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Giordano Bruno Degli eroici furori IntraText CT - Lettura del testo |
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Parte 1 Dial.1 Interlocutori: Tansillo, Cicada. 1 \ TANS.\ Gli furori, dunque, atti più ad esser qua primieramente locati e considerati, son questi che ti pono avanti secondo l'ordine a me parso più 2 \ CIC.\ Cominciate pur a leggerli. 3 \ TANS.\ Muse, che tante volte ributtai, Importune correte a' miei dolori, Per consolarmi sole ne' miei guai Con tai versi, tai rime e tai furori, Con quali ad altri vi mostraste mai, Che de mirti si vantan ed allori; Or sia appo voi mia aura, àncora e porto, Se non mi lice altrov'ir a diporto. Ov'abito, converso e mi nodrisco; Dove quieto imparo ed imbellisco; Alzo, avvivo, orno il cor, il spirto e fronte, Cangiate in vita, in lauri, in astri eterni.
4 È da credere che più volte e per più caggioni le ributtasse, tra le quali possono esser queste. Prima, perché, come deve il sacerdote de le muse, non ha possut'esser ocioso; perché l'ocio non può trovarsi là dove si combatte contra gli ministri e servi de l'invidia, ignoranza e malignitade. Secondo, per non assistergli degni protectori e defensori che l'assicurassero, iuxta quello: Non mancaranno, o Flacco, gli Maroni, 5 Appresso, per trovarsi ubligato alla contemplazion e studi de filosofia, li quali, se non son più maturi, denno però, come parenti de le Muse, esser predecessori a quelle. Oltre, perché, traendolo da un canto la tragica Melpomene con più materia che vena, e la comica Talia con più vena che materia da l'altro, accadeva che l'una suffurandolo a l'altra, lui rimanesse in mezzo più tosto neutrale e sfacendato, che comunmente negocioso. Finalmente, per l'autorità de censori che, ritenendolo da cose più degne ed alte, alle quali era naturalmente inchinato, cattivavano il suo ingegno, perché da libero sotto la virtù; o rendesser cattivo sott'una vilissima e stolta ipocrisia; al fine, nel maggior fervor de fastidi nelli quali incorse, è avvenuto che non avend'altronde da consolarsi, accettasse l'invito di costoro, che son dette inebriarlo de tai furori, versi e rime, con quali non si mostrâro ad altri; perché in quest'opra più riluce d'invenzione che d'imitazione. 6 \ CIC.\ Dite: che intende per quei che si vantano de mirti ed allori? 7 \ TANS.\ Si vantano e possono vantarsi de mirto quei che cantano d'amori; alli quali, se nobilmente si portano, tocca la corona di tal pianta consecrata a Venere, dalla quale riconoscono il furore. Possono vantarsi d'allori quei che degnamente cantano cose eroiche, instituendo gli animi eroici per la filosofia speculativa e morale, overamente celebrandoli e mettendoli per specchio exemplare a gli gesti politici e civili. 8 \ CIC.\ Dunque, son più specie de poeti e de corone? 9 \ TANS.\ Non solamente quante son le muse, ma e di gran numero di vantaggio: perché, quantunque sieno certi geni, non possono però esser determinate certe specie e modi d'ingegni umani. 10 \ CIC.\ Son certi regolisti de poesia che a gran pena passano per poeta Omero, riponendo Vergilio, Ovidio, Marziale, Exiodo, Lucrezio, ed altri molti in numero de versificatori, examinandoli per le regole de la Poetica d'Aristotele. 11 \ TANS.\ Sappi certo, fratel mio, che questi son vere bestie; perché non considerano quelle regole principalmente servir per pittura dell'omerica poesia o altra simile in particolare, e son per mostrar tal volta un poeta eroico tal qual fu Omero, e non per instistuir altri che potrebbero essere, con altre vene, arti e furori, equali, simili e maggiori de diversi geni. 12 \ CIC.\ Sì che, come Omero nel suo geno non fu poeta che pendesse da regole, ma è causa delle regole che serveno a coloro che son più atti ad imitare che ad inventare; e son state raccolte da colui che non era poeta di sorte alcuna, ma che seppe raccogliere le regole di quell'una sorte, cioè dell'omerica poesia, in serviggio di qualch'uno che volesse doventar non un altro poeta, ma un come Omero, non di propria musa, ma scimia de la musa altrui. 13 \ TANS.\ Conchiudi bene, che la poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son geni e specie de vere regole, quanti son geni e specie de veri poeti. 14 \ CIC.\ Or come dunque saranno conosciuti gli veramente poeti? 15 \ TANS.\ Dal cantar de versi; con questo che cantando o vegnano a delettare, o vegnano a giovare, o a giovare e delettare insieme. 16 \ CIC.\ A chi dunque servono le regole d'Aristotele? 17 \ TANS.\ A chi non potesse, come Omero, Exiodo, Orfeo ed altri, poetare senza le regole d'Aristotele; e che per non aver propria musa, vuolesse far l'amore con quella d'Omero. 18 \ CIC.\ Dunque, han torto certi pedantacci de tempi nostri, che excludeno dal numero de poeti alcuni, o perché non apportino favole e metafore conformi, o perché non hanno principii de libri e canti conformi a quei d'Omero e Vergilio, o perché non osservano la consuetudine di far l'invocazione, o perché intesseno una istoria o favola con l'altra, o perché finiscono gli canti epilogando di quel ch'è detto, e proponendo per quel ch'è da dire; e per mille altre maniere d'examine, per censure e regole in virtù di quel testo. Onde par che vogliano conchiudere ch'essi loro a un proposito (se gli venesse de fantasia) sarrebono gli veri poeti, ed arrivarebbono là, dove questi si forzano: e poi in fatto non son altro che vermi, che non san far cosa di buono, ma son nati solamente per rodere, insporcare e stercorar gli altrui studi e fatiche; e non possendosi render celebri per propria virtude ed ingegno, cercano di mettersi avanti o a dritto o a torto, per altrui vizio ed errore. 19 \ TANS.\ Or per non tornar là donde l'affezione n'ha fatto al quanto a lungo digredire, dico che sono e possono essere tante sorte de poeti, quante possono essere e sono maniere de sentimenti ed invenzioni umane, alli quali son possibili d'adattarsi ghirlande non solo da tutti geni e specie de piante, ma ed oltre d'altri geni e specie di materie. Però corone a' poeti non si fanno solamente de mirti e lauri, ma anco de pampino per versi fescennini, d'edera per baccanali, d'oliva per sacrifici e leggi, di pioppa, olmo e spighe per l'agricoltura, de cipresso per funerali, e d'altre innumerabili per altre tante occasioni; e, se vi piacesse, anco di quella materia che mostrò un galant'uomo, quando disse: O fra Porro, poeta da scazzate, Ch'a Milano t'affibbi la ghirlanda Di boldoni, busecche e cervellate. 20 \ CIC.\ Or dunque, sicuramente costui per diverse vene che mostra in diversi propositi e sensi, potrà infrascarsi de rami de diverse piante, e potrà degnamente parlar con le muse, perché sia appo loro sua aura con cui si conforte, àncora in cui si sustegna, e porto al qual si retire nel tempo de fatiche, exagitazioni e tempeste. Onde dice: O monte Parnaso dove abito, Muse con le quali converso, fonte eliconio o altro dove mi nodrisco, monte che mi doni quieto alloggiamento, Muse che m'inspirate profonda dottrina, fonte che mi fai ripolito e terso, monte dove ascendendo inalzo il core, Muse con le quali versando avvivo il spirito, fonte sotto li cui arbori poggiando adorno la fronte, cangiate la mia morte in vita, gli miei cipressi in lauri e gli miei inferni in cieli: cioè destinatemi immortale, fatemi poeta, rendetemi illustre, mentre canto di morte, cipressi ed inferni. 21 \ TANS.\ Bene; perché a color che son favoriti dal cielo, gli più gran mali si converteno in beni tanto maggiori: perché le necessitadi parturiscono le fatiche e studi, e questi per il più de le volte la gloria d'immortal splendore.
22 \ CIC.\ E la morte d'un secolo fa vivo in tutti gli altri. Séguita. 23 \ TANS.\ Dice appresso: In luogo e forma di Parnaso ho 'l core, Dove per scampo mio convien ch'io monte, Son mie muse i pensier ch'a tutte l'ore Mi fan presenti le bellezze conte; Onde sovente versan gli occhi fore Lacrime molte, ho l'Eliconio fonte: Per tai montagne, per tai ninfe ed acqui, Com'ha piaciuto al ciel poeta nacqui. Or non alcun de reggi, Non favorevol man d'imperatore, Non sommo sacerdote e gran pastore Mi dien tai grazie, onori e privileggi; Mio cor, gli miei pensieri e le mie onde. 24 Qua dechiara prima qual sia il suo monte, dicendo esser l'alto affetto del suo core; secondo, quai sieno le sue muse, dicendo esser le bellezze e prorogative del suo oggetto; terzo, quai sieno gli fonti, e questi dice esser le lacrime. In quel monte s'accende l'affetto, da quelle bellezze si concepe il furore, e da quelle lacrime il furioso affetto si dimostra. Cossì se stima di non posser essere meno illustremente coronato per via del suo core, pensieri e lacrime, che altri per man de regi, imperadori e papi. 25 \ CIC.\ Dechiarami quel ch'intende per ciò che dice: il core in forma di 26 \ TANS.\ Perché cossì il cuor umano ha doi capi, che vanno a terminarsi a una radice, e spiritualmente da uno affetto del core procede l'odio ed amore di doi contrarii, come ave sotto due teste una base il monte Parnaso. 27 \ CIC.\ A l'altro. 28 \ TANS.\ Dice: Chiama per suon di tromba il capitano Tutti gli suoi guerrier sott'un'insegna; Dove s'avvien che per alcun in vano Udir si faccia, perché pronto vegna, Qual nemico l'uccide, o a qual insano Gli dona bando dal suo campo e 'l sdegna: Cossì l'alma i dissegni non accolti Sott'un stendardo o gli vuol morti, o tolti. Chi la mente m'ingombra, è un sol viso. Ad una beltà sola io resto affiso, Chi sì m'ha punto il cor, è un sol dardo, E non conosco più ch'un paradiso. 29 Questo capitano è la voluntade umana, che siede in poppa de l'anima, con un picciol temone de la raggione governando gli affetti d'alcune potenze interiori contra l'onde degli émpiti naturali. Egli con il suono de la tromba, cioè della determinata elezione, chiama tutti gli guerrieri, cioè provoca tutte le potenze (le quali s'appellano guerriere per esserno in continua ripugnanza e contrasto), o pur gli effetti di quelle, che sono gli contrarii pensieri, de quali altri verso l'una, altri verso l'altra parte inchinano; e cerca constituirgli tutti sott'un'insegna d'un determinato fine. Dove s'accade ch'alcun d'essi vegna chiamato in vano a farsi prontamente vedere ossequioso (massime quei che procedeno dalle potenze naturali, quali o nullamente o poco ubediscono alla raggione), al meno, forzandosi d'impedir gli loro atti e dannar quei che non possono essere impediti, viene a mostrarsi come uccidesse quelli e donasse bando a questi, procedendo contra gli altri con la spada de l'ira, ed altri con la 30 Qua un oggetto riguarda, a cui è volto con l'intenzione; per un viso, con cui s'appaga, ingombra la mente; in una sola beltade si diletta e compiace, e dicesi restarvi affiso, perché l'opra d'intelligenza non è operazion di moto, ma di quiete. E da là solamente concepe quel dardo che l'uccide, cioè che gli constituisce l'ultimo fine di perfezione. Arde per un sol fuoco, cioè dolcemente 31 \ CIC.\ Perché l'amore è significato per il fuoco? 32 \ TANS.\ Lascio molte altre caggioni, bastiti per ora questa: perché cossì la cosa amata l'amore converte ne l'amante, come il fuoco, tra tutti gli elementi attivissimo, è potente a convertere tutti quell'altri semplici e composti in se stesso. 33 \ CIC.\ Or séguita. 34 \ TANS.\ Conosce un paradiso, cioè un fine principale; perché paradiso comunmente significa il fine, il qual si distingue in quello ch'è absoluto, in verità ed essenza, e l'altro ch'è in similitudine, ombra e participazione. Del primo modo non può essere più che uno, come non è più che uno l'ultimo ed il primo bene; del secondo modo sono infiniti. Amor, sorte, l'oggetto e gelosia M'appaga, affanna, contenta e sconsola. Il putto irrazional, la cieca e ria, L'alta bellezza, la mia morte sola, Mi mostra il paradiso, il toglie via, Ogni ben mi presenta, me l'invola; Tanto ch'il cor, la mente, il spirto, l'alma Ha gioia, ha noia, ha refrigerio, ha salma. Chi mi farà fruir mio ben in pace? Chi quel ch'annoia e quel che sì mi piace, ........................................ Per gradir le mie fiamme e gli miei fonti? 35 Mostra la caggion ed origine onde si concepe il furore e nasce l'entusiasmo, per solcar il campo de le muse, spargendo il seme de suoi pensieri, aspirando a l'amorosa messe, scorgendo in sé il fervor de gli affetti in vece del sole, e l'umor de gli occhi in luogo de le piogge. Mette quattro cose avanti: l'amore, la sorte, l'oggetto, la gelosia. Dove l'amore non è un basso, ignobile ed indegno motore, ma un eroico signor e duce de lui; la sorte non è altro che la disposizion fatale ed ordine d'accidenti, alli quali è suggetto per il suo destino; l'oggetto è la cosa amabile ed il correlativo de l'amante; la gelosia è chiaro che sia un zelo de l'amante circa la cosa amata, il quale non bisogna donarlo a intendere a chi ha gustato amore, ed in vano ne forzaremo dechiararlo ad altri. L'amore appaga, perché a chi ama, piace l'amare; e colui che veramente ama, non vorrebbe non amare. Onde non voglio lasciar de referire quel che ne mostrai in questo mio sonetto: Del più bel dardo, che mai scelse Amore, Alto, leggiadro e precioso ardore, Che gir fai l'alma di sempr'arder vaga; Qual forza d'erba e virtù d'arte maga Ti torrà mai dal centro del mio core; Se chi vi porge ognor fresco vigore, Quanto più mi tormenta, più m'appaga? Dolce mio duol, novo nel mondo e raro, Quando del peso tuo girò mai scarco, S'il rimedio m'è noia, e 'l mal diletto? Occhi, del mio signor facelle ed arco, Doppiate fiamme a l'alma e strali al petto, Poich'il languir m'è dolce e l'ardor caro. 36 La sorte affanna per non felici e non bramati successi, o perché faccia stimar il suggetto men degno de la fruizion de l'oggetto, e men proporzionato a la dignità di quello; o perché non faccia reciproca correlazione; o per altre caggioni ed impedimenti che s'attraversano. L'oggetto contenta il suggetto, che non si pasce d'altro, altro non cerca, non s'occupa in altro e per quello bandisce ogni altro pensiero. La gelosia sconsola, perché, quantunque sia figlia dell'amore da cui deriva, compagna di quello con cui va sempre insieme, segno del medesimo, perché quello s'intende per necessaria consequenza dove lei si dimostra (come sen può far esperienza nelle generazioni intiere, che per freddezza di regione e tardezza d'ingegno meno apprendono, poco amano e niente hanno di gelosia), tutta volta con la sua figliolanza, compagnia e significazione vien a perturbar ed attossicare tutto quel che si trova di bello e buono nell'amore. Là onde dissi in un altro mio sonetto: O d'invidia ed amor figlia sì ria, Che le gioie del padre volgi in pene, Caut'Argo al male, e cieca talpa al bene, Ministra di tormento, Gelosia, Tisifone infernal fetid'Arpia, Che l'altrui dolce rapi ed avvelene; Austro crudel, per cui languir conviene Il più bel fior de la speranza mia; Augel di duol, non d'altro mai, presago, Pena, ch'entri nel cor per mille porte: Se si potesse a te chiuder l'entrata, Tant'il regno d'amor saria più vago, Quant'il mondo senz'odio e senza morte. 37 Giongi a quel ch'è detto, che la Gelosia non sol tal volta è la morte e ruina de l'amante, ma per le spesse volte uccide l'istesso amore, massime quando parturisce il sdegno: percioché viene ad essere talmente dal suo figlio affetta, che spinge l'amore e mette in dispreggio l'oggetto, anzi non lo fa più essere 38 \ CIC.\ Dechiara ora l'altre particole che siegueno, cioè perché l'amore si dice putto irrazionale? 39 \ TANS.\ Dirò tutto. Putto irrazionale si dice l'amore, non perché egli per sé sia tale; ma per ciò, che per il più fa tali suggetti, ed è in suggetti tali: atteso che, in qualunque è più intellettuale e speculativo, inalza più l'ingegno e più purifica l'intelletto, facendolo svegliato, studioso e circonspetto, promovendolo ad un'animositate eroica ed emulazion di virtudi e grandezza per il desìo di piacere e farsi degno della cosa amata; in altri poi (che son la massima parte) s'intende pazzo e stolto, perché le fa uscir de proprii sentimenti, e le precipita a far delle extravaganze, perché ritrova il spirito, anima e corpo mal complessionati ed inetti a considerar e distinguere quel che gli è decente, da quel che le rende più sconci, facendoli suggetti di dispreggio, riso e vituperio. 40 \ CIC.\ Dicono volgarmente e per proverbio, che l'amor fa dovenir gli vecchi 41 \ TANS.\ Questo inconveniente non accade a tutti vecchi, né quel conveniente a tutti giovani; ma è vero de quelli ben complessionati, e de mal complessionati quest'altri. E con questo è certo, che chi è avezzo nella gioventù d'amar circonspettamente, amarà vecchio senza straviare. Ma il spasso e riso è di quelli alli quali nella matura etade l'amor mette l'alfabeto in mano. 42 \ CIC.\ Ditemi adesso, perché cieca e ria se dice la sorte o fato? 43 \ TANS.\ Cieca e ria si dice la sorte ancora, non per sé, perché è l'istesso ordine de numeri e misure de l'universo; ma per raggion de suggetti si dice ed è cieca, perché le rende ciechi al suo riguardo, per esser ella incertissima. E detta similmente ria, perché nullo de mortali è che in qualche maniera lamentandosi e querelandosi di lei, non la incolpe. Onde disse il pugliese Che vuol dir, Mecenate, che nessuno Al mondo appar contento de la sorte, Che gli ha porgiuta la raggion o cielo? 44 Cossì chiama l'oggetto alta bellezza, perché a lui è unico e più eminente ed efficace per tirarlo a sé; e però lo stima più degno, più nobile; e però sel sente predominante e superiore; come lui gli vien fatto suddito e cattivo. La mia morte sola dice de la gelosia; perché come l'amore non ha più stretta compagna che costei, cossì anco non ha senso di maggior nemica; come nessuna cosa è più nemica al ferro che la ruggine, che nasce da lui medesimo. 45 \ CIC.\ Or poi ch'hai cominciato a far cossì, séguita a mostrar parte per 46 \ TANS.\ Cossì farò. Dice a presso de l'amore: Mi mostra il paradiso; onde fa veder che l'amore non è cieco in sé, e per sé non rende ciechi alcuni amanti, ma per l'ignobili disposizioni del suggetto; qualmente avviene che gli ucelli notturni dovegnon ciechi per la presenza del sole. Quanto a sé, dunque, l'amore illustra, chiarisce, apre l'intelletto e fa penetrar il tutto e suscita 47 \ CIC.\ Molto mi par che questo il Nolano lo dimostre in un altro suo Amor, per cui tant'alto il ver discerno, Ch'apre le porte di diamante nere, Per gli occhi entra il mio nume, e per vedere Nasce, vive, si nutre, ha regno eterno; Fa scorger quanto ha 'l ciel, terra ed inferno, Fa presenti d'absenti effiggie vere, Repiglia forze, e col trar dritto, fere, E impiaga sempr'il cor, scuopre l'interno. O dunque, volgo vile, al vero attendi, Porgi l'orecchio al mio dir non fallace, Apri, apri, se puoi, gli occhi, insano e bieco: Fanciullo il credi, perché poco intendi; Perché ratto ti cangi, ei par fugace; Per esser orbo tu, lo chiami cieco. 48 Mostra dunque il paradiso amore, per far intendere, capire ed effettuar cose altissime; o perché fa grandi, almeno in apparenza le cose amate. Il toglie via, dice de la sorte; perché questa sovente, a mal grado de l'amante, non concede quel tanto che l'amor dimostra, e quel che vede e brama, gli è lontano ed adversario. Ogni ben mi presenta, dice de l'oggetto; perché questo che vien dimostrato da l'indice de l'amore, gli par la cosa unica, principale ed il tutto. Me l'invola, dice della Gelosia, non già per non farlo presente, togliendolo d'avanti gli occhi; ma in far ch'il bene non sia bene, ma un angoscioso male; il dolce non sia dolce, ma un angoscioso languire. Tanto ch'il cor, cioè la volontà, ha gioia nel suo volere per forza d'amore, qualunque sia il successo. La mente, cioè la parte intellettuale, ha noia, per l'apprension de la sorte, qual non aggradisce l'amante. Il spirito, cioè l'affetto naturale, ha refrigerio, per esser rapito da quell'oggetto che dà gioia al core, e potrebbe aggradir la mente. L'alma, cioè la sustanza passibile e sensitiva, ha salma, cioè si trova oppressa dal grave peso de la gelosia, che la tormenta. 49 Appresso la considerazion del stato suo, soggionge il lacrimoso lamento, e dice: Chi mi torrà di guerra, e metterammi in pace; o chi disunirà quel che m'annoia e danna da quel che sì mi piace ed apremi le porte del cielo, perché gradite sieno le fervide fiamme del mio core, e fortunati i fonti de gli occhi miei? Appresso, continuando il suo proposito, soggionge: Premi, oimè, gli altri, o mia nemica sorte Vatten via, Gelosia, dal mondo fore: Potran ben soli con sua diva corte Far tutto nobil faccia e vago amore. Lui mi tolga de vita, lei de morte, Lei me l'impenne, lui brugge il mio core, Lui me l'ancide, lei ravvive l'alma, Lei mio sustegno, lui mia grieve salma. Se lui e lei son un suggetto o forma, Se con medesmo imperio ed una norma Fanno un vestigio al centro del mio core? Non son doi dunque; è una Che fa gioconda e triste mia fortuna. 50 Quattro principii ed estremi de due contrarietadi vuol ridurre a doi principii ed una contrarietade. Dice dunque: Premi, oimè, gli altri; cioè basti a te, o mia sorte, d'avermi sin a tanto oppresso, e (perché non puoi essere senza il tuo essercizio) volta altrove il tuo sdegno. E vatten via fuori del mondo, tu, Gelosia; perché uno di que' doi altri che rimagnono, potrà supplire alle vostre vicende ed offici: se pur tu, mia sorte, non sei altro ch'il mio Amore, e tu, Gelosia, non sei estranea dalla sustanza del medesimo. Reste dunque lui per privarmi de vita, per bruggiarmi, per donarmi la morte, e per salma de le mie ossa: con questo che lei mi tolga di morte, mi impenne, mi avvive e mi sustente. Appresso, doi principii ed una contrarietade riduce ad un principio ed una efficacia, dicendo: ma che dich'io d'Amore? Se questa faccia, questo oggetto è l'imperio suo, e non par altro che l'imperio de l'amore; la norma de l'amore è la sua medesima norma; l'impression d'amore ch'appare nella sustanza del cor mio, non è certo altra impression che la sua: perché dunque dopo aver detto nobil faccia, replico dicendo vago amore?
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