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Giordano Bruno Degli eroici furori IntraText CT - Lettura del testo |
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Dial.5 1 \ CIC.\ Fate pure ch'io veda, perché da me stesso potrò considerar le condizioni di questi furori, per quel ch'appare esplicato nell'ordine, in questa milizia, qua descritto. 2 \ TANS.\ Vedi come portano l'insegne de gli suoi affetti o fortune. Lasciamo di considerar su gli lor nomi ed abiti; basta che stiamo su la significazion de l'imprese ed intelligenza de la scrittura, tanto quella che è messa per forma del corpo de la imagine, quanto l'altra ch'è messa per il più de le volte a dechiarazion de l'impresa. 3 \ CIC.\ Cossì farremo. Or ecco qua il primo che porta un scudo distinto in quattro colori, dove nel cimiero è depinta la fiamma sotto la testa di bronzo, da gli forami della quale esce a gran forza un fumoso vento, e vi è scritto in circa: At regna senserunt tria. 4 \ TANS.\ Per dichiarazion di questo direi che per essere ivi il fuoco che, per quel che si vede, scalda il globo, dentro il quale è l'acqua, avviene che questo umido elemento, essendo rarefatto ed attenuato per la virtù del calore, e per consequenza risoluto in vapore, richieda molto maggior spacio per esser contenuto. Là onde se non trova facile exito, va con grandissima forza, strepito e ruina a crepare il vase. Ma se vi è loco o facile exito donde possa evaporare, indi esce con violenza minore a poco a poco; e secondo la misura con cui l'acqua se risolve in vapore, soffiando svapora in aria. Qua vien significato il cor del furioso, dove, come in esca ben disposta attaccato l'amoroso foco, accade che della sustanza vitale altro sfaville in fuoco, altro si veda in forma de lacrimoso pianto boglier nel petto, altro per l'exito di ventosi suspiri accender l'aria. 5 E però dice: At regna senserunt tria. Dove quello At ha virtù di supponere differenza o diversità o contrarietà; quasi dicesse che l'altro è che potrebbe aver senso del medesimo, e non l'ave. Il che è molto bene esplicato ne le rime seguenti sotto la figura: Dal mio gemino lume io, poca terra, Soglio non parco umor porgere al mare; Da quel che dentr'il petto mi si serra, Spirto non scarso accolgon l'aure avare; E 'l vampo che dal cor mi si disserra, Si può senza scemars'al ciel alzare: Con lacrime, suspiri ed ardor mio A l'acqua, a l'aria, al fuoco rendo il fio. Accogli' acqua, aria, foco Qualche parte di me; ma la mia dea Si dimostra cotant'iniqua e rea, Che né mio pianto appo lei trova loco, Né la mia voce ascolta, Né pietos'al mi' ardor unqua si volta. 6 Qua la suggetta materia significata per la terra è la sustanza del furioso; versa dal gemino lume, cioè da gli occhi, copiose lacrime che fluiscono al mare; manda dal petto la grandezza e moltitudine de suspiri a l'aria capacissimo: ed il vampo del suo core non come picciola favilla o debil fiamma nel camino de l'aria s'intepidisce, infuma e trasmigra in altro essere, ma come potente e vigoroso (più tosto acquistando de l'altrui che perdendo del proprio) gionge alla congenea sfera. 7 \ CIC.\ Ho ben compreso il tutto. A l'altro. 8 \ TANS.\ Appresso è designato un che ha nel suo scudo, parimente destinto in quattro colori, il cimiero, dove è un sole che distende gli raggi nel dorso de la terra; e vi è una nota, che dice: Idem semper ubique totum. 9 \ CIC.\ Vedo che non può esser facile l'interpretazione. 10 \ TANS.\ Tanto il senso è più eccellente, quanto è men volgare: il qual vedrete essere solo, unico e non stiracchiato. Dovete considerare che il sole, benché al rispetto de diverse regioni de la terra per ciascuna sia diverso, a tempi a tempi, a loco a loco, a parte a parte; al riguardo però del globo tutto, come medesimo, sempre ed in cadaun loco fa tutto; atteso che, in qualunque punto de l'eclittica ch'egli si trove, viene a far l'inverno, l'estade, l'autunno e la primavera; e l'universal globo de la terra a ricevere in sé le dette quattro tempeste. Perché mai è caldo a una parte che non sia freddo a l'altra; come quando fia a noi nel tropico del Cancro caldissimo, è freddissimo al tropico del Capricorno; di sorte che è a medesima raggione l'inverno a quella parte, con cui a questa è l'estade, ed a quelli che son nel mezzo, è temperato, secondo la disposizion vernale o autumnale. Cossì la terra sempre sente le piogge, li venti, gli calori, gli freddi; anzi non sarebbe umida qua, se non disseccasse in un'altra parte, e non la scalderebe da questo lato il sole, se non avesse lasciato d'iscaldarla da quell'altro. 11 \ CIC.\ Prima che finisci ad conchiudere, io intendo quel che volete dire. Intendeva egli che, come il sole sempre dona tutte le impressioni a la terra, e questa sempre le riceve intiere e tutte, cossì l'oggetto del furioso col suo splendore attivamente lo fa suggetto passivo de lacrime, che son l'acqui; de ardori, che son gl'incendii; e de suspiri, quai son certi vapori, che son mezzi che parteno dal fuoco e vanno a l'acqui, o partono da l'acqui e vanno al fuoco. 12 \ TANS.\ Assai bene s'esplica appresso: Quando declin'il sol al Capricorno, Fan più ricco le piogge ogni torrente; Se va per l'equinozio o fa ritorno, Ogni postiglion d'Eolo più si sente; E scalda più col più prolisso giorno, Nel tempo che rimonta al Cancro ardente Non van miei pianti, suspiri ed ardori Con tai freddi, temperie e calori. Sempre equalmente in pianto, Quantunqu' intensi sien suspiri e fiamme. E benché troppo m'inacqui ed infiamme, Mai avvien ch'io suspire men che tanto: Infinito mi scaldo, Equalmente ai suspiri e pianger saldo. 13 \ CIC.\ Questo non tanto dechiara il senso de la divisa, come il precedente discorso faceva, quanto più tosto dice la consequenza di quello, o l'accompagna.
14 \ TANS.\ Dite megliore, che la figura è latente ne la prima parte, ed il motto è molto esplicato ne la seconda; come l'uno e l'altro è molto propriamente significato nel tipo del sole e de la terra. 15 \ CIC.\ Passamo al terzo. 16 \ TANS.\ Il terzo nel scudo porta un fanciullo ignudo disteso sul verde prato, e che appoggia la testa sullevata sul braccio, con gli occhi rivoltati verso il cielo a certi edificii de stanze, torri, giardini ed orti che son sopra le nuvole; e vi è un castello di cui la materia è fuoco; ed in mezzo è la nota che dice: Mutuo fulcimur. 17 \ CIC.\ Che vuol dir questo? 18 \ TANS.\ Intendi quel furioso significato per il fanciullo ignudo, come semplice, puro ed esposto a tutti gli accidenti di natura e di fortuna, qualmente con la forza del pensiero edifica castegli in aria; e tra l'altre cose una torre di cui l'architettore è l'amore, la materia l'amoroso foco, ed il fabricatore egli medesimo, che dice: Mutuo fulcimur: cioè io vi edifico e vi sustegno là con il pensiero, e voi mi sustenete qua con la speranza: voi non sareste in essere se non fusse l'imaginazione ed il pensiero con cui vi formo e sustegno; ed io non sarrei in vita, se non fusse il refrigerio e conforto che per vostro mezzo ricevo. 19 \ CIC.\ È vero che non è cosa tanto vana e tanto chimerica fantasia, che non sia più reale, e vera medicina d'un furioso cuore, che qualsivoglia erba, pietra, oglio o altra specie che produca la natura. 20 \ TANS.\ Più possono far gli maghi per mezzo della fede, che gli medici per via de la verità: e ne gli più gravi morbi più vegnono giovati gl'infermi con credere quel tanto che quelli dicono, che con intendere quel tanto che questi facciono. Or legansi le rime. Sopra de nubi, a l'eminente loco, Quando tal volta vaneggiando avvampo, Per di mio spirto refrigerio e scampo, Tal formo a l'aria castel de mio foco: S'il mio destin fatale china un poco, A fin ch'intenda l'alta grazia il vampo, In cui mi muoio, e non si sdegne o adire, O felice mia pena e mio morire! Quella de fiamme e lacci Tuoi, o garzon, che gli uomini e gli divi Fan suspirar, e soglion far cattivi, L'ardor non sente, né prova gl'impacci; Ma può 'ntrodurti, o Amore, Man di pietà, se mostri il mio dolore. 21 \ CIC.\ Mostra che quel che lo pasce in fantasia, e gli fomenta il spirito, è che (essendo lui tanto privo d'ardire d'esplicarsi a far conoscere la sua pena, quanto profondamente suggetto a tal martìre), se avvenesse ch'il fato rigido e rubelle chinasse un poco (perché voglia il.destino al fin rasserenargli il volto), con far che senza sdegno o ira de l'alto oggetto gli venesse manifesto, non stima egli gioia tanto felice, né vita tanto beata, quanto per tal successo lui stime felice la sua pena, e beato il suo morire. 22 \ TANS.\ E con questo viene a dechiarar a l'Amore che la raggion per cui possa aver adito in quel petto, non è quell'ordinaria de le armi con le quali suol cattivar uomini e dei; ma solamente con fargli aperto il cuor focoso ed il travagliato spirito de lui; a la vista del quale fia necessario che la compassion possa aprirgli il passo ed introdurlo a quella difficil stanza. 23 \ CIC.\ Che significa qua quella mosca che vola fiamma e sta quasi quasi per bruggiarsi? e che vuol dir quel motto: Hostis non hostis? 24 \ TANS.\ Non è molto difficile la significazione de la farfalla, che sedotta dalla vaghezza del splendore, innocente ed amica, va ad incorrere nelle mortifere fiamme: onde hostis sta scritto per l'effetto del fuoco; non hostis per l'affetto de la mosca. Hostis, la mosca, passivamente; non hostis, attivamente. Hostis, la fiamma, per l'ardore; non hostis, per il splendore. 25 \ CIC.\ Or che è quel che sta scritto nella tabella? 26 \ TANS.\ Mai fia che de l'amor io mi lamente, Senza del qual non voglio esser felice; Sia pur ver che per lui penoso stente, Non vo' non voler quel che sì me lice. Sia chiar o fosco il ciel, fredd'o ardente, Sempr'un sarò ver l'unica fenice. Mal può disfar altro destin o sorte Quel nodo che non può sciorre la morte. Al cor, al spirto, a l'alma Non è piacer, o libertade, o vita, Qual tanto arrida, giove e sia gradita, Qual più sia dolce, graziosa ed alma, Ch'il stento, giogo e morte, Ch'ho per natura, voluntade e sorte. 27 Qua nella figura mostra la similitudine che ha il furioso con la farfalla affetta verso la sua luce; ne gli carmi poi mostra più differenza e dissimilitudine che altro: essendo che comunmente si crede che se quella mosca prevedesse la sua ruina, non tanto ora séguita la luce, quanto allora la fuggirebbe, stimando male di perder l'esser proprio, risolvendosi in quel fuoco nemico. Ma a costui non men piace svanir nelle fiamme de l'amoroso ardore, che essere abstratto a contemplar la beltà di quel raro splendore, sotto il qual per inclinazion di natura, per elezion di voluntade e disposizion del fato stenta, serve e muore, più gaio, più risoluto e più gagliardo, che sotto qualsivogli'altro piacer che s'offra al core, libertà che si conceda al spirito, e vita che si ritrove ne l'alma. 28 \ CIC.\ Dimmi, perché dice: Sempre un sarò? 29 \ TANS.\ Perché gli par degno d'apportar raggione della sua constanza, atteso che il sapiente non si muta con la luna,.il stolto si muta come la luna. Cossì questo è unico con la fenice unica. 30 \ CIC.\ Bene; ma che significa quella frasca di palma, circa la quale è il motto: Caesar adest? 31 \ TANS.\ Senza molto discorrere, tutto potrassi intendere per quel che è scritto nella tavola: Trionfator invitto di Farsaglia, Essendo quasi estinti i tuoi guerrieri, Al vederti, fortissimi 'n battaglia Sorser, e vinser suoi nemici altieri. Tal il mio ben, ch'al ben del ciel s'agguaglia, Fatto a la vista de gli miei pensieri, Ch'eran da l'alma disdegnosa spenti, Le fa tornar più che l'amor possenti. La sua sola presenza, O memoria di lei, sì le ravviva, Che con imperio e potestade diva Dóman ogni contraria violenza. La mi governa in pace; Né fa cessar quel laccio e quella face. 32 Tal volta le potenze de l'anima inferiori, come un gagliardo e nemico essercito, che si trova nel proprio paese, prattico, esperto ed accomodato, insorge contra il peregrino adversario che dal monte de la intelligenza scende a frenar gli popoli de le valli e palustri pianure; dove dal rigor della presenza de nemici e difficultà de precipitosi fossi vansi perdendo, e perderiansi a fatto, se non fusse certa conversione al splendor de la specie intelligibile, mediante l'atto della contemplazione, mentre da gli gradi inferiori si converte a gli gradi superiori. 33 \ CIC.\ Che gradi son questi? 34 \ TANS.\ Li gradi della contemplazione son come li gradi della luce, la quale nullamente è nelle tenebre; alcunamente è ne l'ombra; megliormente è ne gli colori secondo gli suoi ordini da l'un contrario, ch'è il nero, a l'altro, che è il bianco; più efficacemente è nel splendor diffuso sugli corpi tersi e trasparenti, come nel specchio o nella luna; più vivamente ne gli raggi sparsi dal sole; altissima e principalissimamente nel sole istesso. Or essendo cossì ordinate le potenze apprensive ed affettive, de le quali sempre la prossima conseguente ave affinità con la prossima antecedente, e per la conversione a quella che la sulleva, viene a rinforzarsi contra l'inferior che la deprime (come la raggione, per la conversione a l'intelletto, non è sedotta o vinta dalla notizia o apprensione e affetto sensitivo, ma più tosto, secondo la legge di quello, viene a domar e correger questo): accade che quando l'appetito razionale contrasta con la concupiscenza sensuale, se a quello per atto di conversione si presente a gli occhi la luce intelligenziale, viene a repigliar la smarrita virtude, rinforzar i nervi, spaventa e mette in rotta gli nemici. 35 \ CIC.\ In che maniera intendete che si faccia cotal conversione? 36 \ TANS.\ Con tre preparazioni che nota il contemplativo Plotino nel libro Della bellezza intelligibile; de le quali.la prima è proporsi de conformarsi d'una similitudine divina, divertendo la vista da cose che sono infra la propria perfezione, e commune alle specie uguali ed inferiori; secondo è l'applicarsi con tutta l'intenzione ed attenzione alle specie superiori; terzo il cattivar tutta la voluntade ed affetto a Dio. Perché da qua avverrà che senza dubio gl'influisca la divinità la qual da per tutto è presente e pronta ad ingerirsi a chi se gli volta con l'atto de l'intelletto, ed aperto se gli espone con l'affetto de la voluntade. 37 \ CIC.\ Non è dunque corporal bellezza quella che invaghisce costui? 38 \ TANS.\ Non certo; perché la non è vera né constante bellezza, e però non può caggionar vero né constante amore. 39 La bellezza che si vede ne gli corpi, è una cosa accidentale ed umbratile, e come l'altre che sono assorbite, alterate e guaste per la mutazione del suggetto, il quale sovente da bello si fa brutto, senza che alterazion veruna si faccia ne l'anima. La raggion dunque apprende il più vero bello per conversione a quello che fa la beltade nel corpo, e viene a formarlo bello; e questa è l'anima che l'ha talmente fabricato e infigurato. Appresso l'intelletto s'inalza più, ed apprende bene che l'anima è incomparabilmente bella sopra la bellezza che possa esser ne gli corpi; ma non si persuade che sia bella da per sé e primitivamente: atteso che non accaderebbe quella differenza che si vede nel geno de le anime; onde altre son savie, amabili e belle; altre stolte, odiose e brutte. Bisogna dunque alzarsi a quello intelletto superiore il quale da per sé è bello e da per sé è buono. Questo è quell'unico e supremo capitano, qual solo, messo alla presenza de gli occhi de militanti pensieri, le illustra, incoraggia, rinforza e rende vittoriosi sul dispreggio d'ogni altra bellezza e ripudio di qualsivogli'altro bene. Questa dunque è la presenza che fa superar ogni difficultà e vincere ogni violenza. 40 \ CIC.\ Intendo tutto. Ma che vuol dire: La mi governa in pace, Né fa cessar quel laccio e quella face? 41 \ TANS.\ Intende e prova, che qualsivoglia sorta d'amore quanto ha maggior imperio e più certo domìno, tanto fa sentir più stretti i lacci, più fermo il giogo e più ardenti le fiamme. Al contrario de gli ordinarii prencipi e tiranni, che usano maggior strettezza e forza, dove veggono aver minore imperio. 42 \ CIC.\ Passa oltre. 43 \ TANS.\ Appresso veggio descritta la fantasia d'una fenice volante, alla quale è volto un fanciullo che bruggia in mezzo le fiamme, e vi è il motto: Fata obstant. Ma perché s'intenda meglior, leggasi la tavoletta: Unico augel del sol, vaga Fenice, Ch'appareggi col mondo gli anni tui, Quai colmi ne l'Arabia felice, Tu sei chi fuste, io son quel che non fui. Io per caldo d'amor muoio infelice; Ma te ravviv'il sol co' raggi sui. Tu bruggi 'n un, ed io in ogni loco; Io da Cupido, hai tu da Febo il foco. Hai termini prefissi Di lunga vita, e io ho breve fine, Che pronto s'offre per mille ruine; Né so quel che vivrò, né quel che vissi: Me cieco fato adduce, Tu certo torni a riveder tua luce. 44 Dal senso de gli versi si vede che nella figura si disegna l'antitesi de la sorte de la fenice e del furioso, e che il motto: Fata obstant, non è per significar che gli fati siano contrarii o al fanciullo, o a la Fenice, o a l'uno e l'altro; ma che non son medesimi, ma diversi ed oppositi gli decreti fatali de l'uno e gli fatali decreti de l'altro. Perché la fenice è quel che fu, essendoché la medesima materia per il fuoco si rinova ad esser corpo di fenice, e medesimo spirito ed anima viene ad informarla; il furioso è quel che non fu, perché il suggetto che è d'uomo, prima fu di qualch'altra specie secondo innumerabili differenze. Di sorte che si sa quel che fu la fenice, e si sa quel che sarà: ma questo suggetto non può tornar se non per molti ed incerti mezzi ad investirsi de medesima o simil forma naturale. Appresso, la fenice al cospetto del sole cangia la morte con la vita; e questo nel cospetto d'amore muta la vita con la morte. Oltre, quella su l'aromatico altare accende il foco; e questo il trova e mena seco, ovunque va. Quella ancora ha certi termini di lunga vita; ma costui per infinite differenze di tempo ed innumerabili caggioni de circonstanze ha di breve vita termini incerti. Quella s'accende con certezza, questo con dubio de riveder il sole. 45 \ CIC.\ Che cosa credete voi che possa figurar questo? 46 \ TANS.\ La differenza ch'è tra l'intelletto inferiore, che chiamano intelletto di potenza o possibile o passibile, il quale è incerto, moltivario e moltiforme; e l'intelletto superiore, forse quale è quel che da peripatetici è detto infima de l'intelligenze, e che immediatamente influisce sopra tutti gl'individui dell'umana specie, e dicesi intelletto agente ed attuante. Questo intelletto unico specifico umano che ha influenza in tutti li individui, è come la luna la quale non prende altra specie che quella unica, la qual sempre se rinova per la conversion che fa al sole, che è la prima ed universale intelligenza: ma l'intelletto umano individuale e numeroso viene, come gli occhi, a voltarsi ad innumerabili e diversissimi oggetti; onde, secondo infiniti gradi, che son secondo tutte le forme naturali, viene informato. Là onde accade che sia furioso, vago ed incerto questo intelletto particulare, come quello universale è quieto, stabile e certo, cossì secondo l'appetito, come secondo l'apprensione. O pur quindi (come da per te stesso puoi facilmente desciferare) vien significata la natura dell'apprensione ed appetito vario, vago, inconstante ed incerto del senso, e del concetto ed appetito definito, fermo e stabile de l'intelligenza; la differenza de l'amor sensuale che non ha certezza né discrezion de oggetti, da l'amor intellettivo il qual ha mira ad un certo e solo, a cui si volta, da cui è illuminato nel concetto, onde è acceso ne l'affetto, s'infiamma, s'illustra ed è mantenuto nell'unità, identità e stato. 47 \ CIC.\ Ma che vuol significare quell'imagine del sole con un circolo dentro, ed un altro da fuori, con il motto Circuit? 48 \ TANS.\ La significazione di questo son certo che mai arrei compresa, se non fusse che l'ho intesa dal medesimo figuratore. Or è da sapere che quel Circuit si referisce al moto del sole che fa per quel circolo, il quale gli vien descritto dentro e fuori; a significare che quel moto insieme insieme si fa ed è fatto; onde per consequenza il sole viene sempre ad ritrovarsi in tutti gli punti di quello: perché s'egli si muove in uno instante, séguita che insieme si muove ed è mosso, e che è per tutta la circonferenza del circolo equalmente, e che in esso convegna in uno il moto e la quiete. 49 \ CIC.\ Questo ho compreso nelli dialogi De l'infinito, universo e mondi innumerabili, e dove si dechiara come la divina sapienza è mobilissima (come disse Salomone) e che la medesima sia stabilissima, come è detto ed inteso da tutti quelli che intendono. Or séguita a farmi comprendere il proposito. 50 \ TANS.\ Vuol dire che il suo sole non è come questo, che (come comunmente si crede) circuisce la terra col moto diurno in vintiquattro ore, e col moto planetare in dodeci mesi; laonde fa distinti gli quattro tempi de l'anno, secondo che a termini di quello si trova in quattro punti cardinali del Zodiaco; ma è tale, che, per essere la eternità istessa e conseguentemente una possessione insieme tutta e compita, insieme insieme comprende l'inverno, la primavera, l'estade, l'autunno, insieme insieme il giorno e la notte: perché è tutto per tutti ed in tutti gli punti e luoghi. 51 \ CIC.\ Or applicate quel che dite alla figura. 52 \ TANS.\ Qua, perché non è possibile designar il sol tutto in tutti gli punti del circolo, vi son delineati doi circoli: l'un che 'l comprenda, per significar che si muove per quello: l'altro che sia da lui compreso, per mostrar che è mosso per quello. 53 \ CIC.\ Ma questa demostrazione non è troppo aperta e propria. 54 \ TANS.\ Basta che sia la più aperta e propria che lui abbia possuta fare. Se voi la possete far megliore, vi si dà autorità di toglier quella e mettervi quell'altra; perché questa è stata messa solo a fin che l'anima non fusse senza corpo. 55 \ CIC.\ Che dite di quel Circuit? 56 \ TANS.\ Quel motto, secondo tutta la sua significazione, significa la cosa quanto può essere significata: atteso che significa, che volta e che è voltato; cioè, il moto presente e perfetto. 57 \ CIC.\ Eccellentemente. E però quei circoli li quali malamente significano la circonstanza del moto e quiete tale, possiamo dire che son messi a significar la sola circulazione. E cossì vegno contento del suggetto e de la forma de l'impresa eroica. Or legansi le rime. 58 \ TANS.\ Sol, che dal Tauro fai temprati lumi, E dal Leon tutto maturi e scaldi, E quando dal pungente Scorpio allumi, De l'ardente vigor non poco faldi; Poscia dal fier Deucalion consumi Tutto col freddo, e i corp'umidi saldi: De primavera, estade, autunno, inverno Mi scald', accend', ard', avvamp'in eterno. Ho sì caldo il desio, Che facilmente a remirar m'accendo Quell'alt'oggetto, per cui tant'ardendo Fo sfavillar a gli astri il vampo mio. Non han momento gli anni, Che vegga variar miei sordi affanni. 59 Qua nota che gli quattro tempi de l'anno son significati non per quattro segni mobili che son Ariete, Cancro, Libra e Capricorno, ma per gli quattro che chiamano fissi, cioè Tauro, Leone, Scorpione ed Aquario, per significare la perfezione, stato e fervor di quelle tempeste. Nota appresso, che in virtù di quelle apostrofi, che son nel verso ottavo, possete leggere mi scaldo, accendo, ardo, avampo; over, scaldi, accendi, ardi, avampi; over, scalda, accende, arde, avvampa. Hai oltre da considerare che questi non son quattro sinonimi, ma quattro termini diversi che significano tanti gradi de gli effetti del fuoco. Il qual prima scalda, secondo accende, terzo bruggia, quarto infiamma o invampa quel ch'ha scaldato, acceso e bruggiato. E cossì son denotate nel furioso il desio, l'attenzione, il studio, l'affezione, le quali in nessun momento sente variare. 60 \ CIC.\ Perché le mette sotto titolo d'affanni? 61 \ TANS.\ Perché l'oggetto, ch'è la divina luce, in questa vita è più in laborioso voto che in quieta fruizione; perché la nostra mente verso quella è come gli occhi de gli uccelli notturni al sole. 62 \ CIC.\ Passa, perché ora da quel ch'è detto, posso comprender tutto. 63 \ TANS.\ Nel cimiero seguente vi sta depinta una luna piena col motto: Talis mihi semper et astro. Vuol dir che a l'astro, cioè al sole, ed a lui sempre è tale, come si mostra qua piena e lucida nella circonferenza intiera del circolo: il che acciò che meglio forse intendi, voglio farti udire quel ch'è scritto nella tavoletta. Luna inconstante, luna varia, quale Con corna or vote e talor piene svalli, Or l'orbe tuo bianco, or fosco risale, Or Bora e de' Rifei monti le valli Fai lustre, or torni per tue trite scale A chiarir l'Austro e di Libia le spalli. La luna mia, per mia continua pena, Mai sempre è ferma, ed è mai sempre piena. È tale la mia stella, Che sempre mi si toglie e mai si rende, Che sempre tanto bruggia e tanto splende, Sempre tanto crudele e tanto bella; Questa mia nobil face Sempre sì mi martora, e sì mi piace. 64 Mi par che voglia dire che la sua intelligenza particulare alla intelligenza universale è sempre tale; cioè da quella viene eternamente illuminata in tutto l'emisfero: benché alle potenze inferiori e secondo gl'influssi de gli atti suoi or viene oscura, or più e meno lucida. O forse vuol significare che l'intelletto suo speculativo (il quale è sempre in atto invariabilmente) è sempre volto ed affetto verso l'intelligenza umana significata per la luna. Perché come questa è detta infima de tutti gli astri ed è più vicina a noi, cossì l'intelligenza illuminatrice de tutti noi (in questo stato) è l'ultima in ordine de l'altre intelligenze, come nota Averroe ed altri più sottili peripatetici. Quella a l'intelletto in potenza or tramonta, per quanto non è in atto alcuno, or come svallasse, cioè sorgesse dal basso de l'occolto emispero, si mostra or vacua, or piena, secondo che dona più o meno lume d'intelligenza; or ha l'orbe oscuro, or bianco, perché talvolta mostra per ombra, similitudine e vestigio, tal volta più e più apertamente; or declina a l'Austro, or monta a Borea, cioè or ne si va più e più allontanando, or più e più s'avvicina. Ma l'intelletto in atto con sua continua pena (percioché questo non è per natura e condizione umana in cui si trova cossì travaglioso, combattuto, invitato, sollecitato, distratto e come lacerato dalle potenze inferiori) sempre vede il suo oggetto fermo, fisso e constante, e sempre pieno e nel medesimo splendor di bellezza. Cossì sempre se gli toglie per quanto non se gli concede, sempre se gli rende per quanto se gli concede. Sempre tanto lo bruggia ne l'affetto, come sempre tanto gli splende nel pensiero; sempre è tanto crudele in suttrarsi per quel che si suttrae, come sempre è tanto bello in comunicarsi per quel che gli se presenta. Sempre lo martora, percioch'è diviso per differenza locale da lui, come sempre gli piace, percioché gli è congionto con l'affetto. 65 \ CIC.\ Or applicate l'intelligenza al motto. 66 \ TANS.\ Dice dunque: Talis mihi semper; cioè, per la mia continua applicazione secondo l'intelletto, memoria e volontade (perché non voglio altro ramentare, intendere, né desiderare) sempre mi è tale e, per quanto posso capirla, al tutto presente, e non m'è divisa per distrazion de pensiero, né me si fa più oscura per difetto d'attenzione, perché non è pensiero che mi divertisca da quella luce, e non è necessità di natura qual m'oblighi perché meno attenda. Talis mihi semper dal canto suo, perché la è invariabile in sustanza, in virtù, in bellezza ed in effetto verso quelle cose che sono constanti ed invariabili verso lei. Dice appresso: ut astro, perché al rispetto del sole illuminator de quella sempre è ugualmente luminosa, essendo che sempre ugualmente gli è volta, e quello sempre parimente.diffonde gli suoi raggi: come fisicamente questa luna che veggiamo con gli occhi, quantunque verso la terra or appaia tenebrosa, or lucente, or più or meno illustrata ed illustrante, sempre però dal sole vien lei ugualmente illuminata; perché sempre piglia gli raggi di quello al meno nel dorso del suo emispero intiero. Come anco questa terra sempre è illuminata nell'emisfero equalmente; quantunque da l'acquosa superficie cossì inequalmente a volte a volte mande il suo splendore alla luna (quai, come molti altri astri innumerabili, stimiamo un'altra terra), come aviene che quella mande a lei, atteso la vicissitudine ch'hanno insieme de ritrovarsi or l'una or l'altra più vicina al sole. 67 \ CIC.\ Come questa intelligenza è significata per la luna che luce per l'emisfero? 68 \ TANS.\ Tutte l'intelligenze son significate per la luna, in quanto che son partecipi d'atto e di potenza, per quanto, dico, che hanno la luce materialmente, e secondo participazione, ricevendola da altro; dico, non essendo luci per sé e per sua natura, ma per risguardo del sole ch'è la prima intelligenza, la quale è pura ed absoluta luce, come anco è puro ed absoluto atto. 69 \ CIC.\ Tutte dunque le cose che hanno dependenza e che non sono il primo atto e causa, sono composte come di luce e tenebra, come di materia e forma, di potenza ed atto? 70 \ TANS.\ Cossì è. Oltre, l'anima nostra, secondo tutta la sustanza, è significata per la luna la quale splende per l'emispero delle potenze superiori, onde è volta alla luce del mondo intelligibile; ed è oscura per le potenze inferiori, onde è occupata al governo della materia. 71 \ CIC.\ E mi par, che a quel ch'ora è detto abbia certa consequenza e simbolo l'impresa ch'io veggio nel seguente scudo, dov'è una ruvida e ramosa quercia piantata, contra la quale è un vento che soffia, ed ha circonscritto il motto: Ut robori robur. Ed appresso è affissa la tavola che dice: Annosa quercia, che gli rami spandi A l'aria, e fermi le radici 'n terra; Né terra smossa, né gli spirti grandi, Che da l'aspro Aquilon il ciel disserra, Né quanto fia ch'il vern'orrido mandi, Dal luogo ove stai salda, mai ti sferra; Mostri della mia fé ritratto vero, Qual smossa mai strani accidenti fêro. Tu medesmo terreno Mai sempre abbracci, fai colto e comprendi, E di lui per le viscere distendi Radici grate al generoso seno: I' ad un sol oggetto Ho fisso il spirto, il senso e l'intelletto. 72 \ TANS.\ Il motto è aperto, per cui si vanta il furioso d'aver forza e robustezza, come la rovere; e come quell'altro, essere sempre uno al riguardo da l'unica fenice; e come il prossimo precedente conformarsi a quella luna che sempre tanto splende, e tanto è bella; o pur non assomigliarsi a questa antictona tra la nostra terra ed il sole, in quanto ch'è varia a' nostri occhi, ma in quanto sempre riceve ugual porzion del splendor solare in se stessa; e per ciò cossì rimaner constante e fermo contra gli Aquiloni e tempestosi inverni per la fermezza ch'ha nel suo astro in cui è piantato con l'affetto ed intenzione, come la detta radicosa pianta tiene intessute le sue radici con le vene de la terra. 73 \ CIC.\ Più stimo io l'essere in tranquillità e fuor di molestia che trovarsi in una sì forte toleranza. 74 \ TANS.\ È sentenza d'epicurei la qual, se sarà bene intesa, non sarà giudicata tanto profana quanto la stimano gli ignoranti; atteso che non toglie che quel ch'io ho detto sia virtù, né pregiudica alla perfezione della constanza, ma più tosto aggionge a quella perfezione che intendeno gli volgari: perché lui non stima vera e compita virtù di fortezza e constanza quella che sente e comporta gl'incommodi, ma quella che non sentendoli le porta; non stima compìto amor divino ed eroico quello che sente il sprone, freno o rimorso o pena per altro amore, ma quello ch'a fatto non ha senso de gli altri affetti; onde talmente è gionto ad un piacere che non è potente dispiacere alcuno a distorlo o far cespitare in punto. E questo è toccar la somma beatitudine in questo stato, l'aver la voluptà e non aver senso di dolore. 75 \ CIC.\ La volgare opinione non crede questo senso d'Epicuro. 76 \ TANS.\ Perché non leggono gli suoi libri, né quelli che senza invidia apportano le sue sentenze, al contrario di color che leggono il corso de sua vita ed il termine de la sua morte; dove con queste paroli dettò il principio del suo testamento: Essendo ne l'ultimo e medesimo felicissimo giorno de nostra vita, abbiamo ordinato questo con mente quieta, sana e tranquilla; perché quantunque grandissimo dolor de pietra ne tormentasse da un canto, quel tormento tutto venea assorbito dal piacere de le nostre invenzioni e la considerazion del fine. Ed è cosa manifesta, che non ponea felicità più che dolore nel mangiare, bere, posare e generare, ma in non sentir fame, né sete, né fatica, né libidine. Da qua considera qual sia secondo noi la perfezion de la constanza: non già in questo che l'arbore non si fracasse, rompa o pieghe; ma in questo che né manco si muova: alla cui similitudine costui tien fisso il spirto, senso ed intelletto, là dove non ha sentimento di tempestosi insulti. 77 \ CIC.\ Volete dunque che sia cosa desiderabile il comportar de tormenti, perché è cosa da forte? 78 \ TANS.\ Questo che dite comportare è parte di constanza e non è la virtude intiera; ma questo che dico fortemente comportare ed Epicuro disse non sentire. La qual privazion di senso è caggionata da quel che tutto è stato absorto dalla cura della virtude, vero bene e felicitade. Qualmente Regolo non ebbe senso de l'arca, Lucrezia del pugnale, Socrate del veleno, Anaxarco de la pila, Scevola del fuoco, Cocle de la voragine, ed altri virtuosi d'altre cose che massime tormentano e dànno orrore a persone ordinarie e.vili. 79 \ CIC.\ Or passate oltre. 80 \ TANS.\ Guarda, in quest'altro ch'ha la fantasia di quella incudine e martello, circa la quale è il motto: Ab Aetna. Ma prima che la consideriamo, leggemo la stanza. Qua s'introduce di Vulcano la prosopopea: Or non al monte mio siciliano Torn'ove tempri i folgori di Giove; Qua mi rimagno scabroso Vulcano, Qua più superbo gigante si smuove, Che contra il ciel s'infiamm'e stizza in vano, Tentando nuovi studii e varie prove; Qua trovo meglior fabri e Mongibello, Meglior fucina, incudine e martello, Dov'un petto ha suspiri, Che quai mantici avvivan la fornace, U' l'alm'a tante scosse sottogiace Di que' sì lunghi scempii e gran martiri; E manda quel concento Che fa volgar sì aspro e rio tormento. 81 Qua si mostrano le pene ed incomodi che son ne l'amore, massime nell'amor volgare, il quale non è altro che la fucina di Vulcano, quel fabro che forma i folgori de Giove che tormentano l'anime delinquenti. Perché il disordinato amore ha in sé il principio della sua pena; atteso che Dio è vicino, è nosco, è dentro di noi. Si trova in noi certa sacrata mente ed intelligenza, cui subministra un proprio affetto che ha il suo vendicatore, che col rimorso di certa sinderesi al meno, come con certo rigido martello, flagella il spirito prevaricante. Quella osserva le nostre azioni ed affetti, e come è trattata da noi, fa che noi vengamo trattati da lei. In tutti gli amanti: dico, è questo fabro Vulcano, come non è uomo che non abbia Dio in sé, non è amante che non abbia questo dio. In tutti è Dio certissimamente; ma qual dio sia in ciascuno, non si sa cossì facilmente; e se pur si può examinare e distinguere, altro non potrei credere che possa chiarirlo che l'amore; come quello che spinge gli remi, gonfia la vela e modera questo composto, onde vegna bene o malamente affetto. 82 Dico bene o malamente affetto quanto a quel che mette in execuzione per l'azioni morali e contemplazione; perché del resto tutti gli amanti comunmente senteno qualch'incomodo: essendoché come le cose son miste, non essendo bene alcuno sotto concetto ed affetto a cui non sia gionto o opposto il male, come né alcun vero a cui non sia apposto e gionto il falso; cossì non è amore senza timore, zelo, gelosia, rancore ed altre passioni che procedeno dal contrario che ne perturba, se l'altro contrario ne appaga. Talmente venendo l'anima in pensiero di ricovrar la bellezza naturale, studia purgarsi, sanarsi, riformarsi: e però adopra il fuoco; perché essendo come oro trameschiato a la terra ed informe, con certo rigor vuol liberarsi da impurità; il che s'effettua quando l'intelletto, vero fabro di Giove, vi mette le mani, essercitandovi gli atti dell'intellettive potenze.. 83 \ CIC.\ A questo mi par che si riferisca quel che si trova nel Convito di Platone, dove dice, che l'Amore da la madre Penìa ha ereditato l'esser arido, magro, pallido, discalzo, summisso, senza letto e senza tetto. Per le quali circonstanze vien significato il tormento ch'ha l'anima travagliata da gli contrarii affetti. 84 \ TANS.\ Cossì è; perché il spirito affetto di tal furore viene da profondi pensieri distratto, martellato da cure urgenti, scaldato da ferventi desii, insoffiato da spesse occasioni. Onde trovandosi l'anima suspesa, necessariamente viene ad essere men diligente ed operosa al governo del corpo per gli atti della potenza vegetativa. Quindi il corpo è macilento, mal nodrito, estenuato, ha difetto de sangue, copia di malancolici umori, li quali se non saranno instrumenti de l'anima disciplinata o pure d'un spirito chiaro e lucido, menano ad insania, stoltizia e furor brutale; o al meno a certa poca cura di sé e dispreggio de l'esser proprio, il qual vien significato da Platone per gli piedi discalzi. Va summisso l'amore e vola come rependo per la terra, quando è attaccato a cose basse; vola alto, quando vien intento a più generose imprese. In conclusione ed a proposito, qualunque sia l'amore, sempre è travagliato e tormentato di sorte che non possa mancar d'esser materia nelle focine di Vulcano; perché l'anima essendo cosa divina, e naturalmente non serva, ma signora della materia corporale, viene a conturbarsi ancor in quel che voluntariamente serve al corpo, dove non trova cosa che la contente; e quantunque fissa nella cosa amata, sempre gli aviene, che altre tanto vegna ad essagitarsi e fluttuar in mezzo gli soffii de le speranze, timori, dubii, zeli, conscienze, rimorsi, ostinazioni, pentimenti ed altri manigoldi che son gli mantici, gli carboni, l'incudini, gli martelli, le tenaglie ed altri stormenti che si ritrovano nella bottega di questo sordido e sporco consorte di Venere. 85 \ CIC.\ Or assai è stato detto a questo proposito. Piacciavi di veder che cosa séguita appresso. 86 \ TANS.\ Qua è un pomo d'oro ricchissimamente, con diverse preciosissime specie, smaltato; ed ha il motto in circa che dice: Pulchriori detur. 87 \ CIC.\ L'allusione al fatto delle tre dee che si sottoposero al giudicio de Paride, è molto volgare. Ma leggansi le rime che più specificatamente ne facciano capaci de l'intenzione del furioso presente. 88 \ TANS.\ Venere, dea del terzo ciel, e madre Del cieco arciero, domator d'ognuno; L'altra, ch'ha 'l capo giovial per padre, E di Giove la moglie altera, Giuno, Il troiano pastor chiaman, che squadre De chi de lor più bella è l'aureo muno. Se la mia diva al paragon s'appone, Non di Venere, Pallade, o Giunone. Per belle membra è vaga La cipria dea, Minerva per l'ingegno, E la Saturnia piace con quel degno. Splendor d'altezza, ch'il Tonante appaga; Ma quest'ha quanto aggrade Di bel, d'intelligenza e maestade. 89 Ecco qualmente fa comparazione dal suo oggetto il quale contiene tutte le circonstanze, condizioni e specie di bellezza come in un suggetto, ad altri che non ne mostrano più che una per ciascuno; e tutte poi per diversi suppositi: come avvenne nel geno solo della corporal bellezza di cui le condizioni tutte non le poté approvare Apelle in una ma in più vergini. Or qua dove son tre geni di beltade, benché avvegna che tutti si troveno in ciascuna de le tre dee, perché a Venere non manca sapienza e maestade, in Giunone non è difetto di vaghezza e sapienza, ed in Pallade è pur notata la maestà con la vaghezza: tutta volta aviene che l'una condizione supera le altre, onde quella viene ad esser stimata come proprietà, e l'altre come accidenti communi, atteso che di que' tre doni l'uno predomina in una, e viene ad mostrarla ed intitularla sovrana de l'altre. E la caggion di cotal differenza è lo aver queste raggioni non per essenza e primitivamente, ma per participazione e derivativamente. Come in tutte le cose dependenti sono le perfezioni secondo gli gradi de maggiore e minore, più e meno. 90 Ma nella simplicità della divina essenza è tutto totalmente, e non secondo misura: e però non è più sapienza che bellezza e maestade, non è più bontà che fortezza; ma tutti gli attributi sono non solamente uguali, ma ancora medesimi ed una istessa cosa. Come nella sfera tutte le dimensioni sono non solamente uguali (essendo tanta la lunghezza quanta è la profondità e larghezza) ma anco medesime, atteso che quel che chiami profondo, medesimo puoi chiamar lungo e largo della sfera. Cossì è nell'altezza de la sapienza divina, la quale è medesimo che la profondità de la potenza e latitudine de la bontade. Tutte queste perfezioni sono uguali, perché sono infinite. Percioché necessariamente l'una è secondo la grandezza de l'altra, atteso che, dove queste cose son finite, avviene che sia più savio che bello e buono, più buono e bello che savio, più savio e buono che potente, e più potente che buono e savio. Ma dove è infinita sapienza, non può essere se non infinita potenza; perché altrimente non potrebbe saper infinitamente. Dove è infinita bontà, bisogna infinita sapienza; perché altrimente non saprebbe essere infinitamente buono. Dove è infinita potenza, bisogna che sia infinita bontà e sapienza, perché tanto ben si possa sapere e si sappia possere. Or dunque vedi come l'oggetto di questo furioso, quasi inebriato di bevanda de dei, sia più alto incomparabilmente che gli altri diversi da quello: come, voglio dire, la specie intelligibile della divina essenza comprende la perfezione de tutte l'altre specie altissimamente, di sorte che, secondo il grado che può esser partecipe di quella forma, potrà intender tutto e far tutto, ed esser cossì amico d'una che vegna ad aver a dispreggio e tedio ogni altra bellezza. Però a quella si deve esser consecrato il sferico pomo, come chi è tutto in tutto; non a Venere bella che da Minerva è superata in sapienza e da Giunone in maestà; non a Pallade di cui Venere è più bella e l'altra più magnifica; non a Giunone che non è la dea dell'intelligenza ed amore ancora. 91 \ CIC.\ Certo come son gli gradi delle nature ed essenze, cossì proporzionalmente son gli gradi delle specie intelligibili e magnificenze de gli amorosi affetti e furori. 92 \ CIC.\ Il seguente porta una testa, ch'ha quattro faccia che soffiano verso gli quattro angoli del cielo; e son quattro venti in un suggetto, alli quali soprastanno due stelle, ed in mezzo il motto che dice: Novae ortae Aeoliae. Vorrei sapere che cosa vegna significata. 93 \ TANS.\ Mi pare ch'il senso di questa divisa è conseguente di quello de la prossima superiore. Perché come là è predicata una infinita bellezza per oggetto, qua vien protestata una tanta aspirazione, studio, affetto e desio. Percioch'io credo che questi venti son messi a significar gli suspiri; il che conosceremo, se verremo a leggere la stanza: Figli d'Astreo Titan e de l'Aurora, Che conturbate il ciel, il mar e terra, Quai spinti fuste dal Litigio fuora, Perché facessi a' dei superba guerra: Non più a l'Eolie spelunche dimora Fate, ov'imperio mio vi frena e serra: Ma rinchiusi vi siet'entr'a quel petto, Ch'i' veggo a tanto sospirar costretto. Voi, socii turbulenti De le tempeste d'un ed altro mare, Altro non è che vagli' asserenare, Che que' omicidi lumi ed innocenti: Quegli aperti ed ascosi Vi renderan tranquilli ed orgogliosi. 94 Aperto si vede ch'è introdotto Eolo parlar a i venti, quali non più dice esser da lui moderati ne l'Eolie caverne, ma da due stelle nel petto di questo furioso. Qua le due stelle non significano gli doi occhi che son ne la bella fronte; ma le due specie apprensibili della divina bellezza e bontade di quell'infinito splendore, che talmente influiscono nel desio intellettuale e razionale, che lo fanno venire ad aspirar infinitamente, secondo il modo con cui infinitamente grande, bello e buono apprende quell'eccellente lume. Perché l'amore, mentre sarà finito, appagato e fisso a certa misura, non sarà circa le specie della divina bellezza, ma altra formata; ma, mentre verrà sempre oltre ed oltre aspirando, potrassi dire che versa circa l'infinito. 95 \ CIC.\ Come comodamente l'aspirare è significato per il spirare? che simbolo hanno i venti col desiderio? 96 \ TANS.\ Chi de noi in questo stato aspira, quello suspira, quello medesimo spira. E però la veemenza dell'aspirare è notata per quell'ieroglifico del forte spirare. 97 \ CIC.\ Ma è differenza tra il suspirare e spirare. 98 \ TANS.\ Però non vien significato l'uno per l'altro, come.medesimo per il medesimo; ma come simile per il simile. 99 \ CIC.\ Seguitate dunque il vostro proposito. 100 \ TANS.\ L'infinita aspirazion dunque mostrata per gli suspiri, e significata per gli venti, è sotto il governo non d'Eolo nell'Eolie, ma di detti doi lumi; li quali non solo innocente-, ma e benignissimamente uccidono il furioso, facendolo per il studioso affetto morire al riguardo d'ogni altra cosa: con ciò che quelli, che, chiusi e ascosi lo rendono tempestoso, aperti, lo renderan tranquillo; atteso che nella staggione che di nuvoloso velo adombra gli occhi de l'umana mente in questo corpo, aviene che l'alma con tal studio vegna più tosto turbata e travagliata, come, essendo quello stracciato e spinto, doverrà tant'altamente quieta, quanto baste ad appagar la condizion di sua natura. 101 \ CIC.\ Come l'intelletto nostro finito può seguitar l'oggetto infinito? 102 \ TANS.\ Con l'infinita potenza ch'egli ha. 103 \ CIC.\ Questa è vana, se mai sarrà in effetto. 104 \ TANS.\ Sarrebe vana, se fusse circa atto finito, dove l'infinita potenza sarrebe privativa; ma non già circa l'atto infinito, dove l'infinita potenza è positiva perfezione. 105 \ CIC.\ Se l'intelletto umano è una natura ed atto finito, come e perché ha potenza infinita? 106 \ TANS.\ Perché è eterno, ed acciò sempre si dilette e non abbia fine né misura la sua felicità; e perché, come è finito in sé, cossì sia infinito nell'oggetto. 107 \ CIC.\ Che differenza è tra la infinità de l'oggetto ed infinità della potenza? 108 \ TANS.\ Questa è finitamente infinita, quello infinitamente infinito. Ma torniamo a noi. Dice, dunque, là il motto: Novae partae Aeoliae, perché par si possa credere che tutti gli venti (che son negli antri voraginosi d'Eolo) sieno convertiti in suspiri, se vogliamo numerar quelli che procedeno da l'affetto che senza fine aspira al sommo bene ed infinita beltade. 109 \ CIC.\ Veggiamo appresso la significazione di quella face ardente, circa la quale è scritto: Ad vitam, non ad horam. 110 \ TANS.\ La perseveranza in tal amore ed ardente desio del vero bene, in cui arde in questo stato temporale il furioso. Questo credo che mostra la seguente tavola: Partesi da la stanza il contadino, Quando il sen d'Oriente il giorno sgombra; E quand'il sol ne fere più vicino, Stanco e cotto da caldo siede a l'ombra: Lavora poi e s'affatica insino Ch'atra caligo l'emisfer ingombra; Indi si posa. Io sto a continue botte Mattina, mezo giorno, sera e notte. Questi focosi rai, Ch'escon da que' doi archi del mio sole, De l'alma mia (com'il mio destin vuole) Da l'orizonte non si parton mai, Bruggiand'a tutte l'ore Dal suo meridian l'afflitto core. 111 \ CIC.\ Questa tavola più vera- che propriamente esplica il senso de la figura. 112 \ TANS.\ Non ho d'affaticarmi a farvi veder queste proprietadi, dove il vedere non merita altro che più attenta considerazione. Gli rai del sole son le raggioni con le quali la divina beltade e bontade si manifesta a noi. E son focosi, perché non possono essere appresi da l'intelletto, senza che conseguentemente scaldeno l'affetto. Doi archi del sole son le due specie di revelazione che gli scolastici teologi chiamano matutina e vespertina; onde l'intelligenza illuminatrice di noi, come aere mediante, ne adduce quella specie o in virtù che la admira in se stessa, o in efficacia che la contempla ne gli effetti. L'orizonte de l'alma in questo luogo è la parte delle potenze superiori, dove a l'apprensione gagliarda de l'intelletto soccorre il vigoroso appulso de l'affetto, significato per il core, che bruggiando a tutte l'ore s'afflige; perché tutti gli frutti d'amore che possiamo raccôrre in questo stato, non son sì dolci che non siano più gionti a certa afflizione: quella almeno che procede da l'apprension di non piena fruizione. Come specialmente accade ne gli frutti de l'amor naturale, la condizion de gli quali non saprei meglio esprimere, che come fe' il poeta Epicureo: Ex hominis vero facie pulchroque colore Nil datur in corpus praeter simulacra fruendum Tenuia, quae vento spes captat saepe misella. Ut bibere in somnis sitiens cum quaerit, et humor Non datur, ardorem in membris qui stinguere possit; Sed laticum simulacra petit frustraque laborat In medioque sitit torrenti flumine potans: Sic in amore Venus simulacris ludit amantis, Nec satiare queunt spectando corpora coram, Nec manibus quicquam teneris abradere membris Possunt, errantes incerti corpore toto. Denique cum membris conlatis flore fruuntur Aetatis; dum iam praesagit gaudia corpus, Atque in eo est Venus, ut muliebria conserat arva, Adfigunt avide corpus iunguntque salivas Oris et inspirant pressantes dentibus ora, Nequicquam, quoniam nihil inde abradere possunt, Nec penetrare et abire in corpus corpore toto. 113 Similmente giudica nel geno del gusto che qua possiamo aver de cose divine: mentre a quelle ne forziamo penetrare ed unirci, troviamo aver più afflizione nel desio che piacer nel concetto. E per questo può aver detto quel savio Ebreo, che chi aggionge scienza, aggionge dolore; perché dalla maggior apprensione nasce maggior e più alto desio, e da questo séguita maggior dispetto e doglia per la privazione della cosa desiderata. Là onde l'Epicureo che seguita la più tranquilla vita, disse in proposito de l'amor volgare: Sed fugitare decet simulacra et pabula amoris Abstergere sibi atque alio convertere mentem, Nec servare sibi curam certumque dolorem: Ulcus enim virescit et inveterascit alendo, Inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit. Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, Sed potius quae sunt sine paena commoda sumit. 114 \ CIC. \ Che intende per il meridiano del core? 115 \ TANS.\ La parte o region più alta e più eminente de la volontà, dove più illustre-, forte-, efficace- e rettamente è riscaldata. Intende che tale affetto non è come in principio che si muova, né come in fine che si quiete, ma come al mezzo dove s'infervora. 116 \ CIC.\ Ma che significa quel strale infocato che ha le fiamme in luogo di ferrigna punta, circa il quale è avolto un laccio ed ha il motto: Amor instat ut instans? Dite che ne intendete? 117 \ TANS.\ Mi par che voglia dire che l'amor mai lo lascia, e che eterno parimente l'affliga. 118 \ CIC.\ Vedo bene laccio, strale e fuoco; intendo quel che sta scritto: Amor instat; ma quel che séguita, non posso capirlo, cioè che l'amor come istante o insistente, inste: che ha medesima penuria di proposito, che se uno dicesse: questa impresa costui la ha finta come finta, la porta come la porta, la intendo come la intendo, la vale come la vale, la stimo come un che la stima. 119 \ TANS.\ Più facilmente determina e condanna chi manco considera. Quello instans non significa adiettivamente dal verbo instare; ma è nome sustantivo preso per l'instante del tempo. 120 \ CIC.\ Or che vuol dir che l'amor insta come l'instante? 121 \ TANS.\ Che vuol dire Aristotele nel suo libro Del tempo, quando dice che l'eternità è uno instante, e che in tutto il tempo non è che uno instante? 122 \ CIC.\ Come questo può essere, se non è tanto minimo tempo che non abbia più instanti? Vuol egli forse che in uno instante sia il diluvio, la guerra di Troia e noi che siamo adesso? Vorrei sapere come questo instante se divide in tanti secoli ed anni? e se per medesima proporzione non possiamo dire che la linea sia un punto? 123 \ TANS.\ Sì come il tempo è uno, ma è in diversi suggetti temporali, cossì l'instante è uno in diverse e tutte le parti del tempo. Come io son medesimo che fui, sono e sarò; io medesimo son qua in casa, nel tempio, nel campo e per tutto dove sono. 124 \ CIC.\ Perché volete che l'instante sia tutto il tempo? 125 \ TANS.\ Perché se non fusse l'instante, non sarrebe il tempo: però il tempo in essenza e sustanza non è altro che instante. E questo baste, se l'intendi (perché non ho da pedanteggiar sul quarto de la Fisica). Onde comprendi che voglia dire, che l'amor gli assista non meno che il tempo tutto; perché questo instans non significa punto del tempo. 126 \ CIC.\ Bisogna che questa significazione sia specificata in qualche maniera, se non vogliamo far che sia il motto vicioso in equivocazione, onde possiamo liberamente intendere ch'egli voglia dire, che l'amor suo sia d'uno instante, idest d'un atomo di tempo e d'un niente: o che voglia dire che sia, come voi interpretate, sempre. 127 \ TANS.\ Certo se vi fussero inplicati questi doi sensi contrarii, il motto sarrebe una baia. Ma non è cossì, se ben consideri; atteso che in uno instante, che è atomo o punto, che l'amore inste o insista, non può essere; ma bisogna necessariamente intendere l'instante in altra significazione. E per uscir di scuola, leggasi la stanza: Un tempo sparge, ed un tempo raccoglie; Un edifica, un strugge; un piange, un ride: Un tempo ha triste, un tempo ha liete voglie; Un s'affatica, un posa; un stassi, un side: Un tempo porge, un tempo si ritoglie; Un muove, un ferma; un fa vivo, un occide; In tutti gli anni, mesi, giorni ed ore M'attende, fere, accend'e lega amore. Continuo mi disperge, Sempre mi strugg'e mi ritien in pianto, È mio triste languir ogn'or pur tanto, In ogni tempo mi travaglia ed erge, Tropp'in rubbarmi è forte, Mai non mi scuote, mai non mi dà morte. 128 \ CIC.\ Assai bene ho compreso il senso; e confesso che tutte le cose accordano molto bene. Però mi par tempo di procedere a l'altro. 129 \ TANS.\ Qua vedi un serpe ch'a la neve languisce dove l'avea gittato un zappatore, ed un fanciullo ignudo acceso in mezzo al fuoco, con certe altre minute e circonstanze, con il motto che dice: Idem, itidem, non idem. Questo mi par più presto enigma che altro; però non mi confido d'esplicarlo a fatto: pur crederei che voglia significar medesimo fato molesto, che medesimamente tormenta l'uno e l'altro (cioè intentissimamente, senza misericordia, a morte), con diversi instrumenti o contrarii principii, mostrandosi medesimo freddo e caldo. Ma questo mi par che richieda più lunga e distinta considerazione. 130 \ CIC.\ Un'altra volta! Leggete la rima: 131 \ TANS.\ Languida serpe, a quell'umor sì denso Ti ritorci, contrai, sullevi, inondi; E per temprar il tuo dolor intenso, Al freddo or questa or quella parte ascondi: S'il ghiaccio avesse per udirti senso, Tu voce che propona o che rispondi, Credo ch'areste efficace argumento Per renderlo piatoso al tuo tormento. Io ne l'eterno foco Mi dibatto, mi struggo, scaldo, avvampo, E al ghiaccio de mia diva per mio scampo Né amor di me, né pietà trova loco, Lasso! perché non sente Quant'è il rigor de la mia fiamma ardente. Angue, cerchi fuggir, sei impotente; Ritenti a la tua buca, ell'è disciolta; Proprie forze richiami, elle son spente; Attendi al sol, l'asconde nebbia folta; Mercé chiedi al villan, odia 'l tuo dente; Fortuna invochi, non t'ode la stolta: Fuga, luogo, vigor, astro, uom o sorte Non è per darti scampo da la morte. Tu addensi, io liquefaccio; Io miro al rigor tuo, tu a l'ardor mio; Tu brami questo mal, io quel desio; Né io posso te, né tu me tôr d'impaccio. Or chiariti a bastanza Del fato rio, lasciamo ogni speranza. 132 \ CIC.\ Andiamone, perché per il camino vedremo di snodar questo intrico, se si può. 133 \ TANS.\ Bene.
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