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Vittorio Alfieri Vita scritta da esso IntraText CT - Lettura del testo |
scena prima Cleopatra, Ismene
CLEOPATRA |
Che farò?... Giusti Dei... Scampo non veggo ad isfuggire il precipizio orrendo. Ogni stato, benché meschino e vile, mi raffiguro in mente; ogni periglio stolta ravviso, e niun, fra tanti, ardisco affrontare, o fuggir, dubbi crudeli squarcianmi il petto, e non mi fan morire, né mi lasciano pur riposo, e vita. Raccapriccio d'orror; l'onore, il regno prezzo non son d'un tradimento atroce; ambo mi par di aver perduti; e Antonio, Antonio, sí, vedo talor frall'ombre gridar vendetta, e strascinarmi seco. Tanto dunque, o rimorsi, è il poter vostro?
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ISMENE |
Se hai pietà di te stessa, i moti affrena d'un disperato cuor; d'altro non temi, che non piú riveder quel fido amante? Ma ignori ancor, se vincitore, o vinto, se viva, o no...
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CLEOPATRA |
E s'ei vivesse ancora, con qual fronte, in qual modo, a lui davanti presentarmi potrò, se l'ho tradito? Della virtú qual è forza ignota, se un reo neppur può tollerarne i guardi?
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ISMENE |
No, Regina, non è sí reo quel core, che sente ancor rimorsi...
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CLEOPATRA |
Ah! sí, li sento: e notte, e dí, e accompagnata, e sola, sieguonmi ovunque, e il lor funesto aspetto non mi lascia di pace un sol momento Eppur, gridano invan; nell'alma mia servir dovranno a piú feroci affetti; né scorgi tu questo mio cuor qual sia. Mille rivolgo altri pensieri in mente, ma il crudel dubbio, d'ogni mal peggiore, vietami ognor la necessaria scelta.
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ISMENE32 |
Cleopatra, perché prima sciogliesti l'Egize vele all'aura, allor che d'Azio n'ingombravano il mar le navi amiche? E allor che il Mondo, alla gran lite intento, pendea per darsi al vincitore in preda, chi mai t'indusse a cosí incauta fuga?
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CLEOPATRA |
Amor non è, che m'avvelena i giorni; mossemi ognor l'ambizion d'impero. Tutte tentai, e niuna in van, le vie, che all'alto fin trar mi dovean gloriosa: ogni passione in me soggiacque a quella, ed alla mia passion le altrui serviro. Cesare il primo, il crin mi cinse altero del gran diadema: e non al solo Egitto leggi dettai, che quanta Terra oppressa avea già Roma, e il vincitor di lei, vidi talora ai cenni miei soggetta. Era il mio cor d'alta corona il prezzo, né l'ebbe alcun, fuorché reggesse il Mondo. Un trono, a cui da sí gran tempo avea la virtude, l'onor, la fè, donata, non lo volli affidare al dubbio evento, e alla sorte inegual dell'armi infide… serbar lo volli: e lo perdei fuggendo;... vacilla il piè su questo inerme soglio; e a disarmare il vincitor nemico, altro piú non mi resta che il mio pianto... tardi m'affliggo, e non cancella il pianto un tanto error, anzi lo fa piú vile.
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ISMENE |
Regina, il tuo dolor desta pietade in ogni cor, ma la pietade è vana. Rientra in te, riasciuga il pianto, e mira con piú intrepido ciglio ogni sventura; né soggiacer: ch'alma regale è forza si mostri ognor de' mali suoi maggiore. I mezzi adopra che parran piú pronti alla salute, od al riparo almeno del tuo regno.
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CLEOPATRA |
Mezzi non vedo, ignoto33 della gran pugna essendo ancor l'evento: né error novello, ai già commessi errori aggiunger sò, finché mi sia palese. D'Azzio lasciai l'instabil mar coperto, di navi, e d'armi, e d'aguerrita gente, sí che l'onda in quel dí vermiglia, e tinta di sangue fu, di Roma a danno ed onta. Era lo stuol piú numeroso, e forte, quel ch'Antonio reggea, e le sue navi, ergendo in mar i minaccievol rostri, parean schernir coll'ampia mole i legni piccioli, e frali del nemico altero; sí, questo è ver; ma avea la Sorte, e i Numi da gran tempo per lui Augusto amici; e chi amici non gli ha, gli sfida invano. Or che d'Antonio la fortuna è stanca, or che d'Augusto mal conosco i sensi, or che, tremante, inutil voti io formo, né sò per chi, della futura sorte fra i dubbi orror, solo smaniando e in preda a un mortal dolor, che piú sperare mi lice omai? tutto nel cuor mi addita, che vinta son, che non si scampa a morte, e a morte infame.
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ISMENE |
Non è tempo ancora di disperare appien del tuo destino. Chi può saper, s'alle nemiche turbe non avrà volto la fortuna il tergo; ovver se Augusto vincitor pietoso a te non renderà quanto ti diero un dí, Cesare, e Antonio.
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CLEOPATRA |
Il cor nutrirmi potrò di speme, allor che ben distinti ravviserò dal vincitore il vinto; ma in fin che ondeggia infra i rivai la sorte trapasserò miei dí mesti e penosi, in vano pianto; e di dolor non solo io piangerò, ma ancor di sdegno, e d'onta. Ma Diomede s'appressa…, il cuor mi palpita. |
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