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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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APPENDICE DICIASSETTESIMA

(cap. XXIX)

 

Firenze li 6 Marzo 1801.

Amico carissimo.

 

Ho ricevuto per mezzo di D'Albarey le due vostre, di cui l'ultima de' 25 Febbraio mi ha molto angustiato per la notizia che mi vi date di esser io stato nominato non so da chi per essere aggregato a codesta adunanza letteraria. Veramente io mi lusingava che la vostra amicizia per me, e la pienissima conoscenza che avete del mio carattere indipendente, ritroso, orgoglioso, ed intero, vi avrebbero impegnato a distornare da me codesta nomina; il che era facilissimo prima, se voi aveste pregato i Nominanti di sospenderla finché me ne aveste prevenuto; ovvero se con quella schiettezza e libertà che si può sempre adoprare quando si parla per altri, voi aveste addotto il mio modo invariabile di sentire e pensare come un ostacolo assoluto ad una tale aggregazione del mio individuo. Comunque sia, già che non lo avete fatto prima, vi prego caldissimamente di farlo dopo, e di liberarmene ad ogni costo; e voi lo potete far meglio di me, stante la dolcezza del vostro aureo carattere. Sicché, restiamo cosí: che io non avendo finora ricevuto lettera nessuna di avviso, caso mai la ricevessi, la dissimulerò come non ricevuta, finché voi abbiate risposto a questa mia, ed annunziatomi il disimpegno accettato. E questo vi sarà facile, perché io consento volentieri, che i Nominanti e i Proponenti per conservare il loro decoro si ritrattino dell'avermi aggregato, e mi disnominino per cosí dire con la stessa plenipotenza con cui mi hanno creato; e dicano o che fu sbaglio, o che a pensier maturato non me ne reputan degno. Io non ci metto vanità nessuna nel rifiuto, ma metto importanza rnoltissima nel non v'essere in nessuna maniera inscritto, e se già lo sono stato ad esserne assolutamente cassato. Io non cerco come ben sapete gli onori, né veri, né falsi: ma io per certo non mi lascierò addossare mai vergogna nessuna. E questa per me sarebbe massima, non già per il ritrovarmi io in compagnia di tanti rispettabili soggetti come avete fra voi, ma per l'esservi in tali circostanze, in tal modo; ed in somma non soffrirei mai di essere intruso in una Società Letteraria, dalla quale sono espulse delle persone come il Conte Balbo, e il Cardinal Gerdil. Sicché le tante altre e validissime ragioni che avrei, e che voi conoscete e sentite quanto me, reputandole inutili, a voi non le scrivo; ma mi troverei poi costretto a metterle in tutta la loro evidenza e pubblicità, quando per mezzo vostro non ottenessi il mio intento. Se dunque voi mi cavate da questo impiccio, e se siete in tempo a risparmiarmi la lettera d'avviso, sarà il meglio. Se poi la riceverò, e sarò costretto a darne discarico, con risposta diretta, mi spiacerà di dovermene cavar fuori io stesso con mezzi o parole spiacenti non meno che inutili, quando se ne potea fare a meno.

Passo ad altro, e mi dico ec.

 

 

Torino li 18 Marzo 1801.

Amico carissimo.

Io non pensava che v'avesse certo a piacer molto la nomina e aggregazion vostra a questa Accademia, ma neppure avrei creduto cbe vi desse tanto fastidio, e ad ogni modo non sarebbe stato conveniente che quando siete stato proposto nell'assemblea di tanti accademici piú della metà ora nuovi, e molti di niuna mia confidenza, io senza espressa vostra commissione mi fossi voluto far interprete delle vostre intenzioni, e dire: che non si passasse a votare per voi come per gli altri proposti si faceva. Ma questo non vi pone in impiccio alcuno; ché già v'ho sbrogliato. Subito ricevuta la vostra sono andato a parlare a uno de' nostri Presidenti e al Segretario che vi dovevano scrivere, per vedere se fossi a tempo che non vi si spedisse la lettera. Ma essendo essa partita, sono rimasto con essi, e quindi con l'altro Presidente, Segretari, e Accademici della classe delle Belle Lettere ec., adunata ieri sera, che si tenga l'Accademia per ringraziata da voi senza che sia necessario che voi rispondiate. Ho detto che voi m'avevate incaricato di scusarvi e ringraziare, desiderando per mio mezzo essere disimpegnato senza scrivere. E ciò è fatto; e non sarete posto nell'elenco che si sta stampando degli Accademici. E resto abbracciandovi con tutto il cuore.

 

Firenze, 28 Marzo 1801.

Amico carissimo.

La vostra ultima che mi annunzia la mia liberazione da codesta iscrizione letteraria, mi ha consolato molto. La settimana passata soltanto ho ricevuto (o per dir meglio avuta, poiché non la ricevo) la lettera accademica; ella è intatta, e ve la rimando pregandovi caldamente di farla riavere a chi me l'ha scritta. Questo solo manca alla mia intera purificazione di questo affare, che la lettera ritorni al suo fonte intatta, con quel suo rispettabil sigillo; che se ad essa avessi voluto rispondere, l'avrei fatto scrivendo intorno al non infranto sigillo queste quattro sole parole, laconizzando:[       ]; ma per non comprometter voi, né eccedere senza bisogno, mi basta che la lettera sia restituita intatta, perché conoscano che io non l'ho tenuta per diretta a me. E senza tergiversar vi dico anche, che io non ingozzo a niun patto quell'infangato titolo di Cittadino, non perché io voglia esser Conte, ma perché sono Vittorio Alfieri libero da tant'anni in qua, e non liberto. Mi direte che quello è lo stile consueto per ora costà nello scrivere, ma io risponderò; che costà codestoro non doveano mai né pensare a me, né nominarmi mai né in bene né in male; ma che se pure lo faceano, doveano conoscermi, e non mi sporcare con codesta denominazione stupida non meno, che vile e arrogante: poiché se non v'è conti senza contea, molto meno v'è cittadini senza città. Ma basti; perché non la finirei mai; e dico cose note lippis et tonsoribus. Sicché se mai voi non poteste, o non giudicaste congruo a voi di restituire la lettera, fatemi il piacer di serbarla, finché io ritrovo chi la restituisca. E intanto datemi riscontro d'averla ricevuta intatta quale per mezzo del carissimo nipote ve la rimando. La Signora vi risponderà essa su l'articolo de' suoi libri; ed io ora finisco per non vi tediar di soverchio con le mie frenesie. Ma sappiate che la mi bolle davvero davvero, e che se non avessi cinquantadue anni, stravaserei. Inutilmente, direte; ma non è mai inutile la parola che dura nei secoli, ed ha per base il vero ed il giusto. Son vostro.

 

 

 




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