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Vittorio Alfieri Vita scritta da esso IntraText CT - Lettura del testo |
APPENDICE DECIMA
CAPITOLO PRIMO
Cetra, che a mormorar soltanto avvezza,
indagasti finor spietatamente
i vizi, e n'hai dimostra la laidezza:
tu che in mano ad un vate impertinente
che le publiche risa nulla apprezza,
benché stolta, credesti esser sapiente,
e di che canterai, e con qual fronte?
infra uno stuol sí venerando e augusto?
tu che neppur vedesti il sacro fonte.
O temeraria cetra, e vuoi dar gusto
cicalando di cose a te mal conte
sacre al gelido Scita e al Libio adusto?
Chi condottier ti fòra all'alta impresa?
Nelle Muse non spera, a te già sorde
s'armerebbero invan per tua difesa.
Rompi, stritola, o abbrucia le tue corde
se da fuoco divin non vieni accesa;
deluderai cosí le Parche ingorde.
Quanti Numi in inferno, o in cielo, o in onda
i favolosi Greci un dí crearo,
tutti fòrano vani, ognun si asconda.
Tu, chi invocar non sai; io te l'imparo:
inalza il vol dalla terrena sponda,
scorgi un Nume maggior, e a noi piú caro.
In supremo Fattor dell'orbe intero
rimira, e poi impallidisci, e trema,
e se tant'osi, a lui richiedi il vero.
Per lui fia in te già l'gnoranza scema,
egli ti additi il murator primiero,
del grand'Ordine infin l'origo estrema.
E se pur ti svelasse un tanto arcano,
avresti tu sí nobili concetti
e ad inalzare il vol bastante mano?
Ah scusatela sí, fratei diletti,
non ragiona l'insana, oppur delira
quando canta di voi con versi inetti.
Cetra, di già tu m'hai destato all'ira.
Taci, rispetta, credi, e umil t'inchina,
tanto e non piú concede or chi t'inspira.
Tu cantar de' misteri, tu meschina?
che la semplice Loggia, e quanto acchiude,
mal descriver sapresti, ahi poverina!
Di quel raggio d'angelica virtude,
che in viso al Venerabile sfavilla,
come cantar con le tue voci crude?
Come, quella di noi dolce pupilla,
il Primo Vigilante, in cui s'arresta
quando emana dal trono ogni scintilla?
Come il Secondo, che la Loggia assesta
colla fida presenza, ed implorato
di avvicinarsi al Trono, a ciò s'appresta?
Come di quei che al gran Maestro a lato
siedono maestosi Consiglieri,
che il tempo infra i Misteri han consumato?
Come, di quei ch'armato il braccio, e fieri
ai Profani vietando ognor l'ingresso,
giustamente sen van di tanto altieri?
Come, di quel che all'opra sí indefesso,
necessario Censor, vi molce e accheta,
e sí nobile esempio dà lui stesso?
Come, di quel che nella steril meta
di vane Cerimonie a cui presiede
n'adempisce il dover con faccia lieta?
Come, di quel, cui l'instancabil piede,
(a noi non Servo, ma Fratel diletto)
la lautissima mensa oggi provvede?
Come di quel che con sí dolce affetto
serve e v'illustra con la penna arguta
secretaro gentile, a tutti accetto?
Cetra, ti veggo già stupida e muta,
se intraprendi parlar del Sacro Quadro
che i Profani in Fratelli ci commuta,
che diresti tu poi di quel leggiadro
baldacchin del Maestro, il quale al cielo
di coprirlo divieta, invido ladro?
Fora inutile, e stolto anche il tuo zelo,
se t'accingessi a dir dell'alma Stella,
cui piú lucido il Mastro oggi dà velo.
L'emblematica ancor Trina Facella,
e le Sante Colonne, e il Tempio antico,
richiederian piú nobile favella.
Dunque taci, balorda, io tel ridico
e tel dicono pure a un tempo istesso
color che l'Architetto han per amico.
Se d'arrossir ti fora ancor concesso,
pensando solo alla scabrosa impresa,
cetra, davver tu arrossiresti adesso.
E qui finiva questa eterna invocazione alla cetra, la quale rispondeva da par sua. Strano è che fatti tanti versi inutili, non ve ne aggiungessi uno in fine necessario, per chiudere il capitolo con la rima secondo le regole. Ma niuna regola mi s'era ancor fitta in capo.