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Giordano Bruno
Degli eroici furori

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  • Parte 1
    • Dial.1 Interlocutori: Tansillo, Cicada.
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Parte 1

Dial.1

Interlocutori: Tansillo, Cicada.

1 \ TANS.\ Gli furori, dunque, atti più ad esser qua primieramente locati e

considerati, son questi che ti pono avanti secondo l'ordine a me parso più

conveniente.

2 \ CIC.\ Cominciate pur a leggerli.

3 \ TANS.\ Muse, che tante volte ributtai,

Importune correte a' miei dolori,

Per consolarmi sole ne' miei guai

Con tai versi, tai rime e tai furori,

Con quali ad altri vi mostraste mai,

Che de mirti si vantan ed allori;

Or sia appo voi mia aura, àncora e porto,

Se non mi lice altrov'ir a diporto.

O monte, o dive, o fonte

Ov'abito, converso e mi nodrisco;

Dove quieto imparo ed imbellisco;

Alzo, avvivo, orno il cor, il spirto e fronte,

Morte, cipressi, inferni

Cangiate in vita, in lauri, in astri eterni.

 

4 È da credere che più volte e per più caggioni le ributtasse, tra le quali

possono esser queste. Prima, perché, come deve il sacerdote de le muse, non ha

possut'esser ocioso; perché l'ocio non può trovarsi dove si combatte contra

gli ministri e servi de l'invidia, ignoranza e malignitade. Secondo, per non

assistergli degni protectori e defensori che l'assicurassero, iuxta quello:

Non mancaranno, o Flacco, gli Maroni,

Se penuria non è de Mecenati.

5 Appresso, per trovarsi ubligato alla contemplazion e studi de filosofia, li

quali, se non son più maturi, denno però, come parenti de le Muse, esser

predecessori a quelle. Oltre, perché, traendolo da un canto la tragica Melpomene

con più materia che vena, e la comica Talia con più vena che materia da l'altro,

accadeva che l'una suffurandolo a l'altra, lui rimanesse in mezzo più tosto

neutrale e sfacendato, che comunmente negocioso. Finalmente, per l'autorità de

censori che, ritenendolo da cose più degne ed alte, alle quali era naturalmente

inchinato, cattivavano il suo ingegno, perché da libero sotto la virtù; o

rendesser cattivo sott'una vilissima e stolta ipocrisia; al fine, nel maggior

fervor de fastidi nelli quali incorse, è avvenuto che non avend'altronde da

consolarsi, accettasse l'invito di costoro, che son dette inebriarlo de tai

furori, versi e rime, con quali non si mostrâro ad altri; perché in quest'opra

più riluce d'invenzione che d'imitazione.

6 \ CIC.\ Dite: che intende per quei che si vantano de mirti ed allori?

7 \ TANS.\ Si vantano e possono vantarsi de mirto quei che cantano d'amori; alli

quali, se nobilmente si portano, tocca la corona di tal pianta consecrata a

Venere, dalla quale riconoscono il furore. Possono vantarsi d'allori quei che

degnamente cantano cose eroiche, instituendo gli animi eroici per la filosofia

speculativa e morale, overamente celebrandoli e mettendoli per specchio

exemplare a gli gesti politici e civili.

8 \ CIC.\ Dunque, son più specie de poeti e de corone?

9 \ TANS.\ Non solamente quante son le muse, ma e di gran numero di vantaggio:

perché, quantunque sieno certi geni, non possono però esser determinate certe

specie e modi d'ingegni umani.

10 \ CIC.\ Son certi regolisti de poesia che a gran pena passano per poeta

Omero, riponendo Vergilio, Ovidio, Marziale, Exiodo, Lucrezio, ed altri molti in

numero de versificatori, examinandoli per le regole de la Poetica d'Aristotele.

11 \ TANS.\ Sappi certo, fratel mio, che questi son vere bestie; perché non

considerano quelle regole principalmente servir per pittura dell'omerica poesia

o altra simile in particolare, e son per mostrar tal volta un poeta eroico tal

qual fu Omero, e non per instistuir altri che potrebbero essere, con altre vene,

arti e furori, equali, simili e maggiori de diversi geni.

12 \ CIC.\ Sì che, come Omero nel suo geno non fu poeta che pendesse da regole,

ma è causa delle regole che serveno a coloro che son più atti ad imitare che ad

inventare; e son state raccolte da colui che non era poeta di sorte alcuna, ma

che seppe raccogliere le regole di quell'una sorte, cioè dell'omerica poesia, in

serviggio di qualch'uno che volesse doventar non un altro poeta, ma un come

Omero, non di propria musa, ma scimia de la musa altrui.

13 \ TANS.\ Conchiudi bene, che la poesia non nasce da le regole, se non per

leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son

geni e specie de vere regole, quanti son geni e specie de veri poeti.

14 \ CIC.\ Or come dunque saranno conosciuti gli veramente poeti?

15 \ TANS.\ Dal cantar de versi; con questo che cantando o vegnano a delettare,

o vegnano a giovare, o a giovare e delettare insieme.

16 \ CIC.\ A chi dunque servono le regole d'Aristotele?

17 \ TANS.\ A chi non potesse, come Omero, Exiodo, Orfeo ed altri, poetare senza

le regole d'Aristotele; e che per non aver propria musa, vuolesse far l'amore

con quella d'Omero.

18 \ CIC.\ Dunque, han torto certi pedantacci de tempi nostri, che excludeno dal

numero de poeti alcuni, o perché non apportino favole e metafore conformi, o

perché non hanno principii de libri e canti conformi a quei d'Omero e Vergilio,

o perché non osservano la consuetudine di far l'invocazione, o perché intesseno

una istoria o favola con l'altra, o perché finiscono gli canti epilogando di

quel ch'è detto, e proponendo per quel ch'è da dire; e per mille altre maniere

d'examine, per censure e regole in virtù di quel testo. Onde par che vogliano

conchiudere ch'essi loro a un proposito (se gli venesse de fantasia) sarrebono

gli veri poeti, ed arrivarebbono , dove questi si forzano: e poi in fatto non

son altro che vermi, che non san far cosa di buono, ma son nati solamente per

rodere, insporcare e stercorar gli altrui studi e fatiche; e non possendosi

render celebri per propria virtude ed ingegno, cercano di mettersi avanti o a

dritto o a torto, per altrui vizio ed errore.

19 \ TANS.\ Or per non tornar donde l'affezione n'ha fatto al quanto a lungo

digredire, dico che sono e possono essere tante sorte de poeti, quante possono

essere e sono maniere de sentimenti ed invenzioni umane, alli quali son

possibili d'adattarsi ghirlande non solo da tutti geni e specie de piante, ma ed

oltre d'altri geni e specie di materie. Però corone a' poeti non si fanno

solamente de mirti e lauri, ma anco de pampino per versi fescennini, d'edera per

baccanali, d'oliva per sacrifici e leggi, di pioppa, olmo e spighe per

l'agricoltura, de cipresso per funerali, e d'altre innumerabili per altre tante

occasioni; e, se vi piacesse, anco di quella materia che mostrò un galant'uomo,

quando disse: O fra Porro, poeta da scazzate,

Ch'a Milano t'affibbi la ghirlanda

Di boldoni, busecche e cervellate.

20 \ CIC.\ Or dunque, sicuramente costui per diverse vene che mostra in diversi

propositi e sensi, potrà infrascarsi de rami de diverse piante, e potrà

degnamente parlar con le muse, perché sia appo loro sua aura con cui si

conforte, àncora in cui si sustegna, e porto al qual si retire nel tempo de

fatiche, exagitazioni e tempeste. Onde dice: O monte Parnaso dove abito, Muse

con le quali converso, fonte eliconio o altro dove mi nodrisco, monte che mi

doni quieto alloggiamento, Muse che m'inspirate profonda dottrina, fonte che mi

fai ripolito e terso, monte dove ascendendo inalzo il core, Muse con le quali

versando avvivo il spirito, fonte sotto li cui arbori poggiando adorno la

fronte, cangiate la mia morte in vita, gli miei cipressi in lauri e gli miei

inferni in cieli: cioè destinatemi immortale, fatemi poeta, rendetemi illustre,

mentre canto di morte, cipressi ed inferni.

21 \ TANS.\ Bene; perché a color che son favoriti dal cielo, gli più gran mali

si converteno in beni tanto maggiori: perché le necessitadi parturiscono le

fatiche e studi, e questi per il più de le volte la gloria d'immortal splendore.

 

22 \ CIC.\ E la morte d'un secolo fa vivo in tutti gli altri. Séguita.

23 \ TANS.\ Dice appresso:

In luogo e forma di Parnaso ho 'l core,

Dove per scampo mio convien ch'io monte,

Son mie muse i pensier ch'a tutte l'ore

Mi fan presenti le bellezze conte;

Onde sovente versan gli occhi fore

Lacrime molte, ho l'Eliconio fonte:

Per tai montagne, per tai ninfe ed acqui,

Com'ha piaciuto al ciel poeta nacqui.

Or non alcun de reggi,

Non favorevol man d'imperatore,

Non sommo sacerdote e gran pastore

Mi dien tai grazie, onori e privileggi;

Ma di lauro m'infronde

Mio cor, gli miei pensieri e le mie onde.

24 Qua dechiara prima qual sia il suo monte, dicendo esser l'alto affetto del

suo core; secondo, quai sieno le sue muse, dicendo esser le bellezze e

prorogative del suo oggetto; terzo, quai sieno gli fonti, e questi dice esser le

lacrime. In quel monte s'accende l'affetto, da quelle bellezze si concepe il

furore, e da quelle lacrime il furioso affetto si dimostra. Cossì se stima di

non posser essere meno illustremente coronato per via del suo core, pensieri e

lacrime, che altri per man de regi, imperadori e papi.

25 \ CIC.\ Dechiarami quel ch'intende per ciò che dice: il core in forma di

Parnaso.

26 \ TANS.\ Perché cossì il cuor umano ha doi capi, che vanno a terminarsi a una

radice, e spiritualmente da uno affetto del core procede l'odio ed amore di doi

contrarii, come ave sotto due teste una base il monte Parnaso.

27 \ CIC.\ A l'altro.

28 \ TANS.\ Dice:

Chiama per suon di tromba il capitano

Tutti gli suoi guerrier sott'un'insegna;

Dove s'avvien che per alcun in vano

Udir si faccia, perché pronto vegna,

Qual nemico l'uccide, o a qual insano

Gli dona bando dal suo campo e 'l sdegna:

Cossì l'alma i dissegni non accolti

Sott'un stendardo o gli vuol morti, o tolti.

Un oggetto riguardo;

Chi la mente m'ingombra, è un sol viso.

Ad una beltà sola io resto affiso,

Chi sì m'ha punto il cor, è un sol dardo,

Per un sol fuoco m'ardo,

E non conosco più ch'un paradiso.

29 Questo capitano è la voluntade umana, che siede in poppa de l'anima, con un

picciol temone de la raggione governando gli affetti d'alcune potenze interiori

contra l'onde degli émpiti naturali. Egli con il suono de la tromba, cioè della

determinata elezione, chiama tutti gli guerrieri, cioè provoca tutte le potenze

(le quali s'appellano guerriere per esserno in continua ripugnanza e contrasto),

o pur gli effetti di quelle, che sono gli contrarii pensieri, de quali altri

verso l'una, altri verso l'altra parte inchinano; e cerca constituirgli tutti

sott'un'insegna d'un determinato fine. Dove s'accade ch'alcun d'essi vegna

chiamato in vano a farsi prontamente vedere ossequioso (massime quei che

procedeno dalle potenze naturali, quali o nullamente o poco ubediscono alla

raggione), al meno, forzandosi d'impedir gli loro atti e dannar quei che non

possono essere impediti, viene a mostrarsi come uccidesse quelli e donasse bando

a questi, procedendo contra gli altri con la spada de l'ira, ed altri con la

sferza del sdegno.

30 Qua un oggetto riguarda, a cui è volto con l'intenzione; per un viso, con cui

s'appaga, ingombra la mente; in una sola beltade si diletta e compiace, e dicesi

restarvi affiso, perché l'opra d'intelligenza non è operazion di moto, ma di

quiete. E da solamente concepe quel dardo che l'uccide, cioè che gli

constituisce l'ultimo fine di perfezione. Arde per un sol fuoco, cioè dolcemente

si consuma in uno amore.

31 \ CIC.\ Perché l'amore è significato per il fuoco?

32 \ TANS.\ Lascio molte altre caggioni, bastiti per ora questa: perché cossì la

cosa amata l'amore converte ne l'amante, come il fuoco, tra tutti gli elementi

attivissimo, è potente a convertere tutti quell'altri semplici e composti in se

stesso.

33 \ CIC.\ Or séguita.

34 \ TANS.\ Conosce un paradiso, cioè un fine principale; perché paradiso

comunmente significa il fine, il qual si distingue in quello ch'è absoluto, in

verità ed essenza, e l'altro ch'è in similitudine, ombra e participazione. Del

primo modo non può essere più che uno, come non è più che uno l'ultimo ed il

primo bene; del secondo modo sono infiniti.

Amor, sorte, l'oggetto e gelosia

M'appaga, affanna, contenta e sconsola.

Il putto irrazional, la cieca e ria,

L'alta bellezza, la mia morte sola,

Mi mostra il paradiso, il toglie via, Ogni ben mi presenta, me l'invola;

Tanto ch'il cor, la mente, il spirto, l'alma

Ha gioia, ha noia, ha refrigerio, ha salma.

Chi mi torrà di guerra?

Chi mi farà fruir mio ben in pace?

Chi quel ch'annoia e quel che sì mi piace,

........................................

Farà lungi disgionti,

Per gradir le mie fiamme e gli miei fonti?

35 Mostra la caggion ed origine onde si concepe il furore e nasce l'entusiasmo,

per solcar il campo de le muse, spargendo il seme de suoi pensieri, aspirando a

l'amorosa messe, scorgendo in sé il fervor de gli affetti in vece del sole, e

l'umor de gli occhi in luogo de le piogge. Mette quattro cose avanti: l'amore,

la sorte, l'oggetto, la gelosia. Dove l'amore non è un basso, ignobile ed

indegno motore, ma un eroico signor e duce de lui; la sorte non è altro che la

disposizion fatale ed ordine d'accidenti, alli quali è suggetto per il suo

destino; l'oggetto è la cosa amabile ed il correlativo de l'amante; la gelosia è

chiaro che sia un zelo de l'amante circa la cosa amata, il quale non bisogna

donarlo a intendere a chi ha gustato amore, ed in vano ne forzaremo dechiararlo

ad altri. L'amore appaga, perché a chi ama, piace l'amare; e colui che veramente

ama, non vorrebbe non amare. Onde non voglio lasciar de referire quel che ne

mostrai in questo mio sonetto:

Cara, suave ed onorata piaga

Del più bel dardo, che mai scelse Amore,

Alto, leggiadro e precioso ardore,

Che gir fai l'alma di sempr'arder vaga;

Qual forza d'erba e virtù d'arte maga

Ti torrà mai dal centro del mio core;

Se chi vi porge ognor fresco vigore,

Quanto più mi tormenta, più m'appaga?

Dolce mio duol, novo nel mondo e raro,

Quando del peso tuo girò mai scarco,

S'il rimedio m'è noia, e 'l mal diletto?

Occhi, del mio signor facelle ed arco,

Doppiate fiamme a l'alma e strali al petto,

Poich'il languir m'è dolce e l'ardor caro.

36 La sorte affanna per non felici e non bramati successi, o perché faccia

stimar il suggetto men degno de la fruizion de l'oggetto, e men proporzionato a

la dignità di quello; o perché non faccia reciproca correlazione; o per altre

caggioni ed impedimenti che s'attraversano. L'oggetto contenta il suggetto, che

non si pasce d'altro, altro non cerca, non s'occupa in altro e per quello

bandisce ogni altro pensiero. La gelosia sconsola, perché, quantunque sia figlia

dell'amore da cui deriva, compagna di quello con cui va sempre insieme, segno

del medesimo, perché quello s'intende per necessaria consequenza dove lei si

dimostra (come sen può far esperienza nelle generazioni intiere, che per

freddezza di regione e tardezza d'ingegno meno apprendono, poco amano e niente

hanno di gelosia), tutta volta con la sua figliolanza, compagnia e

significazione vien a perturbar ed attossicare tutto quel che si trova di bello

e buono nell'amore. onde dissi in un altro mio sonetto:

O d'invidia ed amor figliaria,

Che le gioie del padre volgi in pene,

Caut'Argo al male, e cieca talpa al bene,

Ministra di tormento, Gelosia,

Tisifone infernal fetid'Arpia,

Che l'altrui dolce rapi ed avvelene;

Austro crudel, per cui languir conviene

Il più bel fior de la speranza mia;

Fiera da te medesma disamata,

Augel di duol, non d'altro mai, presago,

Pena, ch'entri nel cor per mille porte:

Se si potesse a te chiuder l'entrata,

Tant'il regno d'amor saria più vago,

Quant'il mondo senz'odio e senza morte.

37 Giongi a quel ch'è detto, che la Gelosia non sol tal volta è la morte e ruina

de l'amante, ma per le spesse volte uccide l'istesso amore, massime quando

parturisce il sdegno: percioché viene ad essere talmente dal suo figlio affetta,

che spinge l'amore e mette in dispreggio l'oggetto, anzi non lo fa più essere

oggetto.

38 \ CIC.\ Dechiara ora l'altre particole che siegueno, cioè perché l'amore si

dice putto irrazionale?

39 \ TANS.\ Dirò tutto. Putto irrazionale si dice l'amore, non perché egli per

sé sia tale; ma per ciò, che per il più fa tali suggetti, ed è in suggetti tali:

atteso che, in qualunque è più intellettuale e speculativo, inalza più l'ingegno

e più purifica l'intelletto, facendolo svegliato, studioso e circonspetto,

promovendolo ad un'animositate eroica ed emulazion di virtudi e grandezza per il

desìo di piacere e farsi degno della cosa amata; in altri poi (che son la

massima parte) s'intende pazzo e stolto, perché le fa uscir de proprii

sentimenti, e le precipita a far delle extravaganze, perché ritrova il spirito,

anima e corpo mal complessionati ed inetti a considerar e distinguere quel che

gli è decente, da quel che le rende più sconci, facendoli suggetti di

dispreggio, riso e vituperio.

40 \ CIC.\ Dicono volgarmente e per proverbio, che l'amor fa dovenir gli vecchi

pazzi, e gli giovani savii.

41 \ TANS.\ Questo inconveniente non accade a tutti vecchi, né quel conveniente

a tutti giovani; ma è vero de quelli ben complessionati, e de mal complessionati

quest'altri. E con questo è certo, che chi è avezzo nella gioventù d'amar

circonspettamente, amarà vecchio senza straviare. Ma il spasso e riso è di

quelli alli quali nella matura etade l'amor mette l'alfabeto in mano.

42 \ CIC.\ Ditemi adesso, perché cieca e ria se dice la sorte o fato?

43 \ TANS.\ Cieca e ria si dice la sorte ancora, non per sé, perché è l'istesso

ordine de numeri e misure de l'universo; ma per raggion de suggetti si dice ed è

cieca, perché le rende ciechi al suo riguardo, per esser ella incertissima. E

detta similmente ria, perché nullo de mortali è che in qualche maniera

lamentandosi e querelandosi di lei, non la incolpe. Onde disse il pugliese

poeta:

Che vuol dir, Mecenate, che nessuno

Al mondo appar contento de la sorte,

Che gli ha porgiuta la raggion o cielo?

44 Cossì chiama l'oggetto alta bellezza, perché a lui è unico e più eminente ed

efficace per tirarlo a sé; e però lo stima più degno, più nobile; e però sel

sente predominante e superiore; come lui gli vien fatto suddito e cattivo. La

mia morte sola dice de la gelosia; perché come l'amore non ha più stretta

compagna che costei, cossì anco non ha senso di maggior nemica; come nessuna

cosa è più nemica al ferro che la ruggine, che nasce da lui medesimo.

45 \ CIC.\ Or poi ch'hai cominciato a far cossì, séguita a mostrar parte per

parte quel che resta.

46 \ TANS.\ Cossì farò. Dice a presso de l'amore: Mi mostra il paradiso; onde fa

veder che l'amore non è cieco in sé, e per sé non rende ciechi alcuni amanti, ma

per l'ignobili disposizioni del suggetto; qualmente avviene che gli ucelli

notturni dovegnon ciechi per la presenza del sole. Quanto a sé, dunque, l'amore

illustra, chiarisce, apre l'intelletto e fa penetrar il tutto e suscita

miracolosi effetti.

47 \ CIC.\ Molto mi par che questo il Nolano lo dimostre in un altro suo

sonetto:

Amor, per cui tant'alto il ver discerno,

Ch'apre le porte di diamante nere,

Per gli occhi entra il mio nume, e per vedere

Nasce, vive, si nutre, ha regno eterno;

Fa scorger quanto ha 'l ciel, terra ed inferno,

Fa presenti d'absenti effiggie vere,

Repiglia forze, e col trar dritto, fere,

E impiaga sempr'il cor, scuopre l'interno.

O dunque, volgo vile, al vero attendi,

Porgi l'orecchio al mio dir non fallace,

Apri, apri, se puoi, gli occhi, insano e bieco:

Fanciullo il credi, perché poco intendi;

Perché ratto ti cangi, ei par fugace;

Per esser orbo tu, lo chiami cieco.

48 Mostra dunque il paradiso amore, per far intendere, capire ed effettuar cose

altissime; o perché fa grandi, almeno in apparenza le cose amate. Il toglie via,

dice de la sorte; perché questa sovente, a mal grado de l'amante, non concede

quel tanto che l'amor dimostra, e quel che vede e brama, gli è lontano ed

adversario. Ogni ben mi presenta, dice de l'oggetto; perché questo che vien

dimostrato da l'indice de l'amore, gli par la cosa unica, principale ed il

tutto. Me l'invola, dice della Gelosia, non già per non farlo presente,

togliendolo d'avanti gli occhi; ma in far ch'il bene non sia bene, ma un

angoscioso male; il dolce non sia dolce, ma un angoscioso languire. Tanto ch'il

cor, cioè la volontà, ha gioia nel suo volere per forza d'amore, qualunque sia

il successo. La mente, cioè la parte intellettuale, ha noia, per l'apprension de

la sorte, qual non aggradisce l'amante. Il spirito, cioè l'affetto naturale, ha

refrigerio, per esser rapito da quell'oggetto che gioia al core, e potrebbe

aggradir la mente. L'alma, cioè la sustanza passibile e sensitiva, ha salma,

cioè si trova oppressa dal grave peso de la gelosia, che la tormenta.

49 Appresso la considerazion del stato suo, soggionge il lacrimoso lamento, e

dice: Chi mi torrà di guerra, e metterammi in pace; o chi disunirà quel che

m'annoia e danna da quel che sì mi piace ed apremi le porte del cielo, perché

gradite sieno le fervide fiamme del mio core, e fortunati i fonti de gli occhi

miei? Appresso, continuando il suo proposito, soggionge:

Premi, oimè, gli altri, o mia nemica sorte

Vatten via, Gelosia, dal mondo fore:

Potran ben soli con sua diva corte

Far tutto nobil faccia e vago amore.

Lui mi tolga de vita, lei de morte,

Lei me l'impenne, lui brugge il mio core,

Lui me l'ancide, lei ravvive l'alma,

Lei mio sustegno, lui mia grieve salma.

Ma che dich'io d'amore?

Se lui e lei son un suggetto o forma,

Se con medesmo imperio ed una norma

Fanno un vestigio al centro del mio core?

Non son doi dunque; è una

Che fa gioconda e triste mia fortuna.

50 Quattro principii ed estremi de due contrarietadi vuol ridurre a doi

principii ed una contrarietade. Dice dunque: Premi, oimè, gli altri; cioè basti

a te, o mia sorte, d'avermi sin a tanto oppresso, e (perché non puoi essere

senza il tuo essercizio) volta altrove il tuo sdegno. E vatten via fuori del

mondo, tu, Gelosia; perché uno di que' doi altri che rimagnono, potrà supplire

alle vostre vicende ed offici: se pur tu, mia sorte, non sei altro ch'il mio

Amore, e tu, Gelosia, non sei estranea dalla sustanza del medesimo. Reste dunque

lui per privarmi de vita, per bruggiarmi, per donarmi la morte, e per salma de

le mie ossa: con questo che lei mi tolga di morte, mi impenne, mi avvive e mi

sustente. Appresso, doi principii ed una contrarietade riduce ad un principio ed

una efficacia, dicendo: ma che dich'io d'Amore? Se questa faccia, questo oggetto

è l'imperio suo, e non par altro che l'imperio de l'amore; la norma de l'amore è

la sua medesima norma; l'impression d'amore ch'appare nella sustanza del cor

mio, non è certo altra impression che la sua: perché dunque dopo aver detto

nobil faccia, replico dicendo vago amore?




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