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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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SONETTO III

 

Qua pellegrini nell'età future

verran devoti i piú gentili amanti:

Poiché non fia che prima il tempo oscure,

che le Scene d'Alfieri i minor canti,

 

da cui tue rare doti, e le venture

sapran dell'alto amor, Donna, onde avanti

vita avevi in due vite, or solo a cure

di te, non vivi, ma prolunghi i pianti.

 

E alcun dirà: qual fra cotante, state

chiare, può al par di questa andare altera

d'esimio, ardente amico, eccelso vate?

 

O qual servo d'Amor mai ebbe, o spera

piú adorno oggetto, non che di beltate,

ma d'ogni laude piú splendente, o vera?

 

Piú direi per mostrare qual amico ei fosse, qual perdita abbiam noi fatta, e l'Italia. Ma pietà vuole ch'io sopprima le lagrime per non concitarnele piú dolorose, consolandole piuttosto col rammentare che ne' suoi scritti ci resta immortale il suo ingegno, e l'immagine viva di quella grand'anima, la quale assai chiaramente effigiata risplende già pur ne' libri da lui pubblicati. Ond'anche meno ci dee rincrescere ch'ei non abbia potuto ripulire questa sua storia e che, anzi ne sia la Seconda Parte soltanto un primo getto della materia minutata con frettolosa mano e con postille e richiami, cosicché non è facile porvi a luogo ogni cosa, e leggerla rettamente.

Ma non v'è pericolo che perciò alcuno faccia della facoltà di scrivere del Conte Alfieri minor concetto. Onde quello, che dianzi ho accennato, di voler qui soggiungere alcuna scusa, non riguarda la dettatura, ma le cose. Alfieri in queste carte si è dipinto qual era; né chi scevro d'ogni rugginoso affetto leggeralle, altra idea ne trarrà che la verace. Ma l'acerbità del suo disegno in piú d'un tratto può molti offendere. La quale se non si scorgesse in alcun altro suo scritto, basterebbe, come ho detto, e la Signora Contessa fa, non lasciar veder questi fogli che a qualche sicuro amico. Ma poiché i motivi che hanno a rendergli avversi molti animi, già sono pubblici in altri suoi libri, e lo splendore della sua gloria già basta a concitargli contro gran fiel d'invidia, e po' poi queste carte, comunque custodite, pur possono venire in mano di men benevoli, sarà bene apporvi un poco di contravveleno.

Dico adunque distinguersi due ragioni di lode, quella di sommo, e quella d'irreprensibile, delle quali essendo la seconda in questo misero mondo rarissima eziandio nella mediocrità, nel sommo non v'è richiesta. Ora al sommo sempre sospingevasi Alfieri, e fra i piú nobili affetti, che l'amor di gloria in quel gran cuore incendeva, fu sommo l'amore di due cose, ch'ei non sapea distinguere, patria e libertà civile. Vero è che un filosofo disimpegnato nella monarchia è piú libero assai che il monarca; né io mai altra libertà ho per me bramata, né avuti a sdegno i doveri di suddito fedele. Ma quando ai sovrani piace venir chiamati padroni dai sudditi tutti, pur troppo è facile che taluno si cacci in capo fortemente non potervi essere libertà civile, dove il diritto di volere è d'un solo. Con questo inganno avvampava Alfieri dell'amore di patria libera, il quale, dalla parte al tutto passando, egli stendeva a incensissimo desiderio dell'italica libertà, la quale ei non voleva disperare che possa ancora, quando che sia, gloriosamente risorgere. Però sembrando allora che nulla piú fosse in grado di ostarvi che la potenza francese, contro ai Francesi abbandonossi a un odio politico, ch'ei credé poter giovar all'Italia, quanto piú fosse reso universale. Voleva inoltre sceverarsi da quegl'infami, che mostratisi per la libertà come lui caldissimi, ne han fatto con le piú abbominevoli scelleratezze detestare il partito. A chi meno ha passione egli è chiaro ch'ei non dovea cosí generalmente parlare senza distinzioni di buoni e rei; né ragionevole al giudizio di un freddo filosofo è mai l'odio di nazione alcuna. Ma si vuole Alfieri considerare come un amante passionatissimo, che non può esser giusto cogli avversari dell'idolo suo, come un italiano Demostene, che infiammate parole contrappone a forze maggiori assai dei Macedoni. Né perciò il discolpo; né mi abbisognava per mantenergli la dovuta lode di sommo. Bastami che non si nieghi convenevole indulgenza a trascorsi provenienti da eccesso di commendabile affetto qual si è l'amor della patria.

Faccia la signora Contessa di questa mia carta quell'uso, che le parrà bene, gradendo colla solita sua bontà, se non altro, il buon volere, e l'ossequio con cui mi pregio di essere

 

Suo devotiss. servo di tutto cuore

Tommaso Valperga Caluso

 

Firenze i 21 Luglio 1804.z

 




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