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Vittorio Alfieri
Vita scritta da esso

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CAPITOLO OTTAVO

Ozio totale. Contrarietà incontrate, e fortemente sopportate.

 

Non aveva altri allora che s'ingerisse de' fatti miei, fuorché quel nuovo cameriere, datomi dal curatore, quasi come un semi-aio, ed aveva ordine di accompagnarmi sempre dapertutto. Ma a dir vero, siccome egli era un buon sciocco ed anche interessatuccio, io col dargli molto ne faceva assolutamente ogni mio piacere, ed egli non ridiceva nulla. Con tutto ciò, l'uomo per natura non si contentando mai, ed io molto meno che niun altro, mi venne presto a noia anche quella piccola suggezione dell'avermi sempre il cameriere alle reni, dovunque i' m'andassi. E tanto piú mi riusciva gravosa questa servitú, quanto ch'ella era una particolarità usata a me solo di quanti ne fossero in quel Primo Appartamento; poiché tutti gli altri uscivano da sé, e quante volte il giorno volevano. Né mi capacitai punto della ragione che mi si dava di questo, ch'io era il piú ragazzo di tutti, essendo sotto ai quindici anni. Onde m'incocciai in quell'idea di voler uscir solo anche io, e senza dir nulla al cameriere, né a chi che sia, cominciai a uscir da me. Da prima fui ripreso dal governatore; e ci tornai subito; la seconda volta fui messo in arresto in casa, e poi liberato dopo alcuni giorni, fui da capo all'uscir solo. Poi riarrestato piú strettamente, poi liberato, e riuscito di nuovo; e sempre cosí a vicenda piú volte, il che durò forse un mese, crescendomisi sempre il gastigo, e sempre inutilmente. Alla per fine dichiarai in uno degli arresti, che mi ci doveano tenere in perpetuo, perché appena sarei stato liberato, immediatamente sarei tornato fuori da me; non volendo io nessuna particolarità né in bene né in male, che mi facesse essere o piú o meno o diverso da tutti gli altri compagni; che codesta distinzione era ingiusta ed odiosa, e mi rendeva lo scherno degli altri; che se pareva al signor governatore ch'io non fossi d'età né di costumi da poter far come gli altri del Primo, egli mi poteva rimettere nel Secondo Appartamento. Dopo tutte queste mie arroganze mi toccò un arresto cosí lungo, che ci stetti da tre mesi e piú, e fra gli altri tutto l'intero carnevale del 1764. Io mi ostinai sempre piú a non voler mai domandare d'esser liberato, e cosí arrabbiando e persistendo, credo che vi sarei marcito, ma non piegatomi mai. Quasi tutto il giorno dormiva; poi verso la sera mi alzava da letto, e fattomi portare una materassa vicino al caminetto, mi vi sdraiava su per terra; e non volendo piú ricevere il pranzo solito dell'Accademia, che mi facevano portar in camera, io mi cucinava da me a quel fuoco della polenta, e altre cose simili. Non mi lasciava piú pettinare, né mi vestiva ed era ridotto come un ragazzo salvatico. era inibito l'uscire di camera; ma lasciavano pure venire quei miei amici di fuori a visitarmi; i fidi compagni di quelle eroiche cavalcate. Ma io allora sordo e muto, e quasi un corpo disanimato, giaceva sempre, e non rispondeva niente a nessuno qualunque cosa mi si dicesse. E stava cosí delle ore intere, con gli occhi conficcati in terra, pregni di pianto, senza pur mai lasciare uscir una lagrima.

 

 

 




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