dovete

di comparire ognor quel che non siete.

 

Via ergetele un tempio, e ognun l'adori.

Voi altri Zerbinotti casca-morti,

che nella testa, neppur testa avete,

altro che freddi semi non chiudete,

se non vi fosser stolti, siete morti.

 

Voi famelici autori, e che fareste?

E se non fosse il volgo ignaro, e stolto

vi si vedria la fame pinta in volto,

chi sa, d'inanizion forse morreste.

 

Voi d'ogni autor peggiori, che spiate

le faccende d'ognuno, e poi le dite,

ed a chi non le cura le ridite,

della stoltezza voi, quasi abusate.

 

Voi che inimici al ver, già posto in bando

crudamente l'avete, a chi direste

le sciapite bugiuzze, tacereste

se i stolti non le stessero ascoltando.

 

Le velenose lingue, e non acute

che di mordere han voglia, e mal lo fanno

cangieriano mestier, se il barbagianno

non le trovasse poi pronte ed argute.

 

Insomma canterei tre giorni interi,

né del ricco soggetto la bellezza,

né degli ornati suoi la vaga ampiezza

io descriver saprei: voglionvi Oméri.

 

In due versi però composti a stento

spiegherovvi il fallace mio pensiero.

Dico, e ho inteso a dir che il mondo intiero

da stolidezza è retto a suo talento.

 

E voi che qui l'orecchie spalancate

per burlarvi di me, Censor severi,

e in vestigar miei carmi falsi e veri,

se lo stolto non fossi, allor che fate?

 

Ma tu cetra cantasti già di tanti,

e chi strider ti fa vuol tralasciare,

no che sarebbe ingiusto, hai da cantare;

per la soddisfazion di tutti quanti.

 

Dirò dunque di me, per mia disgrazia

che senza la stoltezza avrei tacciuto,

e forse molto meglio avria valsuto,

per conservar di voi la buona grazia,

 

O né poeti innata impertinenza!

Biasimare mi vuò, m'innalzo al cielo,

eppur se penso a me io sudo e gelo

ed abusando della pazienza.

 

Lascio giudici voi: sassi gettate

s'un Poeta vi paio da sassate

Io confesso pian pian, che vado altero

d'avervi detto scioccamente il vero.

 

 

 




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