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Giordano Bruno
Degli eroici furori

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  • Parte 1
    • Dial.5
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Dial.5

1 \ CIC.\ Fate pure ch'io veda, perché da me stesso potrò considerar le

condizioni di questi furori, per quel ch'appare esplicato nell'ordine, in questa

milizia, qua descritto.

2 \ TANS.\ Vedi come portano l'insegne de gli suoi affetti o fortune. Lasciamo

di considerar su gli lor nomi ed abiti; basta che stiamo su la significazion de

l'imprese ed intelligenza de la scrittura, tanto quella che è messa per forma

del corpo de la imagine, quanto l'altra ch'è messa per il più de le volte a

dechiarazion de l'impresa.

3 \ CIC.\ Cossì farremo. Or ecco qua il primo che porta un scudo distinto in

quattro colori, dove nel cimiero è depinta la fiamma sotto la testa di bronzo,

da gli forami della quale esce a gran forza un fumoso vento, e vi è scritto in

circa: At regna senserunt tria.

4 \ TANS.\ Per dichiarazion di questo direi che per essere ivi il fuoco che, per

quel che si vede, scalda il globo, dentro il quale è l'acqua, avviene che questo

umido elemento, essendo rarefatto ed attenuato per la virtù del calore, e per

consequenza risoluto in vapore, richieda molto maggior spacio per esser

contenuto. Là onde se non trova facile exito, va con grandissima forza, strepito

e ruina a crepare il vase. Ma se vi è loco o facile exito donde possa evaporare,

indi esce con violenza minore a poco a poco; e secondo la misura con cui l'acqua

se risolve in vapore, soffiando svapora in aria. Qua vien significato il cor del

furioso, dove, come in esca ben disposta attaccato l'amoroso foco, accade che

della sustanza vitale altro sfaville in fuoco, altro si veda in forma de

lacrimoso pianto boglier nel petto, altro per l'exito di ventosi suspiri

accender l'aria.

5 E però dice: At regna senserunt tria. Dove quello At ha virtù di supponere

differenza o diversità o contrarietà; quasi dicesse che l'altro è che potrebbe

aver senso del medesimo, e non l'ave. Il che è molto bene esplicato ne le rime

seguenti sotto la figura:

Dal mio gemino lume io, poca terra,

Soglio non parco umor porgere al mare;

Da quel che dentr'il petto mi si serra,

Spirto non scarso accolgon l'aure avare;

E 'l vampo che dal cor mi si disserra,

Si può senza scemars'al ciel alzare:

Con lacrime, suspiri ed ardor mio

A l'acqua, a l'aria, al fuoco rendo il fio.

Accogli' acqua, aria, foco

Qualche parte di me; ma la mia dea

Si dimostra cotant'iniqua e rea,

Che né mio pianto appo lei trova loco,

Né la mia voce ascolta,

Né pietos'al mi' ardor unqua si volta.

6 Qua la suggetta materia significata per la terra è la sustanza del furioso;

versa dal gemino lume, cioè da gli occhi, copiose lacrime che fluiscono al mare;

manda dal petto la grandezza e moltitudine de suspiri a l'aria capacissimo: ed

il vampo del suo core non come picciola favilla o debil fiamma nel camino de

l'aria s'intepidisce, infuma e trasmigra in altro essere, ma come potente e

vigoroso (più tosto acquistando de l'altrui che perdendo del proprio) gionge

alla congenea sfera.

7 \ CIC.\ Ho ben compreso il tutto. A l'altro.

8 \ TANS.\ Appresso è designato un che ha nel suo scudo, parimente destinto in

quattro colori, il cimiero, dove è un sole che distende gli raggi nel dorso de

la terra; e vi è una nota, che dice: Idem semper ubique totum.

9 \ CIC.\ Vedo che non può esser facile l'interpretazione.

10 \ TANS.\ Tanto il senso è più eccellente, quanto è men volgare: il qual

vedrete essere solo, unico e non stiracchiato. Dovete considerare che il sole,

benché al rispetto de diverse regioni de la terra per ciascuna sia diverso, a

tempi a tempi, a loco a loco, a parte a parte; al riguardo però del globo tutto,

come medesimo, sempre ed in cadaun loco fa tutto; atteso che, in qualunque punto

de l'eclittica ch'egli si trove, viene a far l'inverno, l'estade, l'autunno e la

primavera; e l'universal globo de la terra a ricevere in sé le dette quattro

tempeste. Perché mai è caldo a una parte che non sia freddo a l'altra; come

quando fia a noi nel tropico del Cancro caldissimo, è freddissimo al tropico del

Capricorno; di sorte che è a medesima raggione l'inverno a quella parte, con cui

a questa è l'estade, ed a quelli che son nel mezzo, è temperato, secondo la

disposizion vernale o autumnale. Cossì la terra sempre sente le piogge, li

venti, gli calori, gli freddi; anzi non sarebbe umida qua, se non disseccasse in

un'altra parte, e non la scalderebe da questo lato il sole, se non avesse

lasciato d'iscaldarla da quell'altro.

11 \ CIC.\ Prima che finisci ad conchiudere, io intendo quel che volete dire.

Intendeva egli che, come il sole sempre dona tutte le impressioni a la terra, e

questa sempre le riceve intiere e tutte, cossì l'oggetto del furioso col suo

splendore attivamente lo fa suggetto passivo de lacrime, che son l'acqui; de

ardori, che son gl'incendii; e de suspiri, quai son certi vapori, che son mezzi

che parteno dal fuoco e vanno a l'acqui, o partono da l'acqui e vanno al fuoco.

12 \ TANS.\ Assai bene s'esplica appresso:

Quando declin'il sol al Capricorno,

Fan più ricco le piogge ogni torrente;

Se va per l'equinozio o fa ritorno,

Ogni postiglion d'Eolo più si sente;

E scalda più col più prolisso giorno,

Nel tempo che rimonta al Cancro ardente

Non van miei pianti, suspiri ed ardori

Con tai freddi, temperie e calori.

Sempre equalmente in pianto,

Quantunqu' intensi sien suspiri e fiamme.

E benché troppo m'inacqui ed infiamme,

Mai avvien ch'io suspire men che tanto:

Infinito mi scaldo,

Equalmente ai suspiri e pianger

saldo.

13 \ CIC.\ Questo non tanto dechiara il senso de la divisa, come il precedente

discorso faceva, quanto più tosto dice la consequenza di quello, o l'accompagna.

 

14 \ TANS.\ Dite megliore, che la figura è latente ne la prima parte, ed il

motto è molto esplicato ne la seconda; come l'uno e l'altro è molto propriamente

significato nel tipo del sole e de la terra.

15 \ CIC.\ Passamo al terzo.

16 \ TANS.\ Il terzo nel scudo porta un fanciullo ignudo disteso sul verde

prato, e che appoggia la testa sullevata sul braccio, con gli occhi rivoltati

verso il cielo a certi edificii de stanze, torri, giardini ed orti che son sopra

le nuvole; e vi è un castello di cui la materia è fuoco; ed in mezzo è la nota

che dice: Mutuo fulcimur.

17 \ CIC.\ Che vuol dir questo?

18 \ TANS.\ Intendi quel furioso significato per il fanciullo ignudo, come

semplice, puro ed esposto a tutti gli accidenti di natura e di fortuna,

qualmente con la forza del pensiero edifica castegli in aria; e tra l'altre cose

una torre di cui l'architettore è l'amore, la materia l'amoroso foco, ed il

fabricatore egli medesimo, che dice: Mutuo fulcimur: cioè io vi edifico e vi

sustegno là con il pensiero, e voi mi sustenete qua con la speranza: voi non

sareste in essere se non fusse l'imaginazione ed il pensiero con cui vi formo e

sustegno; ed io non sarrei in vita, se non fusse il refrigerio e conforto che

per vostro mezzo ricevo.

19 \ CIC.\ È vero che non è cosa tanto vana e tanto chimerica fantasia, che non

sia più reale, e vera medicina d'un furioso cuore, che qualsivoglia erba,

pietra, oglio o altra specie che produca la natura.

20 \ TANS.\ Più possono far gli maghi per mezzo della fede, che gli medici per

via de la verità: e ne gli più gravi morbi più vegnono giovati gl'infermi con

credere quel tanto che quelli dicono, che con intendere quel tanto che questi

facciono. Or legansi le rime.

Sopra de nubi, a l'eminente loco,

Quando tal volta vaneggiando avvampo,

Per di mio spirto refrigerio e scampo,

Tal formo a l'aria castel de mio foco:

S'il mio destin fatale china un poco,

A fin ch'intenda l'alta grazia il vampo,

In cui mi muoio, e non si sdegne o adire,

O felice mia pena e mio morire!

Quella de fiamme e lacci

Tuoi, o garzon, che gli uomini e gli divi

Fan suspirar, e soglion far cattivi,

L'ardor non sente, né prova gl'impacci;

Ma può 'ntrodurti, o Amore,

Man di pietà, se mostri il mio dolore.

21 \ CIC.\ Mostra che quel che lo pasce in fantasia, e gli fomenta il spirito, è

che (essendo lui tanto privo d'ardire d'esplicarsi a far conoscere la sua pena,

quanto profondamente suggetto a tal martìre), se avvenesse ch'il fato rigido e

rubelle chinasse un poco (perché voglia il.destino al fin rasserenargli il

volto), con far che senza sdegno o ira de l'alto oggetto gli venesse manifesto,

non stima egli gioia tanto felice, né vita tanto beata, quanto per tal successo

lui stime felice la sua pena, e beato il suo morire.

22 \ TANS.\ E con questo viene a dechiarar a l'Amore che la raggion per cui

possa aver adito in quel petto, non è quell'ordinaria de le armi con le quali

suol cattivar uomini e dei; ma solamente con fargli aperto il cuor focoso ed il

travagliato spirito de lui; a la vista del quale fia necessario che la

compassion possa aprirgli il passo ed introdurlo a quella difficil stanza.

23 \ CIC.\ Che significa qua quella mosca che vola fiamma e sta quasi quasi per

bruggiarsi? e che vuol dir quel motto: Hostis non hostis?

24 \ TANS.\ Non è molto difficile la significazione de la farfalla, che sedotta

dalla vaghezza del splendore, innocente ed amica, va ad incorrere nelle

mortifere fiamme: onde hostis sta scritto per l'effetto del fuoco; non hostis

per l'affetto de la mosca. Hostis, la mosca, passivamente; non hostis,

attivamente. Hostis, la fiamma, per l'ardore; non hostis, per il splendore.

25 \ CIC.\ Or che è quel che sta scritto nella tabella?

26 \ TANS.\

Mai fia che de l'amor io mi lamente,

Senza del qual non voglio esser felice;

Sia pur ver che per lui penoso stente,

Non vo' non voler quel che sì me lice.

Sia chiar o fosco il ciel, fredd'o ardente,

Sempr'un sarò ver l'unica fenice.

Mal può disfar altro destin o sorte

Quel nodo che non può sciorre la morte.

Al cor, al spirto, a l'alma

Non è piacer, o libertade, o vita,

Qual tanto arrida, giove e sia gradita,

Qual più sia dolce, graziosa ed alma,

Ch'il stento, giogo e morte,

Ch'ho per natura, voluntade e sorte.

27 Qua nella figura mostra la similitudine che ha il furioso con la farfalla

affetta verso la sua luce; ne gli carmi poi mostra più differenza e

dissimilitudine che altro: essendo che comunmente si crede che se quella mosca

prevedesse la sua ruina, non tanto ora séguita la luce, quanto allora la

fuggirebbe, stimando male di perder l'esser proprio, risolvendosi in quel fuoco

nemico. Ma a costui non men piace svanir nelle fiamme de l'amoroso ardore, che

essere abstratto a contemplar la beltà di quel raro splendore, sotto il qual per

inclinazion di natura, per elezion di voluntade e disposizion del fato stenta,

serve e muore, più gaio, più risoluto e più gagliardo, che sotto

qualsivogli'altro piacer che s'offra al core, libertà che si conceda al spirito,

e vita che si ritrove ne l'alma.

28 \ CIC.\ Dimmi, perché dice: Sempre un sarò?

29 \ TANS.\ Perché gli par degno d'apportar raggione della sua constanza, atteso

che il sapiente non si muta con la luna,.il stolto si muta come la luna. Cossì

questo è unico con la fenice unica.

30 \ CIC.\ Bene; ma che significa quella frasca di palma, circa la quale è il

motto: Caesar adest?

31 \ TANS.\ Senza molto discorrere, tutto potrassi intendere per quel che è

scritto nella tavola:

Trionfator invitto di Farsaglia,

Essendo quasi estinti i tuoi guerrieri,

Al vederti, fortissimi 'n battaglia

Sorser, e vinser suoi nemici altieri.

Tal il mio ben, ch'al ben del ciel s'agguaglia,

Fatto a la vista de gli miei pensieri,

Ch'eran da l'alma disdegnosa spenti,

Le fa tornar più che l'amor possenti.

La sua sola presenza,

O memoria di lei, sì le ravviva,

Che con imperio e potestade diva

Dóman ogni contraria violenza.

La mi governa in pace;

Né fa cessar quel laccio e quella face.

32 Tal volta le potenze de l'anima inferiori, come un gagliardo e nemico

essercito, che si trova nel proprio paese, prattico, esperto ed accomodato,

insorge contra il peregrino adversario che dal monte de la intelligenza scende a

frenar gli popoli de le valli e palustri pianure; dove dal rigor della presenza

de nemici e difficultà de precipitosi fossi vansi perdendo, e perderiansi a

fatto, se non fusse certa conversione al splendor de la specie intelligibile,

mediante l'atto della contemplazione, mentre da gli gradi inferiori si converte

a gli gradi superiori.

33 \ CIC.\ Che gradi son questi?

34 \ TANS.\ Li gradi della contemplazione son come li gradi della luce, la quale

nullamente è nelle tenebre; alcunamente è ne l'ombra; megliormente è ne gli

colori secondo gli suoi ordini da l'un contrario, ch'è il nero, a l'altro, che è

il bianco; più efficacemente è nel splendor diffuso sugli corpi tersi e

trasparenti, come nel specchio o nella luna; più vivamente ne gli raggi sparsi

dal sole; altissima e principalissimamente nel sole istesso. Or essendo cossì

ordinate le potenze apprensive ed affettive, de le quali sempre la prossima

conseguente ave affinità con la prossima antecedente, e per la conversione a

quella che la sulleva, viene a rinforzarsi contra l'inferior che la deprime

(come la raggione, per la conversione a l'intelletto, non è sedotta o vinta

dalla notizia o apprensione e affetto sensitivo, ma più tosto, secondo la legge

di quello, viene a domar e correger questo): accade che quando l'appetito

razionale contrasta con la concupiscenza sensuale, se a quello per atto di

conversione si presente a gli occhi la luce intelligenziale, viene a repigliar

la smarrita virtude, rinforzar i nervi, spaventa e mette in rotta gli nemici.

35 \ CIC.\ In che maniera intendete che si faccia cotal conversione?

36 \ TANS.\ Con tre preparazioni che nota il contemplativo Plotino nel libro

Della bellezza intelligibile; de le quali.la prima è proporsi de conformarsi

d'una similitudine divina, divertendo la vista da cose che sono infra la propria

perfezione, e commune alle specie uguali ed inferiori; secondo è l'applicarsi

con tutta l'intenzione ed attenzione alle specie superiori; terzo il cattivar

tutta la voluntade ed affetto a Dio. Perché da qua avverrà che senza dubio

gl'influisca la divinità la qual da per tutto è presente e pronta ad ingerirsi a

chi se gli volta con l'atto de l'intelletto, ed aperto se gli espone con

l'affetto de la voluntade.

37 \ CIC.\ Non è dunque corporal bellezza quella che invaghisce costui?

38 \ TANS.\ Non certo; perché la non è vera né constante bellezza, e però non

può caggionar vero né constante amore.

39 La bellezza che si vede ne gli corpi, è una cosa accidentale ed umbratile, e

come l'altre che sono assorbite, alterate e guaste per la mutazione del

suggetto, il quale sovente da bello si fa brutto, senza che alterazion veruna si

faccia ne l'anima. La raggion dunque apprende il più vero bello per conversione

a quello che fa la beltade nel corpo, e viene a formarlo bello; e questa è

l'anima che l'ha talmente fabricato e infigurato. Appresso l'intelletto s'inalza

più, ed apprende bene che l'anima è incomparabilmente bella sopra la bellezza

che possa esser ne gli corpi; ma non si persuade che sia bella da per sé e

primitivamente: atteso che non accaderebbe quella differenza che si vede nel

geno de le anime; onde altre son savie, amabili e belle; altre stolte, odiose e

brutte. Bisogna dunque alzarsi a quello intelletto superiore il quale da per sé

è bello e da per sé è buono. Questo è quell'unico e supremo capitano, qual solo,

messo alla presenza de gli occhi de militanti pensieri, le illustra, incoraggia,

rinforza e rende vittoriosi sul dispreggio d'ogni altra bellezza e ripudio di

qualsivogli'altro bene. Questa dunque è la presenza che fa superar ogni

difficultà e vincere ogni violenza.

40 \ CIC.\ Intendo tutto. Ma che vuol dire: La mi governa in pace, Né fa cessar

quel laccio e quella face?

41 \ TANS.\ Intende e prova, che qualsivoglia sorta d'amore quanto ha maggior

imperio e più certo domìno, tanto fa sentir più stretti i lacci, più fermo il

giogo e più ardenti le fiamme. Al contrario de gli ordinarii prencipi e tiranni,

che usano maggior strettezza e forza, dove veggono aver minore imperio.

42 \ CIC.\ Passa oltre.

43 \ TANS.\ Appresso veggio descritta la fantasia d'una fenice volante, alla

quale è volto un fanciullo che bruggia in mezzo le fiamme, e vi è il motto: Fata

obstant. Ma perché s'intenda meglior, leggasi la tavoletta:

Unico augel del sol, vaga Fenice,

Ch'appareggi col mondo gli anni tui,

Quai colmi ne l'Arabia felice,

Tu sei chi fuste, io son quel che non fui.

Io per caldo d'amor muoio infelice;

Ma te ravviv'il sol co' raggi sui.

Tu bruggi 'n un, ed io in ogni loco;

Io da Cupido, hai tu da Febo il foco.

Hai termini prefissi

Di lunga vita, e io ho breve fine,

Che pronto s'offre per mille ruine;

Né so quel che vivrò, né quel che vissi:

Me cieco fato adduce,

Tu certo torni a riveder tua luce.

44 Dal senso de gli versi si vede che nella figura si disegna l'antitesi de la

sorte de la fenice e del furioso, e che il motto: Fata obstant, non è per

significar che gli fati siano contrarii o al fanciullo, o a la Fenice, o a l'uno

e l'altro; ma che non son medesimi, ma diversi ed oppositi gli decreti fatali de

l'uno e gli fatali decreti de l'altro. Perché la fenice è quel che fu,

essendoché la medesima materia per il fuoco si rinova ad esser corpo di fenice,

e medesimo spirito ed anima viene ad informarla; il furioso è quel che non fu,

perché il suggetto che è d'uomo, prima fu di qualch'altra specie secondo

innumerabili differenze. Di sorte che si sa quel che fu la fenice, e si sa quel

che sarà: ma questo suggetto non può tornar se non per molti ed incerti mezzi ad

investirsi de medesima o simil forma naturale. Appresso, la fenice al cospetto

del sole cangia la morte con la vita; e questo nel cospetto d'amore muta la vita

con la morte. Oltre, quella su l'aromatico altare accende il foco; e questo il

trova e mena seco, ovunque va. Quella ancora ha certi termini di lunga vita; ma

costui per infinite differenze di tempo ed innumerabili caggioni de circonstanze

ha di breve vita termini incerti. Quella s'accende con certezza, questo con

dubio de riveder il sole.

45 \ CIC.\ Che cosa credete voi che possa figurar questo?

46 \ TANS.\ La differenza ch'è tra l'intelletto inferiore, che chiamano

intelletto di potenza o possibile o passibile, il quale è incerto, moltivario e

moltiforme; e l'intelletto superiore, forse quale è quel che da peripatetici è

detto infima de l'intelligenze, e che immediatamente influisce sopra tutti

gl'individui dell'umana specie, e dicesi intelletto agente ed attuante. Questo

intelletto unico specifico umano che ha influenza in tutti li individui, è come

la luna la quale non prende altra specie che quella unica, la qual sempre se

rinova per la conversion che fa al sole, che è la prima ed universale

intelligenza: ma l'intelletto umano individuale e numeroso viene, come gli

occhi, a voltarsi ad innumerabili e diversissimi oggetti; onde, secondo infiniti

gradi, che son secondo tutte le forme naturali, viene informato. Là onde accade

che sia furioso, vago ed incerto questo intelletto particulare, come quello

universale è quieto, stabile e certo, cossì secondo l'appetito, come secondo

l'apprensione. O pur quindi (come da per te stesso puoi facilmente desciferare)

vien significata la natura dell'apprensione ed appetito vario, vago, inconstante

ed incerto del senso, e del concetto ed appetito definito, fermo e stabile de

l'intelligenza; la differenza de l'amor sensuale che non ha certezza né

discrezion de oggetti, da l'amor intellettivo il qual ha mira ad un certo e

solo, a cui si volta, da cui è illuminato nel concetto, onde è acceso ne

l'affetto, s'infiamma, s'illustra ed è mantenuto nell'unità, identità e stato.

47 \ CIC.\ Ma che vuol significare quell'imagine del sole con un circolo dentro,

ed un altro da fuori, con il motto Circuit?

48 \ TANS.\ La significazione di questo son certo che mai arrei compresa, se non

fusse che l'ho intesa dal medesimo figuratore. Or è da sapere che quel Circuit

si referisce al moto del sole che fa per quel circolo, il quale gli vien

descritto dentro e fuori; a significare che quel moto insieme insieme si fa ed è

fatto; onde per consequenza il sole viene sempre ad ritrovarsi in tutti gli

punti di quello: perché s'egli si muove in uno instante, séguita che insieme si

muove ed è mosso, e che è per tutta la circonferenza del circolo equalmente, e

che in esso convegna in uno il moto e la quiete.

49 \ CIC.\ Questo ho compreso nelli dialogi De l'infinito, universo e mondi

innumerabili, e dove si dechiara come la divina sapienza è mobilissima (come

disse Salomone) e che la medesima sia stabilissima, come è detto ed inteso da

tutti quelli che intendono. Or séguita a farmi comprendere il proposito.

50 \ TANS.\ Vuol dire che il suo sole non è come questo, che (come comunmente si

crede) circuisce la terra col moto diurno in vintiquattro ore, e col moto

planetare in dodeci mesi; laonde fa distinti gli quattro tempi de l'anno,

secondo che a termini di quello si trova in quattro punti cardinali del Zodiaco;

ma è tale, che, per essere la eternità istessa e conseguentemente una

possessione insieme tutta e compita, insieme insieme comprende l'inverno, la

primavera, l'estade, l'autunno, insieme insieme il giorno e la notte: perché è

tutto per tutti ed in tutti gli punti e luoghi.

51 \ CIC.\ Or applicate quel che dite alla figura.

52 \ TANS.\ Qua, perché non è possibile designar il sol tutto in tutti gli punti

del circolo, vi son delineati doi circoli: l'un che 'l comprenda, per significar

che si muove per quello: l'altro che sia da lui compreso, per mostrar che è

mosso per quello.

53 \ CIC.\ Ma questa demostrazione non è troppo aperta e propria.

54 \ TANS.\ Basta che sia la più aperta e propria che lui abbia possuta fare. Se

voi la possete far megliore, vi si dà autorità di toglier quella e mettervi

quell'altra; perché questa è stata messa solo a fin che l'anima non fusse senza

corpo.

55 \ CIC.\ Che dite di quel Circuit?

56 \ TANS.\ Quel motto, secondo tutta la sua significazione, significa la cosa

quanto può essere significata: atteso che significa, che volta e che è voltato;

cioè, il moto presente e perfetto.

57 \ CIC.\ Eccellentemente. E però quei circoli li quali malamente significano

la circonstanza del moto e quiete tale, possiamo dire che son messi a significar

la sola circulazione. E cossì vegno contento del suggetto e de la forma de

l'impresa eroica. Or legansi le rime.

58 \ TANS.\

Sol, che dal Tauro fai temprati lumi,

E dal Leon tutto maturi e scaldi,

E quando dal pungente Scorpio allumi,

De l'ardente vigor non poco faldi;

Poscia dal fier Deucalion consumi

Tutto col freddo, e i corp'umidi saldi:

De primavera, estade, autunno, inverno

Mi scald', accend', ard', avvamp'in eterno.

Ho sì caldo il desio,

Che facilmente a remirar m'accendo

Quell'alt'oggetto, per cui tant'ardendo

Fo sfavillar a gli astri il vampo mio.

Non han momento gli anni,

Che vegga variar miei sordi affanni.

59 Qua nota che gli quattro tempi de l'anno son significati non per quattro

segni mobili che son Ariete, Cancro, Libra e Capricorno, ma per gli quattro che

chiamano fissi, cioè Tauro, Leone, Scorpione ed Aquario, per significare la

perfezione, stato e fervor di quelle tempeste. Nota appresso, che in virtù di

quelle apostrofi, che son nel verso ottavo, possete leggere mi scaldo, accendo,

ardo, avampo; over, scaldi, accendi, ardi, avampi; over, scalda, accende, arde,

avvampa. Hai oltre da considerare che questi non son quattro sinonimi, ma

quattro termini diversi che significano tanti gradi de gli effetti del fuoco. Il

qual prima scalda, secondo accende, terzo bruggia, quarto infiamma o invampa

quel ch'ha scaldato, acceso e bruggiato. E cossì son denotate nel furioso il

desio, l'attenzione, il studio, l'affezione, le quali in nessun momento sente

variare.

60 \ CIC.\ Perché le mette sotto titolo d'affanni?

61 \ TANS.\ Perché l'oggetto, ch'è la divina luce, in questa vita è più in

laborioso voto che in quieta fruizione; perché la nostra mente verso quella è

come gli occhi de gli uccelli notturni al sole.

62 \ CIC.\ Passa, perché ora da quel ch'è detto, posso comprender tutto.

63 \ TANS.\ Nel cimiero seguente vi sta depinta una luna piena col motto: Talis

mihi semper et astro. Vuol dir che a l'astro, cioè al sole, ed a lui sempre è

tale, come si mostra qua piena e lucida nella circonferenza intiera del circolo:

il che acciò che meglio forse intendi, voglio farti udire quel ch'è scritto

nella tavoletta.

Luna inconstante, luna varia, quale

Con corna or vote e talor piene svalli,

Or l'orbe tuo bianco, or fosco risale,

Or Bora e de' Rifei monti le valli

Fai lustre, or torni per tue trite scale

A chiarir l'Austro e di Libia le spalli.

La luna mia, per mia continua pena,

Mai sempre è ferma, ed è mai sempre piena.

È tale la mia stella,

Che sempre mi si toglie e mai si rende,

Che sempre tanto bruggia e tanto splende,

Sempre tanto crudele e tanto bella;

Questa mia nobil face

Sempre sì mi martora, e sì mi piace.

64 Mi par che voglia dire che la sua intelligenza particulare alla intelligenza

universale è sempre tale; cioè da quella viene eternamente illuminata in tutto

l'emisfero: benché alle potenze inferiori e secondo gl'influssi de gli atti suoi

or viene oscura, or più e meno lucida. O forse vuol significare che l'intelletto

suo speculativo (il quale è sempre in atto invariabilmente) è sempre volto ed

affetto verso l'intelligenza umana significata per la luna. Perché come questa è

detta infima de tutti gli astri ed è più vicina a noi, cossì l'intelligenza

illuminatrice de tutti noi (in questo stato) è l'ultima in ordine de l'altre

intelligenze, come nota Averroe ed altri più sottili peripatetici. Quella a

l'intelletto in potenza or tramonta, per quanto non è in atto alcuno, or come

svallasse, cioè sorgesse dal basso de l'occolto emispero, si mostra or vacua, or

piena, secondo che dona più o meno lume d'intelligenza; or ha l'orbe oscuro, or

bianco, perché talvolta mostra per ombra, similitudine e vestigio, tal volta più

e più apertamente; or declina a l'Austro, or monta a Borea, cioè or ne si va più

e più allontanando, or più e più s'avvicina. Ma l'intelletto in atto con sua

continua pena (percioché questo non è per natura e condizione umana in cui si

trova cossì travaglioso, combattuto, invitato, sollecitato, distratto e come

lacerato dalle potenze inferiori) sempre vede il suo oggetto fermo, fisso e

constante, e sempre pieno e nel medesimo splendor di bellezza. Cossì sempre se

gli toglie per quanto non se gli concede, sempre se gli rende per quanto se gli

concede. Sempre tanto lo bruggia ne l'affetto, come sempre tanto gli splende nel

pensiero; sempre è tanto crudele in suttrarsi per quel che si suttrae, come

sempre è tanto bello in comunicarsi per quel che gli se presenta. Sempre lo

martora, percioch'è diviso per differenza locale da lui, come sempre gli piace,

percioché gli è congionto con l'affetto.

65 \ CIC.\ Or applicate l'intelligenza al motto.

66 \ TANS.\ Dice dunque: Talis mihi semper; cioè, per la mia continua

applicazione secondo l'intelletto, memoria e volontade (perché non voglio altro

ramentare, intendere, né desiderare) sempre mi è tale e, per quanto posso

capirla, al tutto presente, e non m'è divisa per distrazion de pensiero, né me

si fa più oscura per difetto d'attenzione, perché non è pensiero che mi

divertisca da quella luce, e non è necessità di natura qual m'oblighi perché

meno attenda. Talis mihi semper dal canto suo, perché la è invariabile in

sustanza, in virtù, in bellezza ed in effetto verso quelle cose che sono

constanti ed invariabili verso lei. Dice appresso: ut astro, perché al rispetto

del sole illuminator de quella sempre è ugualmente luminosa, essendo che sempre

ugualmente gli è volta, e quello sempre parimente.diffonde gli suoi raggi: come

fisicamente questa luna che veggiamo con gli occhi, quantunque verso la terra or

appaia tenebrosa, or lucente, or più or meno illustrata ed illustrante, sempre

però dal sole vien lei ugualmente illuminata; perché sempre piglia gli raggi di

quello al meno nel dorso del suo emispero intiero. Come anco questa terra sempre

è illuminata nell'emisfero equalmente; quantunque da l'acquosa superficie cossì

inequalmente a volte a volte mande il suo splendore alla luna (quai, come molti

altri astri innumerabili, stimiamo un'altra terra), come aviene che quella mande

a lei, atteso la vicissitudine ch'hanno insieme de ritrovarsi or l'una or

l'altra più vicina al sole.

67 \ CIC.\ Come questa intelligenza è significata per la luna che luce per

l'emisfero?

68 \ TANS.\ Tutte l'intelligenze son significate per la luna, in quanto che son

partecipi d'atto e di potenza, per quanto, dico, che hanno la luce

materialmente, e secondo participazione, ricevendola da altro; dico, non essendo

luci per sé e per sua natura, ma per risguardo del sole ch'è la prima

intelligenza, la quale è pura ed absoluta luce, come anco è puro ed absoluto

atto.

69 \ CIC.\ Tutte dunque le cose che hanno dependenza e che non sono il primo

atto e causa, sono composte come di luce e tenebra, come di materia e forma, di

potenza ed atto?

70 \ TANS.\ Cossì è. Oltre, l'anima nostra, secondo tutta la sustanza, è

significata per la luna la quale splende per l'emispero delle potenze superiori,

onde è volta alla luce del mondo intelligibile; ed è oscura per le potenze

inferiori, onde è occupata al governo della materia.

71 \ CIC.\ E mi par, che a quel ch'ora è detto abbia certa consequenza e simbolo

l'impresa ch'io veggio nel seguente scudo, dov'è una ruvida e ramosa quercia

piantata, contra la quale è un vento che soffia, ed ha circonscritto il motto:

Ut robori robur. Ed appresso è affissa la tavola che dice:

Annosa quercia, che gli rami spandi

A l'aria, e fermi le radici 'n terra;

Né terra smossa, né gli spirti grandi,

Che da l'aspro Aquilon il ciel disserra,

Né quanto fia ch'il vern'orrido mandi,

Dal luogo ove stai salda, mai ti sferra; Mostri della mia fé ritratto vero,

Qual smossa mai strani accidenti fêro.

Tu medesmo terreno

Mai sempre abbracci, fai colto e comprendi,

E di lui per le viscere distendi

Radici grate al generoso seno:

I' ad un sol oggetto

Ho fisso il spirto, il senso e l'intelletto.

72 \ TANS.\ Il motto è aperto, per cui si vanta il furioso d'aver forza e

robustezza, come la rovere; e come quell'altro, essere sempre uno al riguardo da

l'unica fenice; e come il prossimo precedente conformarsi a quella luna che

sempre tanto splende, e tanto è bella; o pur non assomigliarsi a questa

antictona tra la nostra terra ed il sole, in quanto ch'è varia a' nostri occhi,

ma in quanto sempre riceve ugual porzion del splendor solare in se stessa; e per

ciò cossì rimaner constante e fermo contra gli Aquiloni e tempestosi inverni per

la fermezza ch'ha nel suo astro in cui è piantato con l'affetto ed intenzione,

come la detta radicosa pianta tiene intessute le sue radici con le vene de la

terra.

73 \ CIC.\ Più stimo io l'essere in tranquillità e fuor di molestia che trovarsi

in una sì forte toleranza.

74 \ TANS.\ È sentenza d'epicurei la qual, se sarà bene intesa, non sarà

giudicata tanto profana quanto la stimano gli ignoranti; atteso che non toglie

che quel ch'io ho detto sia virtù, né pregiudica alla perfezione della

constanza, ma più tosto aggionge a quella perfezione che intendeno gli volgari:

perché lui non stima vera e compita virtù di fortezza e constanza quella che

sente e comporta gl'incommodi, ma quella che non sentendoli le porta; non stima

compìto amor divino ed eroico quello che sente il sprone, freno o rimorso o pena

per altro amore, ma quello ch'a fatto non ha senso de gli altri affetti; onde

talmente è gionto ad un piacere che non è potente dispiacere alcuno a distorlo o

far cespitare in punto. E questo è toccar la somma beatitudine in questo stato,

l'aver la voluptà e non aver senso di dolore.

75 \ CIC.\ La volgare opinione non crede questo senso d'Epicuro.

76 \ TANS.\ Perché non leggono gli suoi libri, né quelli che senza invidia

apportano le sue sentenze, al contrario di color che leggono il corso de sua

vita ed il termine de la sua morte; dove con queste paroli dettò il principio

del suo testamento: Essendo ne l'ultimo e medesimo felicissimo giorno de nostra

vita, abbiamo ordinato questo con mente quieta, sana e tranquilla; perché

quantunque grandissimo dolor de pietra ne tormentasse da un canto, quel tormento

tutto venea assorbito dal piacere de le nostre invenzioni e la considerazion del

fine. Ed è cosa manifesta, che non ponea felicità più che dolore nel mangiare,

bere, posare e generare, ma in non sentir fame, né sete, né fatica, né libidine.

Da qua considera qual sia secondo noi la perfezion de la constanza: non già in

questo che l'arbore non si fracasse, rompa o pieghe; ma in questo che né manco

si muova: alla cui similitudine costui tien fisso il spirto, senso ed

intelletto, là dove non ha sentimento di tempestosi insulti.

77 \ CIC.\ Volete dunque che sia cosa desiderabile il comportar de tormenti,

perché è cosa da forte?

78 \ TANS.\ Questo che dite comportare è parte di constanza e non è la virtude

intiera; ma questo che dico fortemente comportare ed Epicuro disse non sentire.

La qual privazion di senso è caggionata da quel che tutto è stato absorto dalla

cura della virtude, vero bene e felicitade. Qualmente Regolo non ebbe senso de

l'arca, Lucrezia del pugnale, Socrate del veleno, Anaxarco de la pila, Scevola

del fuoco, Cocle de la voragine, ed altri virtuosi d'altre cose che massime

tormentano e dànno orrore a persone ordinarie e.vili.

79 \ CIC.\ Or passate oltre.

80 \ TANS.\ Guarda, in quest'altro ch'ha la fantasia di quella incudine e

martello, circa la quale è il motto: Ab Aetna. Ma prima che la consideriamo,

leggemo la stanza. Qua s'introduce di Vulcano la prosopopea:

Or non al monte mio siciliano

Torn'ove tempri i folgori di Giove;

Qua mi rimagno scabroso Vulcano,

Qua più superbo gigante si smuove,

Che contra il ciel s'infiamm'e stizza in vano,

Tentando nuovi studii e varie prove;

Qua trovo meglior fabri e Mongibello,

Meglior fucina, incudine e martello,

Dov'un petto ha suspiri,

Che quai mantici avvivan la fornace,

U' l'alm'a tante scosse sottogiace

Di que' sì lunghi scempii e gran martiri;

E manda quel concento

Che fa volgar sì aspro e rio tormento.

81 Qua si mostrano le pene ed incomodi che son ne l'amore, massime nell'amor

volgare, il quale non è altro che la fucina di Vulcano, quel fabro che forma i

folgori de Giove che tormentano l'anime delinquenti. Perché il disordinato amore

ha in sé il principio della sua pena; atteso che Dio è vicino, è nosco, è dentro

di noi. Si trova in noi certa sacrata mente ed intelligenza, cui subministra un

proprio affetto che ha il suo vendicatore, che col rimorso di certa sinderesi al

meno, come con certo rigido martello, flagella il spirito prevaricante. Quella

osserva le nostre azioni ed affetti, e come è trattata da noi, fa che noi

vengamo trattati da lei. In tutti gli amanti: dico, è questo fabro Vulcano, come

non è uomo che non abbia Dio in sé, non è amante che non abbia questo dio. In

tutti è Dio certissimamente; ma qual dio sia in ciascuno, non si sa cossì

facilmente; e se pur si può examinare e distinguere, altro non potrei credere

che possa chiarirlo che l'amore; come quello che spinge gli remi, gonfia la vela

e modera questo composto, onde vegna bene o malamente affetto.

82 Dico bene o malamente affetto quanto a quel che mette in execuzione per

l'azioni morali e contemplazione; perché del resto tutti gli amanti comunmente

senteno qualch'incomodo: essendoché come le cose son miste, non essendo bene

alcuno sotto concetto ed affetto a cui non sia gionto o opposto il male, come né

alcun vero a cui non sia apposto e gionto il falso; cossì non è amore senza

timore, zelo, gelosia, rancore ed altre passioni che procedeno dal contrario che

ne perturba, se l'altro contrario ne appaga. Talmente venendo l'anima in

pensiero di ricovrar la bellezza naturale, studia purgarsi, sanarsi, riformarsi:

e però adopra il fuoco; perché essendo come oro trameschiato a la terra ed

informe, con certo rigor vuol liberarsi da impurità; il che s'effettua quando

l'intelletto, vero fabro di Giove, vi mette le mani, essercitandovi gli atti

dell'intellettive potenze..

83 \ CIC.\ A questo mi par che si riferisca quel che si trova nel Convito di

Platone, dove dice, che l'Amore da la madre Penìa ha ereditato l'esser arido,

magro, pallido, discalzo, summisso, senza letto e senza tetto. Per le quali

circonstanze vien significato il tormento ch'ha l'anima travagliata da gli

contrarii affetti.

84 \ TANS.\ Cossì è; perché il spirito affetto di tal furore viene da profondi

pensieri distratto, martellato da cure urgenti, scaldato da ferventi desii,

insoffiato da spesse occasioni. Onde trovandosi l'anima suspesa, necessariamente

viene ad essere men diligente ed operosa al governo del corpo per gli atti della

potenza vegetativa. Quindi il corpo è macilento, mal nodrito, estenuato, ha

difetto de sangue, copia di malancolici umori, li quali se non saranno

instrumenti de l'anima disciplinata o pure d'un spirito chiaro e lucido, menano

ad insania, stoltizia e furor brutale; o al meno a certa poca cura di sé e

dispreggio de l'esser proprio, il qual vien significato da Platone per gli piedi

discalzi. Va summisso l'amore e vola come rependo per la terra, quando è

attaccato a cose basse; vola alto, quando vien intento a più generose imprese.

In conclusione ed a proposito, qualunque sia l'amore, sempre è travagliato e

tormentato di sorte che non possa mancar d'esser materia nelle focine di

Vulcano; perché l'anima essendo cosa divina, e naturalmente non serva, ma

signora della materia corporale, viene a conturbarsi ancor in quel che

voluntariamente serve al corpo, dove non trova cosa che la contente; e

quantunque fissa nella cosa amata, sempre gli aviene, che altre tanto vegna ad

essagitarsi e fluttuar in mezzo gli soffii de le speranze, timori, dubii, zeli,

conscienze, rimorsi, ostinazioni, pentimenti ed altri manigoldi che son gli

mantici, gli carboni, l'incudini, gli martelli, le tenaglie ed altri stormenti

che si ritrovano nella bottega di questo sordido e sporco consorte di Venere.

85 \ CIC.\ Or assai è stato detto a questo proposito. Piacciavi di veder che

cosa séguita appresso.

86 \ TANS.\ Qua è un pomo d'oro ricchissimamente, con diverse preciosissime

specie, smaltato; ed ha il motto in circa che dice: Pulchriori detur.

87 \ CIC.\ L'allusione al fatto delle tre dee che si sottoposero al giudicio de

Paride, è molto volgare. Ma leggansi le rime che più specificatamente ne

facciano capaci de l'intenzione del furioso presente.

88 \ TANS.\

Venere, dea del terzo ciel, e madre

Del cieco arciero, domator d'ognuno;

L'altra, ch'ha 'l capo giovial per padre,

E di Giove la moglie altera, Giuno,

Il troiano pastor chiaman, che squadre

De chi de lor più bella è l'aureo muno.

Se la mia diva al paragon s'appone,

Non di Venere, Pallade, o Giunone.

Per belle membra è vaga

La cipria dea, Minerva per l'ingegno,

E la Saturnia piace con quel degno.

Splendor d'altezza, ch'il Tonante appaga;

Ma quest'ha quanto aggrade

Di bel, d'intelligenza e maestade.

89 Ecco qualmente fa comparazione dal suo oggetto il quale contiene tutte le

circonstanze, condizioni e specie di bellezza come in un suggetto, ad altri che

non ne mostrano più che una per ciascuno; e tutte poi per diversi suppositi:

come avvenne nel geno solo della corporal bellezza di cui le condizioni tutte

non le poté approvare Apelle in una ma in più vergini. Or qua dove son tre geni

di beltade, benché avvegna che tutti si troveno in ciascuna de le tre dee,

perché a Venere non manca sapienza e maestade, in Giunone non è difetto di

vaghezza e sapienza, ed in Pallade è pur notata la maestà con la vaghezza: tutta

volta aviene che l'una condizione supera le altre, onde quella viene ad esser

stimata come proprietà, e l'altre come accidenti communi, atteso che di que' tre

doni l'uno predomina in una, e viene ad mostrarla ed intitularla sovrana de

l'altre. E la caggion di cotal differenza è lo aver queste raggioni non per

essenza e primitivamente, ma per participazione e derivativamente. Come in tutte

le cose dependenti sono le perfezioni secondo gli gradi de maggiore e minore,

più e meno.

90 Ma nella simplicità della divina essenza è tutto totalmente, e non secondo

misura: e però non è più sapienza che bellezza e maestade, non è più bontà che

fortezza; ma tutti gli attributi sono non solamente uguali, ma ancora medesimi

ed una istessa cosa. Come nella sfera tutte le dimensioni sono non solamente

uguali (essendo tanta la lunghezza quanta è la profondità e larghezza) ma anco

medesime, atteso che quel che chiami profondo, medesimo puoi chiamar lungo e

largo della sfera. Cossì è nell'altezza de la sapienza divina, la quale è

medesimo che la profondità de la potenza e latitudine de la bontade. Tutte

queste perfezioni sono uguali, perché sono infinite. Percioché necessariamente

l'una è secondo la grandezza de l'altra, atteso che, dove queste cose son

finite, avviene che sia più savio che bello e buono, più buono e bello che

savio, più savio e buono che potente, e più potente che buono e savio. Ma dove è

infinita sapienza, non può essere se non infinita potenza; perché altrimente non

potrebbe saper infinitamente. Dove è infinita bontà, bisogna infinita sapienza;

perché altrimente non saprebbe essere infinitamente buono. Dove è infinita

potenza, bisogna che sia infinita bontà e sapienza, perché tanto ben si possa

sapere e si sappia possere. Or dunque vedi come l'oggetto di questo furioso,

quasi inebriato di bevanda de dei, sia più alto incomparabilmente che gli altri

diversi da quello: come, voglio dire, la specie intelligibile della divina

essenza comprende la perfezione de tutte l'altre specie altissimamente, di sorte

che, secondo il grado che può esser partecipe di quella forma, potrà intender

tutto e far tutto, ed esser cossì amico d'una che vegna ad aver a dispreggio e

tedio ogni altra bellezza. Però a quella si deve esser consecrato il sferico

pomo, come chi è tutto in tutto; non a Venere bella che da Minerva è superata in

sapienza e da Giunone in maestà; non a Pallade di cui Venere è più bella e

l'altra più magnifica; non a Giunone che non è la dea dell'intelligenza ed amore

ancora.

91 \ CIC.\ Certo come son gli gradi delle nature ed essenze, cossì

proporzionalmente son gli gradi delle specie intelligibili e magnificenze de gli

amorosi affetti e furori.

92 \ CIC.\ Il seguente porta una testa, ch'ha quattro faccia che soffiano verso

gli quattro angoli del cielo; e son quattro venti in un suggetto, alli quali

soprastanno due stelle, ed in mezzo il motto che dice: Novae ortae Aeoliae.

Vorrei sapere che cosa vegna significata.

93 \ TANS.\ Mi pare ch'il senso di questa divisa è conseguente di quello de la

prossima superiore. Perché come là è predicata una infinita bellezza per

oggetto, qua vien protestata una tanta aspirazione, studio, affetto e desio.

Percioch'io credo che questi venti son messi a significar gli suspiri; il che

conosceremo, se verremo a leggere la stanza:

Figli d'Astreo Titan e de l'Aurora,

Che conturbate il ciel, il mar e terra,

Quai spinti fuste dal Litigio fuora,

Perché facessi a' dei superba guerra:

Non più a l'Eolie spelunche dimora

Fate, ov'imperio mio vi frena e serra:

Ma rinchiusi vi siet'entr'a quel petto,

Ch'i' veggo a tanto sospirar costretto.

Voi, socii turbulenti

De le tempeste d'un ed altro mare,

Altro non è che vagli' asserenare,

Che que' omicidi lumi ed innocenti:

Quegli aperti ed ascosi

Vi renderan tranquilli ed orgogliosi.

94 Aperto si vede ch'è introdotto Eolo parlar a i venti, quali non più dice

esser da lui moderati ne l'Eolie caverne, ma da due stelle nel petto di questo

furioso. Qua le due stelle non significano gli doi occhi che son ne la bella

fronte; ma le due specie apprensibili della divina bellezza e bontade di

quell'infinito splendore, che talmente influiscono nel desio intellettuale e

razionale, che lo fanno venire ad aspirar infinitamente, secondo il modo con cui

infinitamente grande, bello e buono apprende quell'eccellente lume. Perché

l'amore, mentre sarà finito, appagato e fisso a certa misura, non sarà circa le

specie della divina bellezza, ma altra formata; ma, mentre verrà sempre oltre ed

oltre aspirando, potrassi dire che versa circa l'infinito.

95 \ CIC.\ Come comodamente l'aspirare è significato per il spirare? che simbolo

hanno i venti col desiderio?

96 \ TANS.\ Chi de noi in questo stato aspira, quello suspira, quello medesimo

spira. E però la veemenza dell'aspirare è notata per quell'ieroglifico del forte

spirare.

97 \ CIC.\ Ma è differenza tra il suspirare e spirare.

98 \ TANS.\ Però non vien significato l'uno per l'altro, come.medesimo per il

medesimo; ma come simile per il simile.

99 \ CIC.\ Seguitate dunque il vostro proposito.

100 \ TANS.\ L'infinita aspirazion dunque mostrata per gli suspiri, e

significata per gli venti, è sotto il governo non d'Eolo nell'Eolie, ma di detti

doi lumi; li quali non solo innocente-, ma e benignissimamente uccidono il

furioso, facendolo per il studioso affetto morire al riguardo d'ogni altra cosa:

con ciò che quelli, che, chiusi e ascosi lo rendono tempestoso, aperti, lo

renderan tranquillo; atteso che nella staggione che di nuvoloso velo adombra gli

occhi de l'umana mente in questo corpo, aviene che l'alma con tal studio vegna

più tosto turbata e travagliata, come, essendo quello stracciato e spinto,

doverrà tant'altamente quieta, quanto baste ad appagar la condizion di sua

natura.

101 \ CIC.\ Come l'intelletto nostro finito può seguitar l'oggetto infinito?

102 \ TANS.\ Con l'infinita potenza ch'egli ha.

103 \ CIC.\ Questa è vana, se mai sarrà in effetto.

104 \ TANS.\ Sarrebe vana, se fusse circa atto finito, dove l'infinita potenza

sarrebe privativa; ma non già circa l'atto infinito, dove l'infinita potenza è

positiva perfezione.

105 \ CIC.\ Se l'intelletto umano è una natura ed atto finito, come e perché ha

potenza infinita?

106 \ TANS.\ Perché è eterno, ed acciò sempre si dilette e non abbia fine né

misura la sua felicità; e perché, come è finito in sé, cossì sia infinito

nell'oggetto.

107 \ CIC.\ Che differenza è tra la infinità de l'oggetto ed infinità della

potenza?

108 \ TANS.\ Questa è finitamente infinita, quello infinitamente infinito. Ma

torniamo a noi. Dice, dunque, là il motto: Novae partae Aeoliae, perché par si

possa credere che tutti gli venti (che son negli antri voraginosi d'Eolo) sieno

convertiti in suspiri, se vogliamo numerar quelli che procedeno da l'affetto che

senza fine aspira al sommo bene ed infinita beltade.

109 \ CIC.\ Veggiamo appresso la significazione di quella face ardente, circa la

quale è scritto: Ad vitam, non ad horam.

110 \ TANS.\ La perseveranza in tal amore ed ardente desio del vero bene, in cui

arde in questo stato temporale il furioso. Questo credo che mostra la seguente

tavola:

Partesi da la stanza il contadino,

Quando il sen d'Oriente il giorno sgombra;

E quand'il sol ne fere più vicino,

Stanco e cotto da caldo siede a l'ombra:

Lavora poi e s'affatica insino

Ch'atra caligo l'emisfer ingombra;

Indi si posa. Io sto a continue botte

Mattina, mezo giorno, sera e notte.

Questi focosi rai,

Ch'escon da que' doi archi del mio sole,

De l'alma mia (com'il mio destin vuole)

Da l'orizonte non si parton mai,

Bruggiand'a tutte l'ore

Dal suo meridian l'afflitto core.

111 \ CIC.\ Questa tavola più vera- che propriamente esplica il senso de la

figura.

112 \ TANS.\ Non ho d'affaticarmi a farvi veder queste proprietadi, dove il

vedere non merita altro che più attenta considerazione. Gli rai del sole son le

raggioni con le quali la divina beltade e bontade si manifesta a noi. E son

focosi, perché non possono essere appresi da l'intelletto, senza che

conseguentemente scaldeno l'affetto. Doi archi del sole son le due specie di

revelazione che gli scolastici teologi chiamano matutina e vespertina; onde

l'intelligenza illuminatrice di noi, come aere mediante, ne adduce quella specie

o in virtù che la admira in se stessa, o in efficacia che la contempla ne gli

effetti. L'orizonte de l'alma in questo luogo è la parte delle potenze

superiori, dove a l'apprensione gagliarda de l'intelletto soccorre il vigoroso

appulso de l'affetto, significato per il core, che bruggiando a tutte l'ore

s'afflige; perché tutti gli frutti d'amore che possiamo raccôrre in questo

stato, non son sì dolci che non siano più gionti a certa afflizione: quella

almeno che procede da l'apprension di non piena fruizione. Come specialmente

accade ne gli frutti de l'amor naturale, la condizion de gli quali non saprei

meglio esprimere, che come fe' il poeta Epicureo:

Ex hominis vero facie pulchroque colore

Nil datur in corpus praeter simulacra fruendum

Tenuia, quae vento spes captat saepe misella.

Ut bibere in somnis sitiens cum quaerit, et humor

Non datur, ardorem in membris qui stinguere possit;

Sed laticum simulacra petit frustraque laborat

In medioque sitit torrenti flumine potans:

Sic in amore Venus simulacris ludit amantis,

Nec satiare queunt spectando corpora coram,

Nec manibus quicquam teneris abradere membris

Possunt, errantes incerti corpore toto.

Denique cum membris conlatis flore fruuntur

Aetatis; dum iam praesagit gaudia corpus,

Atque in eo est Venus, ut muliebria conserat arva,

Adfigunt avide corpus iunguntque salivas

Oris et inspirant pressantes dentibus ora,

Nequicquam, quoniam nihil inde abradere possunt,

Nec penetrare et abire in corpus corpore toto.

113 Similmente giudica nel geno del gusto che qua possiamo aver de cose divine:

mentre a quelle ne forziamo penetrare ed unirci, troviamo aver più afflizione

nel desio che piacer nel concetto. E per questo può aver detto quel savio Ebreo,

che chi aggionge scienza, aggionge dolore; perché dalla maggior apprensione

nasce maggior e più alto desio, e da questo séguita maggior dispetto e doglia

per la privazione della cosa desiderata. Là onde l'Epicureo che seguita la più

tranquilla vita, disse in proposito de l'amor volgare:

Sed fugitare decet simulacra et pabula amoris

Abstergere sibi atque alio convertere mentem,

Nec servare sibi curam certumque dolorem:

Ulcus enim virescit et inveterascit alendo,

Inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit.

Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem,

Sed potius quae sunt sine paena commoda sumit.

114 \ CIC. \ Che intende per il meridiano del core?

115 \ TANS.\ La parte o region più alta e più eminente de la volontà, dove più

illustre-, forte-, efficace- e rettamente è riscaldata. Intende che tale affetto

non è come in principio che si muova, né come in fine che si quiete, ma come al

mezzo dove s'infervora.

116 \ CIC.\ Ma che significa quel strale infocato che ha le fiamme in luogo di

ferrigna punta, circa il quale è avolto un laccio ed ha il motto: Amor instat ut

instans? Dite che ne intendete?

117 \ TANS.\ Mi par che voglia dire che l'amor mai lo lascia, e che eterno

parimente l'affliga.

118 \ CIC.\ Vedo bene laccio, strale e fuoco; intendo quel che sta scritto: Amor

instat; ma quel che séguita, non posso capirlo, cioè che l'amor come istante o

insistente, inste: che ha medesima penuria di proposito, che se uno dicesse:

questa impresa costui la ha finta come finta, la porta come la porta, la intendo

come la intendo, la vale come la vale, la stimo come un che la stima.

119 \ TANS.\ Più facilmente determina e condanna chi manco considera. Quello

instans non significa adiettivamente dal verbo instare; ma è nome sustantivo

preso per l'instante del tempo.

120 \ CIC.\ Or che vuol dir che l'amor insta come l'instante?

121 \ TANS.\ Che vuol dire Aristotele nel suo libro Del tempo, quando dice che

l'eternità è uno instante, e che in tutto il tempo non è che uno instante?

122 \ CIC.\ Come questo può essere, se non è tanto minimo tempo che non abbia

più instanti? Vuol egli forse che in uno instante sia il diluvio, la guerra di

Troia e noi che siamo adesso? Vorrei sapere come questo instante se divide in

tanti secoli ed anni? e se per medesima proporzione non possiamo dire che la

linea sia un punto?

123 \ TANS.\ Sì come il tempo è uno, ma è in diversi suggetti temporali, cossì

l'instante è uno in diverse e tutte le parti del tempo. Come io son medesimo che

fui, sono e sarò; io medesimo son qua in casa, nel tempio, nel campo e per tutto

dove sono.

124 \ CIC.\ Perché volete che l'instante sia tutto il tempo?

125 \ TANS.\ Perché se non fusse l'instante, non sarrebe il tempo: però il tempo

in essenza e sustanza non è altro che instante. E questo baste, se l'intendi

(perché non ho da pedanteggiar sul quarto de la Fisica). Onde comprendi che

voglia dire, che l'amor gli assista non meno che il tempo tutto; perché questo

instans non significa punto del tempo.

126 \ CIC.\ Bisogna che questa significazione sia specificata in qualche

maniera, se non vogliamo far che sia il motto vicioso in equivocazione, onde

possiamo liberamente intendere ch'egli voglia dire, che l'amor suo sia d'uno

instante, idest d'un atomo di tempo e d'un niente: o che voglia dire che sia,

come voi interpretate, sempre.

127 \ TANS.\ Certo se vi fussero inplicati questi doi sensi contrarii, il motto

sarrebe una baia. Ma non è cossì, se ben consideri; atteso che in uno instante,

che è atomo o punto, che l'amore inste o insista, non può essere; ma bisogna

necessariamente intendere l'instante in altra significazione. E per uscir di

scuola, leggasi la stanza:

Un tempo sparge, ed un tempo raccoglie;

Un edifica, un strugge; un piange, un ride:

Un tempo ha triste, un tempo ha liete voglie;

Un s'affatica, un posa; un stassi, un side:

Un tempo porge, un tempo si ritoglie;

Un muove, un ferma; un fa vivo, un occide;

In tutti gli anni, mesi, giorni ed ore

M'attende, fere, accend'e lega amore.

Continuo mi disperge,

Sempre mi strugg'e mi ritien in pianto,

È mio triste languir ogn'or pur tanto,

In ogni tempo mi travaglia ed erge,

Tropp'in rubbarmi è forte,

Mai non mi scuote, mai non mi dà morte.

128 \ CIC.\ Assai bene ho compreso il senso; e confesso che tutte le cose

accordano molto bene. Però mi par tempo di procedere a l'altro.

129 \ TANS.\ Qua vedi un serpe ch'a la neve languisce dove l'avea gittato un

zappatore, ed un fanciullo ignudo acceso in mezzo al fuoco, con certe altre

minute e circonstanze, con il motto che dice: Idem, itidem, non idem. Questo mi

par più presto enigma che altro; però non mi confido d'esplicarlo a fatto: pur

crederei che voglia significar medesimo fato molesto, che medesimamente tormenta

l'uno e l'altro (cioè intentissimamente, senza misericordia, a morte), con

diversi instrumenti o contrarii principii, mostrandosi medesimo freddo e caldo.

Ma questo mi par che richieda più lunga e distinta considerazione.

130 \ CIC.\ Un'altra volta! Leggete la rima:

131 \ TANS.\

Languida serpe, a quell'umor sì denso

Ti ritorci, contrai, sullevi, inondi;

E per temprar il tuo dolor intenso,

Al freddo or questa or quella parte ascondi:

S'il ghiaccio avesse per udirti senso,

Tu voce che propona o che rispondi,

Credo ch'areste efficace argumento

Per renderlo piatoso al tuo tormento.

Io ne l'eterno foco

Mi dibatto, mi struggo, scaldo, avvampo,

E al ghiaccio de mia diva per mio scampo

Né amor di me, né pietà trova loco,

Lasso! perché non sente

Quant'è il rigor de la mia fiamma ardente.

Angue, cerchi fuggir, sei impotente;

Ritenti a la tua buca, ell'è disciolta;

Proprie forze richiami, elle son spente;

Attendi al sol, l'asconde nebbia folta;

Mercé chiedi al villan, odia 'l tuo dente;

Fortuna invochi, non t'ode la stolta:

Fuga, luogo, vigor, astro, uom o sorte

Non è per darti scampo da la morte.

Tu addensi, io liquefaccio;

Io miro al rigor tuo, tu a l'ardor mio;

Tu brami questo mal, io quel desio;

Né io posso te, né tu me tôr d'impaccio.

Or chiariti a bastanza

Del fato rio, lasciamo ogni speranza.

132 \ CIC.\ Andiamone, perché per il camino vedremo di snodar questo intrico, se

si può.

133 \ TANS.\ Bene.




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