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Vittorio Alfieri Vita scritta da esso IntraText CT - Lettura del testo |
APPENDICE QUINTA
(cap. XV)
CLEOPATRA SECONDA
scena prima Diomede, Lamia
DIOMEDE |
E fia pur ver', che neghittosi, e vili traggon gli Egizi, in ozio imbelle, i giorni allor che i scorni replicati, e l'onte dovrian destar l'alme a vendetta, e all'ire? Cleopatra, d'amor ebra, e d'orgoglio del suo regno l'onor, cieca, non cura, o se pure l'apprezza, incauta, giace di rea fiducia in seno, e forse, ignora ch'a lieve fil, stà il suo destino appeso. M'affanna il duolo, a sí funesto aspetto, e benché avvezzo all'empia corte iniqua, piú cittadin, che servo, oggi compiango le pubbliche sciagure. Un finto nome quel di patria non è, che in cuor ben nato arde, ed avvampa, qual divino fuoco, ed invano i tiranni, un tanto amore taccian' di reo delitto: al falso grido s'oppon natura, e dice, ch'è virtude.
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LAMIA |
Di Diomede son questi i sensi audaci. Ti diede il Ciel, forse per tua sventura un'alma forte, generosa, e fiera; inutil dono a chi fra corti è nato. Poiché, dei Regi rispettando i falli spesso adorar li deve: intanto i lumi volgi men fieri, a mesta donna, inerme; mira Cleopatra, impietosisci, e in pianto scioglier ti vedo allor, gli amari detti. In pianto sí, né rifiutar lo puote a sí fatte miserie un'alma grande: e rivendica ognor l'umanitade gli antichi suoi sacri diritti, e augusti; son gli infelici di pietà ben degni, ancor che rei.
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DIOMEDE |
Da me l'abbiano tutta; ma quando sol desta pietà, chi impera, si piange l'uom, ma si disprezza il Rege. Avvilita in Egitto è da molti anni la maestà dei trono ec. ec. |
E basti di questa Seconda, per dimostrare che forse era peggio della Prima.