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Giordano Bruno
Degli eroici furori

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  • Parte 1
    • Dial.4
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Dial.4

1 \ TANS.\ Cossì si descrive il discorso de l'amor eroico, per quanto tende al

proprio oggetto, ch'è il sommo bene, e l'eroico intelletto che giongersi studia

al proprio oggetto, che è il primo vero o la verità absoluta. Or nel primo

discorso apporta tutta la somma di questo e l'intenzione; l'ordine della quale

vien descritto in cinque altri seguenti. Dice dunque:

Alle selve i mastini e i veltri slaccia

Il giovan Atteon, quand'il destino

Gli drizz'il dubio ed incauto camino,

Di boscareccie fiere appo la traccia.

Ecco tra l'acqui il più bel busto e faccia,

Che veder poss'il mortal e divino,

In ostro ed alabastro ed oro fino

Vedde; e 'l gran cacciator dovenne caccia.

Il cervio ch'a' più folti

Luoghi drizzav'i passi più leggieri,

Ratto vorâro i suoi gran cani e molti.

I' allargo i miei pensieri

Ad alta preda, ed essi a me rivolti

Morte mi dàn con morsi crudi e fieri.

2 Atteone significa l'intelletto intento alla caccia della divina sapienza,

all'apprension della beltà divina. Costui slaccia i mastini ed i veltri. De quai

questi son più veloci, quelli più forti. Perché l'operazion de l'intelletto

precede l'operazion della voluntade; ma questa è più vigorosa ed efficace che

quella; atteso che a l'intelletto umano è più amabile che comprensibile la

bontade e bellezza divina, oltre che l'amore è quello che muove e spinge

l'intelletto acciò che lo preceda, come lanterna. Alle selve, luoghi inculti e

solitarii, visitati e perlustrati da pochissimi, e però dove non son impresse

l'orme de molti uomini. Il giovane poco esperto e prattico, come quello di cui

la vita è breve ed instabile il furore, nel dubio camino de l'incerta ed

ancipite raggione ed affetto designato nel carattere di Pitagora, dove si vede

più spinoso, inculto e deserto il destro ed arduo camino, e per dove costui

slaccia i veltri e mastini appo la traccia di boscareccie fiere, che sono le

specie intelligibili de' concetti ideali; che sono occolte, perseguitate da

pochi, visitate da rarissimi, e che non s'offreno a tutti quelli che le cercano.

Ecco tra l'acqui, cioè nel specchio de le similitudini, nell'opre dove riluce

l'efficacia della bontade e splendor divino: le quali opre vegnon significate

per il suggetto de l'acqui superiori ed inferiori, che son sotto e sopra il

firmamento; vede il più bel busto e faccia, cioè potenza ed operazion esterna

che veder si possa per abito ed atto di contemplazione ed applicazion di mente

mortal o divina, d'uomo o dio alcuno.

3 \ CIC.\ Credo che non faccia comparazione, e pona come in medesimo geno la

divina ed umana apprensione quanto al modo di comprendere il quale è

diversissimo, ma quanto al.suggetto che è medesimo.

4 \ TANS.\ Cossì è. Dice in ostro alabastro ed oro, perché quello che in figura

nella corporal bellezza è vermiglio, bianco e biondo, nella divinità significa

l'ostro della divina vigorosa potenza, l'oro della divina sapienza, l'alabastro

della beltade divina, nella contemplazion della quale gli pitagorici, Caldei,

platonici ed altri, al meglior modo che possono, s'ingegnano d'inalzarsi. Vedde

il gran cacciator: comprese, quanto è possibile e dovenne caccia: andava per

predare e rimase preda questo cacciator per l'operazion de l'intelletto con cui

converte le cose apprese in sé.

5 \ CIC.\ Intendo, perché forma le specie intelligibili a suo modo e le

proporziona alla sua capacità, perché son ricevute a modo de chi le riceve.

6 \ TANS.\ E questa caccia per l'operazion della voluntade, per atto della quale

lui si converte nell'oggetto.

7 \ CIC.\ Intendo, perché lo amore transforma e converte nella cosa amata.

8 \ TANS.\ Sai bene che l'intelletto apprende le cose intelligibilmente, idest

secondo il suo modo; e la voluntà perseguita le cose naturalmente, cioè secondo

la raggione con la quale sono in sé. Cossì Atteone con que' pensieri, quei cani

che cercavano estra di sé il bene, la sapienza, la beltade, la fiera

boscareccia, ed in quel modo che giunse alla presenza di quella, rapito fuor di

sé da tanta bellezza, dovenne preda, veddesi convertito in quel che cercava; e

s'accorse che de gli suoi cani, de gli suoi pensieri egli medesimo venea ad

essere la bramata preda, perché già avendola contratta in sé, non era necessario

di cercare fuor di sé la divinità.

9 \ CIC.\ Però ben si dice il regno de Dio esser in noi, e la divinitade abitar

in noi per forza del riformato intelletto e voluntade.

10 \ TANS.\ Cossì è. Ecco dunque come l'Atteone, messo in preda de suoi cani,

perseguitato da proprii pensieri, corre e drizza i novi passi; è rinovato a

procedere divinamente e più leggiermente, cioè con maggior facilità e con una

più efficace lena, a' luoghi più folti, alli deserti, alla reggion de cose

incomprensibili; da quel ch'era un uom volgare e commune, dovien raro ed eroico,

ha costumi e concetti rari, e fa estraordinaria vita. Qua gli dàn morte i suoi

gran cani e molti: qua finisce la sua vita secondo il mondo pazzo, sensuale,

cieco e fantastico, e comincia a vivere intellettualmente; vive vita de dei,

pascesi d'ambrosia e inebriasi di nettare. - Appresso sotto forma d'un'altra

similitudine descrive la maniera con cui s'arma alla ottenzion de l'oggetto, e

dice:

Mio passar solitario, a quella parte

Che adombr'e ingombra tutt'il mio pensiero,

Tosto t'annida ivi ogni tuo mestiero

Rafferma, ivi l'industria spendi e l'arte.

Rinasci là, là su vogli allevarte

Gli tuoi vaghi pulcini omai ch'il fiero

Destin av'espedit'il cors'intiero.

Contro l'impresa, onde solea ritrarte.

Va', più nobil ricetto

Bramo ti godi, e arai per guida un dio

Che da chi nulla vede, è cieco detto.

Va', ti sia sempre pio

Ogni nume di quest'ampio architetto,

E non tornar a me se non sei mio.

11 Il progresso sopra significato per il cacciator che agita gli suoi cani, vien

qua ad esser figurato per un cuor alato che è inviato da la gabbia, in cui si

stava ocioso e quieto, ad annidarsi alto, ad allievar gli pulcini, suoi

pensieri, essendo venuto il tempo in cui cessano gli impedimenti che da fuori

mille occasioni, e da dentro la natural imbecillità subministravano. Licenzialo

dunque, per fargli più magnifica condizione, applicandolo a più alto proposito

ed intento, or che son più fermamente impiumate quelle potenze de l'anima

significate anco da platonici per le due ali. E gli commette per guida quel dio

che dal cieco volgo è stimato insano e cieco, cioè l'Amore; il qual per mercé e

favor del cielo è potente di trasformarlo come in quell'altra natura alla quale

aspira o quel stato dal quale va peregrinando bandito. Onde disse: E non tornar

a me che non sei mio, di sorte che non con indignità possa io dire con

quell'altro:

Lasciato m'hai, cuor mio,

E lume d'occhi miei, non sei più meco.

12 Appresso descrive la morte de l'anima, che da cabalisti è chiamata morte di

bacio, figurata nella Cantica di Salomone, dove l'amica dice:

Che mi bacie col bacio de sua bocca,

Perché col suo ferire

Un troppo crudo amor mi fa languire;

da altri è chiamata sonno, dove dice il Salmista:

S'avverrà, ch'io dia sonno a gli occhi miei,

E le palpebre mie dormitaransi,

Arrò 'n colui pacifico riposo.

13 Dice, dunque, cossì l'alma, come languida per esser morta in sé, e viva ne

l'oggetto:

Abbiate cura, o furiosi, al core;

Ché tropp'il mio, da me fatto lontano,

Condotto in crud'e dispietata mano,

Lieto soggiorn'ove si spasma e muore.

Co i pensier mel richiamo a tutte l'ore;

Ed ei rubello, qual girfalco insano,

Non più conosce quell'amica mano,

Onde, per non tornar, è uscito fore.

Bella fera, ch'in pene

Tante contenti, il cor, spirto, alma annodi

Con tue punte, tuoi vampi e tue catene,

De sguardi, accenti e modi;

Quel che languisc'ed arde, e non riviene,

Chi fia che saldi, refrigere e snodi?

14 Ivi l'anima dolente non già per vera discontentezza, ma con affetto di certo

amoroso martìre parla come drizzando il suo sermone a gli similmente

appassionati: come se non a felice suo grado abbia donato congedo al core, che

corre.dove non può arrivare, si stende dove non può giongere, e vuol abbracciare

quel che non può comprendere; e con ciò perché in vano s'allontane da lei, mai

sempre più e più va accendendosi verso l'infinito.

15 \ CIC.\ Onde procede, o Tansillo, che l'animo in tal progresso s'appaga del

suo tormento? onde procede quel sprone ch'il stimola sempre oltre quel che

possiede?

16 \ TANS.\ Da questo, che ti dirò adesso. Essendo l'intelletto divenuto

all'apprension d'una certa e definita forma intelligibile, e la volontà

all'affezione commensurata a tale apprensione, l'intelletto non si ferma là;

perché dal proprio lume è promosso a pensare a quello che contiene in sé ogni

geno de intelligibile ed appetibile, sin che vegna ad apprendere con

l'intelletto l'eminenza del fonte de l'idee, oceano d'ogni verità e bontade.

Indi aviene che qualunque specie gli vegna presentata e da lei vegna compresa,

da questo che è presentata e compresa, giudica che sopra essa è altra maggiore e

maggiore, con ciò sempre ritrovandosi in discorso e moto in certa maniera.

Perché sempre vede che quel tutto che possiede, è cosa misurata, e però non può

essere bastante per sé, non buono da per sé, non bello da per sé; perché non è

l'universo, non è l'ente absoluto, ma contratto ad esser questa natura, ad esser

questa specie, questa forma rapresentata a l'intelletto e presente a l'animo.

Sempre dunque dal bello compreso, e per conseguenza misurato, e conseguentemente

bello per participazione, fa progresso verso quello che è veramente bello, che

non ha margine e circonscrizione alcuna.

17 \ CIC.\ Questa prosecuzione mi par vana.

18 \ TANS.\ Anzi non, atteso che non è cosa naturale né conveniente che

l'infinito sia compreso, né esso può donarsi finito, percioché non sarrebe

infinito; ma è conveniente e naturale che l'infinito, per essere infinito, sia

infinitamente perseguitato, in quel modo di persecuzione il quale non ha raggion

di moto fisico, ma di certo moto metafisico; ed il quale non è da imperfetto al

perfetto, ma va circuendo per gli gradi della perfezione, per giongere a quel

centro infinito, il quale non è formato né forma.

19 \ CIC.\ Vorrei sapere come circuendo si può arrivare al centro?

20 \ TANS.\ Non posso saperlo.

21 \ CIC.\ Perché lo dici?

22 \ TANS.\ Perché posso dirlo e lasciarvel considerare.

23 \ CIC.\ Se non volete dire che quel che perséguita l'infinito, è come colui

che discorrendo per la circonferenza cerca il centro, io non so quel che

vogliate dire.

24 \ TANS.\ Altro.

25 \ CIC.\ Or se non vuoi dechiararti, io non voglio intenderti. Ma dimmi, se ti

piace: che intende per quel che dice il core esser condotto in cruda e

dispietata mano?

26 \ TANS.\ Intende una similitudine o metafora tolta da quel, che comunmente si

dice crudele chi non si lascia fruire o non pienamente fruire, e che è più in

desio che in possessione; onde per quel che possiede alcuno, non al tutto lieto

soggiorna, perché brama, si spasma e muore.

27 \ CIC.\ Quali son quei pensieri che il richiamano a dietro, per ritrarlo da

sì generosa impresa?

28 \ TANS.\ Gli affetti sensitivi ed altri naturali che guardano al regimento

del corpo.

29 \ CIC.\ Che hanno a far quelli di questo che in modo alcuno non può

aggiutargli, né favorirgli?

30 \ TANS.\ Non hanno a far di lui, ma de l'anima; la quale, essendo troppo

intenta ad una opra o studio, dovien remissa e poco sollecita ne l'altra.

31 \ CIC.\ Perché lo chiama qual insano?

32 \ TANS.\ Perché soprasape.

33 \ CIC.\ Sogliono esser chiamati insani quei che men sanno.

34 \ TANS.\ Anzi insani son chiamati quelli che non sanno secondo l'ordinario, o

che tendano più basso per aver men senso, o che tendano più alto per aver più

intelletto.

35 \ CIC.\ M'accorgo che dici il vero. Or dimmi appresso: quai sono le punte,

gli vampi e le catene?

36 \ TANS.\ Punte son quelle nuove che stimulano e risvegliano l'affetto perché

attenda; vampi son gli raggi della bellezza presente che accende quel che gli

attende; catene son le parti e circonstanze che tegnono fissi gli occhi de

l'attenzione ed uniti insieme gli oggetti e le potenze.

37 \ CIC.\ Che son gli sguardi, accenti e modi?

38 \ TANS.\ Sguardi son le raggioni con le quali l'oggetto (come ne mirasse) ci

si fa presente; accenti son le raggioni con le quali ci inspira ed informa; modi

son le circonstanze con le quali ci piace sempre ed aggrada. Di sorte ch'il cor

che dolcemente languisce, suavemente arde e constantemente nell'opra persevera,

teme che la sua ferita si salde, ch'il suo incendio si smorze e che si sciolga

il suo laccio.

39 \ CIC.\ Or recita quel che séguita.

40 \ TANS.\ Alti, profondi e desti miei pensieri,

Ch'uscir volete da materne fasce

De l'afflitt'alma, e siete acconci arcieri

Per tirar al versaglio onde vi nasce

L'alto concetto; in questi erti sentieri

Scontrarvi a cruda fiera il ciel non lasce.

Sovvengav'il tornar, e richiamate

Il cor ch'in man di dea selvaggia late.

Armatevi d'amore

Di domestiche fiamme, ed il vedere

Reprimete sì forte, che straniere

Non vi rendan, compagni del mio core.

Al men portate nuova

Di quel ch'a lui diletta e giova.

41 Qua descrive la natural sollecitudine de l'anima attenta circa la generazione

per l'amicizia ch'ha contratta con la materia. Ispedisce gli armati pensieri

che, sollecitati e spinti dalla querela della natura inferiore, son inviati a

richiamar il core. L'anima l'instruisce come si debbano portare, perché

invaghiti ed attratti da l'oggetto non facilmente vegnano anch'essi sedotti a

rimaner cattivi e compagni del core. Dice dunque che s'armino d'amore: di quello

amore che accende con domestiche fiamme, cioè quello che è amico de la

generazione alla quale son ubligati, e nella cui legazione, ministerio e milizia

si ritrovano. Appresso li dà ordine che reprimano il vedere chiudendo gli occhi,

perché non mirino altra beltade o bontade che quella qual gli è presente, amica

e madre. E conchiude al fine che se per altro ufficio non vogliono farsi

rivedere, rivegnano al manco per donargli saggio delle raggioni e stato del suo

core.

42 \ CIC.\ Prima che procediate ad altro, vorrei intender da voi, che è quello

che intende l'anima quando dice a gli pensieri: il vedere reprimete sì forte?

43 \ TANS.\ Ti dirò. Ogni amore procede dal vedere: l'amore intelligibile dal

vedere intelligibilmente; il sensibile dal vedere sensibilmente. Or questo

vedere ha due significazioni: perché o significa la potenza visiva, cioè la

vista, che è l'intelletto, overamente senso; o significa l'atto di quella

potenza, cioè quell'applicazione che fa l'occhio o l'intelletto a l'oggetto

materiale o intellettuale. Quando dunque si consegliano gli pensieri di

reprimere il vedere, non s'intende del primo modo, ma del secondo; perché questo

è il padre della seguente affezione de l'appetito sensitivo o intellettivo.

44 \ CIC.\ Questo è quello ch'io volevo udir da voi. Or se l'atto della potenza

visiva è causa del male o bene che procede dal vedere, onde avviene che amiamo e

desideramo di vedere? Ed onde avviene che nelle cose divine abbiamo più amore

che notizia?

45 \ TANS.\ Desideriamo il vedere, perché in qualche modo veggiamo la bontà del

vedere, perché siamo informati che per l'atto del vedere le cose belle

s'offreno: però desideramo quell'atto perché desideriamo le cose belle.

46 \ CIC.\ Desideriamo il bello e buono; ma il vedere non è bello, né buono,

anzi più tosto quello è paragone o luce per cui veggiamo non solamente il bello

e buono, ma anco il rio e brutto. Però mi pare ch'il vedere tanto può esser

bello o buono, quanto la vista può esser bianco o nero: se dunque la vista (la

quale è atto) non è bello né buono, come può cadere in desiderio?

47 \ TANS.\ Se non per sé, certamente per altro è desiderata, essendo che

l'apprension di quell'altro senza lei non si faccia.

48 \ CIC.\ Che dirai, se quell'altro non è in notizia di senso, né d'intelletto?

Come, dico, può esser desiderato almanco d'esser visto, se di esso non è notizia

alcuna, se verso quello né l'intelletto, né il senso ha esercitato atto alcuno,

anzi è in dubio se sia intelligibile o sensibile, se sia cosa corporea o

incorporea, se sia uno o doi o più, d'una o d'un'altra maniera?

49 \ TANS.\ Rispondo che nel senso e l'intelletto è un appetito ed appulso al

sensibile in generale; perché l'intelletto vuol intender tutto il vero, perché

s'apprenda poi tutto quello che è bello o buono intelligibile: la potenza

sensitiva vuol informarsi de tutto il sensibile, perché s'apprenda poi quanto è

buono o bello sensibile. Indi aviene che non meno desideramo vedere le cose

ignote e mai viste, che le cose conosciute e viste. E da questo non séguita

ch'il desiderio non proceda da la cognizione, e che qualche cosa desideriamo che

non è conosciuta; ma dico che sta pur rato e fermo che non desideriamo cose

incognite. Perché se sono occolte quanto all'esser particulare, non sono occolte

quanto a l'esser generale; come in tutta la potenza visiva si trova tutto il

visibile in attitudine, nella intellettiva tutto l'intelligibile. Però come ne

l'attitudine è l'inclinazione a l'atto, aviene che l'una e l'altra potenza è

inchinata a l'atto in universale, come a cosa naturalmente appresa per buona.

Non parlava dunque a sordi o ciechi l'anima, quando consultava con suoi pensieri

de reprimere il vedere, il quale quantunque non sia causa prossima del volere è

però causa prima e principale.

50 \ CIC.\ Che intendete per questo ultimamente detto?

51 \ TANS.\ Intendo che non è la figura o la specie sensibilmente o

intelligibilmente representata, la quale per sé muove; perché mentre alcuno sta

mirando la figura manifesta a gli occhi, non viene ancora ad amare; ma da quello

instante che l'animo concipe in se stesso quella figurata non più visibile ma

cogitabile, non più dividua ma individua, non più sotto specie di cosa, ma sotto

specie di buono o bello, allora subito nasce l'amore. Or questo è quel vedere

dal quale l'anima vorrebbe divertir gli occhi de suoi pensieri. Qua la vista

suole promuovere l'affetto ad amar più che non è quel che vede; perché, come

poco fa ho detto, sempre considera (per la notizia universale che tiene del

bello e buono) che, oltre li gradi della compresa specie de buono e bello, sono

altri ed altri in infinito.

52 \ CIC.\ Onde procede che dopo che siamo informati de la specie del bello la

quale è conceputa nell'animo, pure desideriamo di pascere la vista esteriore?

53 \ TANS.\ Da quel che l'animo vorrebbe sempre amare quel che ama, vuol sempre

vedere quel che vede. Però vuole che quella specie, che gli è stata parturita

dal vedere, non vegna ad attenuarsi, snervarsi e perdersi. Vuol dunque sempre

oltre ed oltre vedere, perché quello che potrebe oscurarsi nell'affetto

interiore, vegna spesso illustrato dall'aspetto esteriore; il quale come è

principio de l'essere, bisogna che sia principio del conservare.

Proporzionalmente accade ne l'atto de l'intendere e considerare; perché come la

vista si referisce alle cose visibili, cossì l'intelletto alle cose

intelligibili. Credo dunque ch'intendiate a che fine ed in che modo l'anima

intenda quando dice: reprimete il vedere.

54 \ CIC.\ Intendo molto bene. Or seguitate a riportar quel ch'avvenne di questi

pensieri.

55 \ TANS.\ Séguita la querela de la madre contra gli detti figli li quali, per

aver contra l'ordinazion sua aperti gli occhi, ed affissigli al splendor de

l'oggetto, erano rimasi in compagnia del core. Dice dunque:

E voi ancor, a me figli crudeli,

Per più inasprir mia doglia, mi lasciaste,

E perché senza fin più mi quereli,

Ogni mia spene con voi n'amenaste.

A che il senso riman, o avari cieli?

A che queste potenze tronche e guaste,

Se non per farmi materia ed essempio

De sì grave martir, sì lungo scempio?

Deh, per Dio, cari figli,

Lasciate pur mio fuoco alato in preda,

E fate ch'io di voi alcun riveda

Tornato a me da que' tenaci artigli.

Lassa, nessun riviene

Per tardo refrigerio de mie pene.

56 Eccomi misera, priva del core, abandonata da gli pensieri, lasciata da la

speranza, la qual tutta avevo fissa in essi. Altro non mi rimane che il senso

della mia povertà, infelicità e miseria. E perché non son oltre lasciata da

questo? perché non mi soccorre la morte, ora che son priva de la vita? A che mi

trovo le potenze naturali prive de gli atti suoi? Come potrò io sol pascermi di

specie intelligibili, come di pane intellettuale, se la sustanza di questo

supposito è composta? Come potrò io trattenirmi nella domestichezza di queste

amiche e care membra, che m'ho intessute in circa, contemprandole con la

simmetria de le qualitadi elementari, se mi abandonano gli miei pensieri tutti

ed affetti, intenti verso la cura del pane immateriale e divino? Su, su, o miei

fugaci pensieri, o mio rubelle cuore: viva il senso di cose sensibili e

l'intelletto de cose intelligibili. Soccorrasi al corpo con la materia e

suggetto corporeo, e l'intelletto con gli suoi oggetti s'appaghe; a fin che

conste questa composizione, non si dissolva questa machina, dove per mezzo del

spirito l'anima è unita al corpo. Come, misera, per opra domestica più tosto che

per esterna violenza, ho da veder quest'orribil divorzio ne le mie parti e

membra? Perché l'intelletto s'impaccia di donar legge al senso e privarlo de

suoi cibi? e questo, per il contrario, resiste a quello, volendo vivere secondo

gli proprii e non secondo l'altrui statuti? Perché questi e non quelli possono

mantenerlo e bearlo, percioché deve essere attento alla sua comoditade e vita,

non a l'altrui. Non è armonia e concordia dove è unità, dove un essere vuol

assorbir tutto l'essere; ma dove è ordine ed analogia di cose diverse; dove ogni

cosa serva la sua natura. Pascasi dunque il senso secondo la sua legge de cose

sensibili, la carne serva alla legge de la carne, il spirito alla legge del

spirito, la raggione a la legge de la raggione: non si confondano, non si

conturbino. Basta che uno non guaste o pregiudiche alla legge de l'altro, se non

è giusto che il senso oltragge alla legge della raggione. È pur cosa vituperosa

che quella tirannegge su la legge di questo, massime dove l'intelletto è più

peregrino e straniero, ed il senso è più domestico e come in propria patria.

57 Ecco dunque, o miei pensieri, come di voi altri son ubligati di rimanere alla

cura di casa, ed altri possono andar a procacciare altrove. Questa è legge di

natura, questa per conseguenza è legge dell'autore e principio della natura.

Peccate dunque, or che tutti, sedotti dalla vaghezza de l'intelletto, lasciate

al periglio de la morte l'altra parte di me. Onde vi è nato questo malencolico e

perverso umore di rompere le certe e naturali leggi de la vita vera che sta

nelle vostre mani, per una incerta e che non è se non in ombra oltre gli limiti

del fantastico pensiero? Vi par cosa naturale che non vivano animale- ed

umanamente, ma divina-, se elli non sono dei ma uomini ed animali?

58 È legge del fato e della natura che ogni cosa s'adopre secondo la condizion

de l'esser suo. Perché, dunque, mentre perseguitate il nettare avaro de gli dei,

perdete il vostro presente e proprio, affligendovi forse sotto la vana speranza

de l'altrui? Credete che non si debba sdegnar la natura di donarvi l'altro bene,

se quello che presentaneamente v'offre, tanto stoltamente dispreggiate?

Sdegnarà il ciel dar il secondo bene

A chi 'l primiero don caro non tiene.

59 Con queste e simili raggioni l'anima, prendendo la causa de la parte più

inferna, cerca de richiamar gli pensieri alla cura del corpo. Ma quelli, benché

al tardi, vegnono a mostrarsegli non già di quella forma con cui si partîro, ma

sol per dechiarargli la sua ribellione, e forzarla tutta a seguitarli. Là onde

in questa forma si lagna la dolente:

Ahi, cani d'Atteon, o fiere ingrate,

Che drizzai al ricetto de mia diva,

E voti di speranza mi tornate,

Anzi venendo a la materna riva,

Tropp'infelice fio mi riportate:

Mi sbranate, e volete ch'i' non viva.

Lasciami, vita, ch'al mio sol rimonte,

Fatta gemino rio senz'il mio fonte!

Quando il mio pondo greve

Converrà che natura mi disciolga?

Quand'avverrà ch'anch'io da qua mi tolga,

E ratto l'alt'oggetto mi sulleve?

E insieme col mio core

E i communi pulcini ivi dimore?

60 Vogliono gli platonici, che l'anima, quanto alla parte superiore, sempre

consista ne l'intelletto, dove ha raggione d'intelligenza più che de anima;

atteso che anima è nomata per quanto vivifica il corpo e lo sustenta. Cossì qua

la medesima essenza che nodrisce e mantiene li pensieri in alto, insieme col

magnificato cuore se induce dalla parte inferiore contristarsi e richiamar

quelli come ribelli.

61 \ CIC.\ Sì che non sono due essenze contrarie, ma una suggetta a doi termini

di contrarietade?

62 \ TANS.\ Cossì è a punto. Come il raggio del sole il quale quindi tocca la

terra ed è gionto a cose inferiori ed oscure, che illustra, vivifica ed accende;

indi è gionto a l'elemento del fuoco, cioè a la stella da cui procede, ha

principio, è diffuso ed in cui ha propria ed originale sussistenza; cossì

l'anima che è nell'orizonte della natura corporea ed incorporea, ha con che

s'inalze alle cose superiori ed inchine a cose inferiori. E ciò puoi vedere non

accadere per raggion ed ordine di moto locale, ma solamente per appulso d'una e

d'un'altra potenza o facultade. Come quando il senso monta all'imaginazione,

l'imaginazione alla raggione, la raggione a l'intelletto, l'intelletto a la

mente, allora l'anima tutta si converte in Dio ed abita il mondo intelligibile.

Onde per il contrario descende per conversion al mondo sensibile per via de

l'intelletto, raggione, imaginazione, senso, vegetazione.

63 \ CIC.\ È vero ch'ho inteso che per trovarsi l'anima nell'ultimo grado de

cose divine, meritamente descende nel corpo mortale, e da questo risale di nuovo

alli divini gradi; e che son tre gradi d'intelligenze: perché son altre nelle

quali l'intellettuale supera l'animale, quali dicono essere l'intelligenze

celesti; altre nelle quali l'animale supera l'intellettuale, quali son

l'intelligenze umane; altre sono nelle quali l'uno e l'altro si portano

ugualmente, come quelle de demoni o eroi.

64 \ TANS.\ Nell'apprender dunque che fa la mente, non può desiderare se non

quanto gli è vicino, prossimo, noto e familiare. Cossì il porco non può

desiderar esser uomo, né quelle cose che son convenienti all'appetito umano. Ama

più d'isvoltarsi per la luta che per un letto de bissino; ama d'unirsi ad una

scrofa, non a la più bella donna che produca la natura: perché l'affetto séguita

la raggion della specie. E tra gli uomini si può vedere il simile, secondo che

altri son più simili a una specie de bruti animali, altri ad un'altra: questi

hanno del quadrupede, quelli del volatile, e forse hanno qualche vicinanza (la

qual non voglio dire) per cui si son trovati quei che sono affetti a certe sorte

di bestie. Or a la mente (che trovasi oppressa dalla material congionzione de

l'anima) se fia lecito di alzarsi alla contemplazione d'un altro stato in cui

l'anima può arrivare, potrà certo far differenza da questo a quello, e per il

futuro spreggiar il presente. Come se una bestia avesse senso della differenza

che è tra le sue condizioni e quelle de l'uomo, e l'ignobiltà del stato suo

dalla nobiltà del stato umano, al quale non stimasse impossibile di poter

pervenire; amarebbe più la morte che li donasse quel camino ed ispedizione, che

la vita, quale l'intrattiene in quell'esser presente. Qua dunque, quando l'anima

si lagna dicendo: O cani d'Atteon, viene introdotta come cosa che consta di

potenze inferiori solamente, e da cui la mente è ribellata con aver menato seco

il core, cioè gl'intieri affetti con tutto l'exercito de pensieri: là onde per

apprension del stato presente ed ignoranza d'ogni altro stato, il quale non più

lo stima essere, che da lei possa esser conosciuto, si lamenta de pensieri, li

quali al tardi convertendosi a lei vegnono per tirarla su più tosto che a farsi

ricettar da lei. E qua per la distrazione che patisce dal commune amore della

materia e di cose intelligibili, si sente lacerare e sbranare di sorte che

bisogna al fine di cedere a l'appulso più vigoroso e forte. Qua se per virtù di

contemplazione ascende o è rapita sopra l'orizonte de gli affetti naturali, onde

con più puro occhio apprenda la differenza de l'una e l'altra vita, allora vinta

da gli alti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto; e benché viva nel

corpo, vi vegeta come morta, e vi è presente in atto de animazione, ed absente

in atto d'operazioni; non perché non vi operi mentre il corpo è vivo, ma perché

l'operazioni del composto sono rimesse, fiacche e come dispenserate.

65 \ CIC.\ Cossì un certo Teologo (che si disse rapito sin al terzo cielo),

invaghito da la vista di quello, disse che desiderava la dissoluzione dal suo

corpo.

66 \ TANS.\ In questo modo, dove prima si lamentava del core e querelavasi de

pensieri, ora desidera d'alzarsi con quelli in alto, e mostra il rincrescimento

suo per la communicazione e familiarità contratta con la materia corporale, e

dice: Lasciami vita corporale, e non m'impacciar ch'io rimonti al mio più natio

albergo, al mio sole: lasciami ormai che più non verse pianto da gli occhi miei,

o perché mal posso soccorrerli, o perché rimagno divisa dal mio bene; lasciami,

ché non è decente, né possibile che questi doi rivi scorrano senza il suo fonte,

cioè senza il core: non bisogna, dico, che io faccia doi fiumi de lacrime qua

basso, se il mio core, il quale è fonte de tai fiumi, se n'è volato ad alto con

le sue ninfe, che son gli miei pensieri. Cossì a poco a poco, da quel disamore e

rincrescimento procede a l'odio de cose inferiori; come quasi dimostra dicendo:

Quand'il mio pondo greve converrà che natura mi disciolga? e quel che seguita

appresso.

67 \ CIC.\ Intendo molto bene questo, e quello che per questo volete inferire a

proposito della principale intenzione: cioè che son gli gradi de gli amori,

affezioni e furori, secondo gli gradi di maggior o minore lume di cognizione ed

intelligenza.

68 \ TANS.\ Intendi bene. Da qua devi apprendere quella dottrina che comunmente,

tolta da' pitagorici e platonici vuole che l'anima fa gli doi progressi

d'ascenso e descenso per la cura ch'ha di sé e de la materia; per quel ch'è

mossa dal proprio appetito del bene, e per quel ch'è spinta da la providenza del

fato.

69 \ CIC.\ Ma di grazia, dimmi brevemente quel che intendi de l'anima del mondo,

se ella ancora non può ascendere né descendere?

70 \ TANS.\ Se tu dimandi del mondo secondo la volgar significazione, cioè in

quanto significa l'universo, dico che quello, per essere infinito e senza

dimensione o misura, viene a essere inmobile ed inanimato ed informe, quantunque

sia luogo de mondi infiniti mobili in esso, ed abbia spacio infinito, dove son

tanti animali grandi, che son chiamati astri. Se dimandi secondo la

significazione che tiene appresso gli veri filosofi, cioè in quanto significa

ogni globo, ogni astro, come è questa terra, il corpo del sole, luna ed altri,

dico che tal anima non ascende né descende, ma si volta in circolo. Cossì

essendo composta de potenze superiori ed inferiori, con le superiori versa circa

la divinitade, con l'inferiori circa la mole la qual vien da essa vivificata e

mantenuta intra gli tropici della generazione e corrozione de le cose viventi in

essi mondi, servando la propria vita eternamente: perché l'atto della divina

providenza sempre con misura ed ordine medesimo, con divino calore e lume le

conserva nell'ordinario e medesimo essere.

71 \ CIC.\ Mi basta aver udito questo a tal proposito.

72 \ TANS.\ Come dunque accade che queste anime particolari diversamente,

secondo diversi gradi d'ascenso e descenso, vegnono affette quanto a gli abiti

ed inclinazioni, cossì vegnono a mostrar diverse maniere ed ordini de furori,

amori e sensi; non solamente nella scala de la natura, secondo gli ordini de

diverse vite che prende l'anima in diversi corpi, come vogliono espressamente

gli pitagorici, Saduchimi ed altri, ed implicitamente Platone ed alcuni che più

profondano in esso; ma ancora nella scala de gli affetti umani, la quale è cossì

numerosa de gradi, come la scala della natura; atteso che l'uomo in tutte le sue

potenze mostra tutte le specie de lo ente.

73 \ CIC.\ Però da le affezioni si possono conoscer gli animi, se vanno alto o

basso, o se vegnono da alto o da basso, se procedeno ad esser bestie o pur ad

essere divini, secondo lo essere specifico, come intesero gli pitagorici; o

secondo la similitudine de gli affetti solamente, come comunmente si crede: non

dovendo la anima umana posser essere anima di bruto, come ben disse Plotino, ed

altri platonici secondo la sentenza del suo principe.

74 \ TANS.\ Bene. Or per venire al proposito, da furor animale questa anima

descritta è promossa a furor eroico, se la dice: Quando averrà ch'a l'alto

oggetto mi sulleve, ed ivi dimore in compagnia del mio core e miei e suoi

pulcini? Questo medesimo proposito continova quando dice:

Destin, quando sarà ch'io monte monte,

Qual per bearm'a l'alte porte porte,

Che fan quelle bellezze conte, conte,

E 'l tenace dolor conforte forte

Chi fe' le membra me disgionte, gionte,

Né lascia mie potenze smorte morte?

Mio spirto più ch'il suo rivale vale;

S'ove l'error non più l'assale, sale.

Se dove attende, tende,

E là 've l'alto oggett'ascende, ascende:

E se quel ben ch'un sol comprende, prende,

Per cui convien che tante emende mende,

Esser falice lice,

Come chi sol tutto predice dice.

75 O destino, o fato, o divina inmutabile providenza, quando sarà, ch'io monte a

quel monte, cioè ch'io vegna a tanta altezza di mente, che mi faccia toccar

transportandomi quegli alti aditi e penetrali, che mi fanno evidenti e come

comprese e numerate quelle conte, cioè rare bellezze? Quando sarà, che forte ed

efficacemente conforte il mio dolore (sciogliendomi da gli strettissimi lacci de

le cure, nelle quali mi trovo) colui che fe' gionte ed unite le mie membra,

ch'erano disunite e sgionte: cioè l'amore che ha unito insieme queste corporee

parti, ch'erano divise quanto un contrario è diviso da l'altro, e che ancora

queste potenze intellettuali, quali ne gli atti suoi son smorte, non le lascia a

fatto morte, facendole alquanto respirando aspirar in alto? Quando, dico, mi

confortarà a pieno, donando a queste libero ed ispedito il volo, per cui possa

la mia sustanza tutta annidarsi là dove, forzandomi, convien ch'io emende tutte

le mende mie? dove pervenendo il mio spirito, vale più ch'il rivale; perché non

v'è oltraggio che li resista, non è contrarietà ch'il vinca, non v'è error che

l'assaglia. Oh se tende ed arriva là dove forzandosi attende; ed ascende e

perviene a quell'altezza, dove ascende, vuol star montato, alto ed elevato il

suo oggetto; se fia che prenda quel bene che non può esser compreso da altro che

da uno, cioè da se stesso (atteso che ogni altro l'ave in misura della propria

capacità; e quel solo in tutta pienezza): allora avverrammi l'esser felice in

quel modo che dice chi tutto predice, cioè dice quella altezza nella quale il

dire tutto e far tutto è la medesima cosa; in quel modo che dice o fa chi tutto

predice, cioè chi è de tutte cose efficiente e principio, di cui il dir e

preordinare è il vero fare e principiare. Ecco come per la scala de cose

superiori ed inferiori procede l'affetto de l'amore, come l'intelletto o

sentimento procede da questi oggetti intelligibili o conoscibili a quelli; o da

quelli a questi.

76 \ CIC.\ Cossì vogliono la più gran parte de sapienti la natura compiacersi in

questa vicissitudinale circolazione che si vede ne la vertigine de la sua ruota.

 




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