Seconda parte del primo Dialogo.
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Con questo dire, di passo in passo suspirando, il gran padre de la patria
celeste, avendo
finito il suo raggionamento con Venere, il proposito di ballare
converse in
proponimento di fare il gran conseglio con gli dei de la tavola
ritonda: cioè
tutti quei che non sono apposticci, ma naturali, ed han testa di
conseglio,
esclusi gli capi di montone, corna di bue, barbe di capro, orecchie
d'asino, denti di
cane, occhi di porco, nasi di simia, fronti di becco, stomachi
di gallina,
pancie di cavallo, piedi di mulo e code di scorpione. Però, data la
crida per bocca
di Miseno, figlio di Eolo (perché Mercurio sdegna l'essere, come
anticamente fue,
trombettiero e pronunziator di editto), que' tutti dei,
ch'erano dispersi
per il palaggio, si trovorno ben presto radunati. Qua dopo
tutti, essendo
fatto alquanto di silenzio, non men con triste e mesto aspetto
che con alta
presenza e preeminenza maestrale, menando i passi Giove, prima che
montasse in solio
e comparisse in tribunale, se gli appresenta Momo; il quale,
con la solita
libertà di parlare, disse cossì con voce tanto bassa che fu da
tutti udita: -
Questo concilio deve essere differito ad altro giorno ed altra
occasione, o
padre, perché questo umore di venir in conclave adesso, immediate
dopo pranso, pare
che sia occasionato dalla larga mano del tuo tenero coppiero;
perché il
nettare, che non può essere dal stomaco ben digerito, non consola o
refocilla, ma
altera e contrista la natura e perturba la fantasia, facendo altri
senza proposito
gai, altri disordinatamente allegri, altri superstiziosamente
devoti, altri
vanamente eroici, altri colerici, altri machinatori di gran
castegli, sin
tanto che, col svanimento di medesime fumositadi, che passano per
diversamente
complessionati cervelli, ogni cosa casca e va in fumo. A te, Giove,
par che abbian
commosse le specie di gagliardi e fluttuanti pensieri, e t'abbia
fatto dovenir
triste; per ciò che inescusabilmente ognuno ti giudica, benché io
solo ardisca di
dirlo, vinto ed oppresso da l'atra bile, perché in questa
occorrenza che
non siamo convenuti provisti a far conseglio, in questa occasione
che siamo uniti
per la festa, in questo tempo dopo pranso, e con queste
circonstanze
d'aver ben mangiato e meglio bevuto, volete trattar di cose tanto
seriose, quanto
mi par intendere ed alcunamente posso annasare col discorso. -
Ora, perché non è
consuetudine, né pur molto lecito a gli altri dei di disputar
con Momo, Giove,
avendolo con un mezzo ed alquanto dispettoso riso remirato,
senza punto
rispondergli, monta su l'alta catedra, siede, remira in cerchio la
corona de l'assistente
gran Senato. Da quel sguardo convien ch'a tutti venesse a
palpitar il core
e per scossa di maraviglia e per punta di timore e per émpito
di riverenza e di
rispetto, che suscita ne' petti mortali ed immortali la
maestade quando
si presenta; appresso, avendo alquanto bassate le palpebre, e
poco dopo
allunate le pupille in alto, e sgombrato un focoso suspiro dal petto,
proruppe in
questa sentenza:
2
Orazione di Giove. - Non aspettate, o Dei, che, secondo la mia consuetudine,
v'abbia ad
intonar ne l'orecchio con uno artificioso proemio, con un terso filo
di narrazione e
con un delettevole agglomeramento epilogale. Non sperate ornata
tessitura di
paroli, ripolita infilacciata di sentenze, ricco apparato di
eleganti
propositi, suntuosa pompa di elaborati discorsi e, secondo l'instituto
di oratori,
concetti posti tre volte a la lima prima ch'una volta a la lingua:
non hoc. Non hoc
ista sibi tempus spectacula poscit.
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Credetemi, dei, perché credete il vero, già dodici volte ha ripiene
l'inargentate
corna la casta Lucina, ch'io son stato in la determinazione di far
questa
congregazione oggi, in questa ora e con tai termini che vedete. Ed in
questo mentre son
stato più occupato sul considerar quello che devo a nostro mal
grado tacere, che
mi sia stato lecito di premeditar sopra quello che debbo dire.
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Odo che vi maravigliate, perché a questo tempo, rivocandovi da vostro spasso,
v'abbia fatto
citar alla congregazione e dopo pranso a subitanio concilio. Vi
sento mormorare,
che in giorno festivo vi vien tocco il core di cose seriose, e
non è di voi chi
a la voce de la tromba e proposito de l'editto non sia turbato.
Ma io, benché la
raggione di queste azioni e circostanze pende dal mio volere
che l'ha possute
instituire, e la mia voluntà e decreto sia l'istessa raggione
de la giustizia,
tutta volta non voglio mancar, prima che proceda ad altro, di
liberarvi da
questa confusione e maraviglia. Tardi, dico, gravi e pesati denno
essere gli
proponimenti; maturo, secreto e cauto deve essere il conseglio: ma
l'essecuzione
bisogna che sia alata, veloce e presta. Però non credete, che
intra il desinare
qualche strano umore m'abbia talmente assalito che, dopo
pranso, mi tegna
legato e vinto, onde non a posta di raggione, ma per impeto di
nettareo fumo
proceda a l'azione; ma dal medesimo giorno de l'anno passato
cominciai a
consultar entro di me quel tanto che dovevo esseguire in questo
giorno ed ora.
Dopo pranso, dunque, perché le nove triste non è costume
d'apportarle a
stomaco diggiuno; all'improviso, perché so molto bene che non
cossì come alla
festa solete convenir volentieri al conseglio, il quale è
intensissimamente
da molti di voi fuggito: mentre chi lo teme per non farsi di
nemici, chi per
incertezza di chi vince e di chi perde, chi per timore ch'il suo
conseglio non sia
tra dispreggiati, chi per dispetto per quel che il suo parere
tal volta non è
stato approvato, chi per mostrarsi neutrale nelle cause
pregiudiciose o
de l'una o de l'altra parte, chi per non aver occasione
d'aggravarsi la
conscienza: chi per una, chi per un'altra causa.
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Or vi ricordo, o fratelli e figli, che a quelli, ai quali il fato ha dato di
posser gustare
l'ambrosia e bevere il nettare e goder il grado della maestade, è
ingionto ancora
di comportar tutte gravezze che quella apporta seco. Il diadema,
la mitra, la
corona, senza aggravarla, non onorano la testa; il manto regale ed
il scettro non
adornano senza impacciar il corpo. Volete sapere perché io a ciò
abbia impiegato
il giorno di festa, e specialmente tale quale è la presente?
Pare a voi,
dunque, pare a voi che sia degno giorno di festa questo? E credete
voi che questo
non deve essere il più tragico giorno di tutto l'anno? Chi di
voi, dopo ch'arrà
ben pensato, non giudicarà cosa vituperosissima di celebrar la
commemorazion de
la vittoria contra gli giganti a tempo che da gli sorgi de la
terra siamo dispreggiati
e vilipesi? Oh che avesse piaciuto a l'omnipotente
irrefragabil
fato, che allora fussemo stati discacciati dal cielo, quando la
nostra rotta per
la dignità e virtù di nemici non era vituperosa tanto; perché
oggi siamo nel
cielo peggio che se non vi fussemo, peggio che se ne fussemo
stati
discacciati, atteso che quel timor di noi, che ne rendea tanto gloriosi, è
spento; la gran
riputazione de la maestà, providenza e giustizia nostra è cassa;
e quel che è
peggio, non abbiamo facultà e forza di riparar al nostro male, di
vendicar le
nostre onte; perché la giustizia con la quale il fato governa gli
governatori del
mondo, ne ha a fatto tolta quella autorità e potestà la quale
abbiamo tanto
male adoperata, discoperti e nudati avanti gli occhi di mortali e
fattigli
manifesti i nostri vituperii; e fa che il cielo medesimo con cossì
chiara evidenza,
come chiare ed evidenti son le stelle, renda testimonianza de
misfatti nostri.
Perché vi si vedeno aperto gli frutti, le reliquie, gli
riporti, le voci,
le scritture, le istorie di nostri adulterii, incesti,
fornicazioni,
ire, sdegni, rapine ed altre iniquitadi e delitti; e che per
premio di errori
abbiamo fatto maggiori errori, inalzando al cielo i trionfi de
vizii e sedie de
sceleragini, lasciando bandite, sepolte e neglette ne l'inferno
le virtudi e la
giustizia.
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E per cominciare da cose minori, come da peccati veniali: perché solo il
Deltaton, dico
quel triangolo, ha ottenute quattro stelle appresso il capo di
Medusa, sotto le
natiche di Andromeda e sopra le corna del Montone? per far
vedere la
parzialità, che si trova tra gli dei. Che fa il Delfino, gionto al
Capricorno da la
parte settentrionale, impadronito di quindeci stelle? vi è, a
fine che si possa
contemplar la assumpzione di colui, che è stato buon sanzale,
per non dir
ruffiano, tra Nettuno ed Amfitrite. Perché le sette figlie d'Atlante
soprasiedeno
appresso il collo del bianco Toro? per essersi, con lesa maestà di
noi altri dei,
vantato il padre di aver sostenuti noi ed il cielo ruinante; o
pur per aver in
che mostrar la sua leggerezza i numi, che vi l'han condotte.
Perché Giunone ha
ornato il Granchio di nove stelle, senza le quattro altre
circonstanti che
non fanno imagine? solo per un capriccio, perché forficò il
tallone ad Alcide
a tempo che combatteva con quel gigantone. Chi mi saprà dar
altra caggione
che il semplice ed irrazional decreto de' superi, perché il
Serpentauro,
detto da noi Greci Ofiulco, ottiene con la sua colobrina il campo
di trentasei
stelle? Qual grave ed opportuna caggione fa al Sagittario usurparsi
trenta ed una
stella? perché fu figlio di Euschemia, la quale fu nutriccia o
baila de le Muse.
Perché non più tosto a la
madre? perché lui oltre seppe
ballare e far i
giuochi de le bagattelle. Aquario perché ha quaranta cinque
stelle appresso
il Capricorno? forse, perché salvò la figlia di Venere Facete
nel stagno?
Perché non altri, a gli quali noi dei siamo tanto ubligati, che sono
sepolti in terra,
ma più tosto costui, ch'ha fatto un serviggio indegno di tanta
ricompensa, è
stato conceduto quel spacio? perché cossì ha piaciuto a Venere.
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Gli Pesci, benché meritino qualche mercede per aver dal fiume Eufrate cacciato
quell'ovo, che,
covato da la colomba, ischiuse la misericordia de la dea di
Pafo, tutta volta
paionvi soggetti d'ottenir l'ornamento di trentaquattro
stelle, senza
altre quattro circostanti, ed abitare fuor de l'acqui nella region
più nobile del
cielo? Che fa Orione, tutto armato a scrimir solo, con le
spalancate
braccia, impiastrato di trent'otto stelle, ne la latitudine australe
verso il Tauro?
vi sta per semplice capriccio di Nettuno, a cui non ha bastato
di privilegiarlo
su l'acqui, dove ha il suo legitimo imperio; ma oltre, fuor del
suo patrimonio,
si vuol con sì poco proposito prevalere. La Lepre, il Cane e la
Cagnolina sapete
ch'hanno quarantatré stelle ne la parte meridionale, non per
altro, che per
due o tre frascarie non minori che quella, che vi fa essere
appresso la Idra,
la Tassa ed il Corvo, che ottegnono quarant'ed una stella, per
memoria di quel,
che mandâro una volta gli dei il Corvo a prender l'acqua da
bere; il qual per
il camino vedde un fico, ch'avea le fiche o gli fichi (perché
l'uno e l'altro
geno è approvato da grammatici, dite come vi piace): per gola
quell'ucello
aspettò che fussero maturi, de quali al fine essendosi pasciuto, si
ricordò de
l'acqua; andò per empir la lancella, veddevi il dragone, abbe paura,
e ritornò con la
giarra vota agli dei. Li quali, per far chiaro quanto hanno ben
impiegato
l'ingegno ed il pensiero, hanno descritta in cielo questa istoria di
sì gentile ed
accomodato servitore. Vedete quanto bene abbiamo speso il tempo,
l'inchiostro e la
carta. La Corona austrina, che sotto l'arco e piedi di
Sagittario si
vede ornata di tredeci topacii lucenti, chi l'ha predestinata ad
essere
eternamente senza testa? Che bel vedere volete voi che sia di quel pesce
Nozio, sotto gli
piedi d'Aquario e Capricorno, distinto in dodici lumi, con sei
altri che gli
sono in circa? De l'Altare, o turribulo o fano o sacrario, come
vogliam dire, io
non parlo; perché giamai li convenne cossì bene d'essere in
cielo, se non
ora, che quasi non ha dove essere in terra; ora vi sta bene, come
una reliquia, o
pur come una tavola della sommersa nave de la religion e colto
di noi.
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Del Capricorno non dico nulla, perché mi par dignissimo d'ottenere il cielo,
per averne fatto
tanto beneficio, insegnandoci la ricetta, con cui potessimo
vencere il
Pitone; perché bisognava, che gli dei si trasformassero in bestie, se
volevano aver
onor di quella guerra: e ne ha donata dottrina, facendoci sapere
che non si può
mantener superiore chi non si sa far bestia. Non parlo de la
Vergine; perché,
per conservar la sua verginità, in nessun loco sta sicura se
non in cielo,
avendo da qua un Leone e da là un Scorpione per sua guardia. La
poverina è
fuggita da terra, perché l'eccessiva libidine de le donne, le quali,
quanto più son
pregne, tanto più sogliono appetere il coito, fa che non sia
sicura di non
esser contaminata, anco se si trovasse nel ventre de la madre;
però goda i suoi
vintisei carbuncoli con quelli altri sei, che li sono attorno.
Circa l'intemerata
maestà di que' doi Asini che luceno nel spacio di Cancro, non
oso dire, perché
di questi massimamente per dritto e per raggione è il regno del
cielo: come con
molte efficacissime raggioni altre volte mi propono di
mostrarvi, perché
di tanta materia non ardisco parlare per modo di passaggio. Ma
di questo sol mi
doglio e mi lamento assai, che questi divini animali sieno
stati sì
avaramente trattati, non facendogli essere, come in casa propria, ma
nell'ospizio di
quel retrogrado animale aquatico, e non munerandoli più che de
la miseria di due
stelle, donandone una a l'uno e l'altra all'altro; e quelle
non maggiori che
de la quarta grandezza.
9
De l'Altare, dunque, Capricorno, Vergine ed Asini (benché prendo a dispiacere
ch'ad alcuni di
questi non essendo lor trattati secondo la dignità, in loco di
essere fatto
onore, forse gli è stato fatta ingiuria) or al presente non voglio
definir cosa
alcuna; ma torno a gli altri suppositi, che vanno per la medesima
bilancia con gli
sopradetti.
10
Non volete voi che murmurino gli altri fiumi, che sono in terra, per il torto
che gli vien
fatto? Atteso che, qual raggion vuole che più tosto l'Eridano deve
aver le sue
trenta e quattro lucciole, che si veggono citra ed oltre il tropico
di Capricorno,
più tosto che tanti altri non meno degni e grandi, ed altri più
degni e maggiori?
Pensate che basta dire che le sorelle di Fetone v'abbiano la
stanza? O forse
volete che vegna celebrato, perché ivi per mia mano cadde il
fulminato figlio
d'Apollo, per aver il padre abusato del suo ufficio, grado ed
autoritade?
Perché il cavallo di Bellerofonte è montato ad investirsi de vinti
stelle in cielo,
essendo che sta sepolto in terra il suo cavalcatore? A che
proposito quella
saetta, che per il splendor di cinque stelle, che tiene
inchiodate, luce
prossima a l'Aquila e Delfino? Certo, che se gli fa gran torto
che non stia
vicina al Sagittario a fin che se ne possa servire, quando arrà
tirato quella che
tiene in punta; o pur non appaia in parte dove possa rendere
qualche raggion
di sé. Apresso bramo intendere, tra il spoglio del Leone e la
testa di quel
bianco e dolce Cigno, che fa quella lira fatta di corna di bue in
forma di
testugine? Vorrei sapere, se la vi dimore per onor de la testugine, o
de le corna, o de
la lira, o pur perché ognun veda la mastria di Mercurio che
l'ha fatta, per
testimonio de la sua dissoluta e vana iattanzia?
11
Ecco, o dei, l'opre nostre; ecco le egregie nostre manifatture, con le quali
ne rendemo
onorati al cielo! Vedete che belle fabriche, non molto dissimili a
quelle che
sogliono far gli fanciulli, quando contrattano la luta, la pasta, le
miscuglie, le
frasche e festuche, tentando d'imitare l'opre di maggiori!
Pensate, che non
doviamo render raggione e conto di queste? Possete persuadervi,
chede l'opre
ociose sarremo meno richiesti, interrogati, giudicati e condannati,
che dell'ociose
paroli? La dea Giustizia, la dea Temperanza, la dea Constanza,
la dea
Liberalitade, la dea Pazienza, la dea Veritade, la dea Mnemosine, la dea
Sofia e tante
altre dee e dei vanno banditi non solo dal cielo, ma ed oltre da
la terra; ed in
loco loro e ne gli eminenti palaggi, edificati da l'alta
Providenza per
residenza loro, vi si veggono delfini, capre, corvi, serpenti ed
altre sporcarie,
levitadi, capricci e legerezze. Se vi par questa cosa
inconveniente, e
ne tocca il rimorso de la conscienza per il bene che non abbiam
fatto; quanto più
dovete meco considerare che doviamo esser punti e trafitti per
le gravissime
sceleraggini e delitti, che comessi avendono, non solamente non ne
siamo ripentiti
ed emendati, ma oltre ne abbiamo celebrati triomfi e drizzati
come trofei, non
in un fano labile e ruinoso, non in tempio terrestre, ma nel
cielo e nelle
stelle eterne. Si può patire, o dei, e facilmente si condona a gli
errori, che son
per fragilità, e per non molto giudiciosa levità; ma qual
misericordia,
qual pietate può rivoltarsi a quelli, che son commessi da color
che, essendono
posti presidenti nella giustizia, in mercede di criminalissimi
errori,
contribuiscono maggiori errori con onorare, premiar ed essaltar al cielo
gli delitti
insieme con gli delinquenti? Per qual grande e virtuoso fatto Perseo
av'ottenute
vintesei stelle? Per aver con gli talari e scudo di cristallo, che
lo rendeva
invisibile, in serviggio de l'infuriata Minerva ammazzate le Gorgoni
che dormivano, e
presentatogli il capo di Medusa. E non ha bastato che vi fusse
lui, ma per lunga
e celebre memoria bisognava che vi comparisse la moglie
Andromeda con le
sue vintitré, il suo genero Cefeo con le sue tredeci, che
espose la figlia
innocente alla bocca del Ceto per capriccio di Nettuno, adirato
solamente perché
la sua madre Cassiopea pensava essere più bella che le Nereidi.
E però anco la
madre vi si vede residente in catedra, ornata di tredeci altre
stelle ne'
confini de l'Artico circolo. Quel padre di agnelli con la lana d'oro,
con le sue diece
ed otto stelle senza l'altre sette circonstanti, che fa balando
sul punto
equinoziale? E forse ivi per predicar la pazzia e sciocchezza del re
di Colchi,
l'impudicizia di Medea, la libidinosa temeritade di Giasone e
l'iniqua
providenza di noi altri? Que' doi fanciulli, che nel signifero
succedeno al
Toro, compresi da diece e otto stelle, senza altre sette
circonstanti
informi, che mostrano di buono o di bello in quella sacra sedia,
eccetto che il
reciproco amore di doi bardassi? Per qual raggione il Scorpione
ottiene il premio
di venti ed una stelle, senza le otto che son ne le chele, e
le nove che sono
circa lui, e tre altre informi? Per premio d'un omicidio
ordinato dalla
leggerezza ed invidia di Diana, che gli fece uccidere l'emulo
cacciator Orione.
Sapete bene che Chirone con la sua bestia ottiene nella
australe
latitudine del cielo sessanta e sei stelle per esser stato pedante di
quel figlio, che
nacque dal stupro di Peleo e.Teti.
12
Sapete che la corona di Ariadna, nella quale risplendeno otto stelle, ed è
celebrata là,
avanti il petto di Boote e le spire de l'angue, non v'è se non in
commemorazione
perpetua del disordinato amor del padre Libero, che s'imbracciò
la figlia del re
di Creta, rigettata dal suo stuprator Teseo.
13
Quel Leone, che nel core porta il basilisco, e che ottiene il campo di trenta
e cinque stelle,
che fa continuo al Cancro? Evi forse per esser gionto a quel
suo conmilitone e
suo conservo de l'irata Giunone, che lo apparecchiò vastatore
del Cleoneo
paese, a fine che, a mal grado di quello, aspetasse l'advenimento
del strenuo
Alcide? Ercole invitto, laborioso mio figlio, che col suo spoglio di
leone e la sua
mazza par che si difenda le vinti ed otto stelle, quali con più
che mai altri
abbia fatto tanti gesti eroici s'ha meritate, pure, a dire il
vero, non mi par
conveniente che tegna quel loco, onde il suo geno pone avanti
gli occhi della
giustizia il torto fatto al nodo coniugale della mia Giunone per
me e per la
pellice Megara, madre di lui. La nave di Argo, nella quale sono
inchiodate
quarantacinque risplendenti stelle, ne l'ampio spacio vicino al
circolo
Antartico, evi ad altro fine che per eternizare la memoria del grande
errore che commese
la saggia Minerva, che mediante quella instituì gli primi
pirati a fine
che, non meno che la terra, avesse gli suoi solleciti predatori il
mare? E per
tornar là dove s'intende la cintura del cielo, perché quel Bove,
verso il
principio del zodiaco, ottiene trenta e due chiare stelle, senza quella
ch'è nella punta
del corno settentrionale, ed undeci altre che son chiamate
informi? Per ciò
che è quel Giove (oimè!) che rubbò la figlia ad Agenore, la
sorella a Cadmo.
Che Aquila è quella che nel firmamento s'usurpa l'atrio di
quindeci stelle,
oltre Sagittario, verso il polo? Lasso, è quel Giove che ivi
celebra il
trionfo del rapito Ganimede e di quelle vittoriose fiamme ed amori.
Quella Orsa,
quella Orsa, o dei, perché nella più bella ed eminente parte del
mondo, come in
una alta specola, come in una più aprica piazza e più celebre
spettacolo, che
ne l'universo presentar si possa a gli occhi nostri, è stata
messa? Forse a
fine che non sia occhio, che non veda l'incendio ch'assalse il
padre de gli dei
appresso l'incendio de la terra per il carro di Fetonte, quando
in quel mentre
ch'andavo guardando le ruine di quel fuoco, e riparando a quelle
con richiamare i
fiumi che timidi e fugaci erano ristretti a le caverne, e ciò
effettuando nel
mio diletto Arcadio paese: ecco, altro fuoco m'accese il petto,
che dal splendor
del volto de la vergine Nonacrina procedendo, passommi per gli
occhi, scorsemi
nel core, scaldommi l'ossa e penetrommi dentro le midolla; di
sorte che non fu
acqua né remedio che potesse dar soccorso e refrigerio
all'incendio mio.
In questo foco fu il strale che mi trafisse il core, il laccio
che mi legò
l'alma, e l'artiglio che mi tolse a me e diemmi in preda alla beltà
di lei. Commesi
il sacrilego stupro, violai la compagnia di Diana e fui a la mia
fidelissima
consorte ingiurioso; per la quale in forma e specie d'una Orsa
presentandomise
la bruttura del fedo eccesso mio, tanto si manca che da quella
abominevol vista
io concepesse orrore, che sì bello mi parve quel medesimo
mostro e sì mi
soprapiacque, che volsi ch'il suo vivo ritratto fusse essaltato
nel più alto e
magnifico sito de l'architetto del cielo: quell'errore, quella
bruttezza,
quell'orribil macchia che sdegna ed abomina lavar l'acqua de
l'Oceano, che
Teti, per tema di contaminar l'onde sue, non vuol che punto
s'avicine verso
la sua stanza, Dictinna l'ha vietato l'ingresso di suoi deserti
per tema di
profanar il sacro suo collegio, e per la medesima caggione gli
niegano i fiumi
le Nereidi e Ninfe.
14
Io, misero peccatore, dico la mia colpa, dico la mia gravissima colpa, in
conspetto de
l'intemerata absoluta giustizia, e vostro, che sin al presente ho
molto gravemente
peccato, e per il mal essempio ho porgiuta ancor a voi
permissione e
facultà di far il simile; e con questo confesso che degnamente io
insieme con voi
siamo incorsi il sdegno del fato, che non ne fa più essere
riconosciuti per
dei, e mentre abbiamo a le sporcarie de la terra conceduto il
cielo, ha
dispensato ch'a noi fussero cassi gli tempii, imagini e statue,
ch'avevamo in
terra; a fine che degnamente da alto vegnano depressi quelli,
quali
indegnamente han messe in alto le cose vili e basse.
15
Oimè, dei, che facciamo? che pensiamo? che induggiamo? Abbiamo prevaricato,
siamo stati
perseveranti ne gli errori, e veggiamo la pena gionta e continuata
con l'errore.
Provedemo, dunque, provedemo a' casi nostri; perché, come il fato
ne ha negato il
non posser cadere, cossì ne ha conceduto il possere risorgere;
però come siamo
stati pronti al cascare, cossì anco siamo apparecchiati a
rimetterci su gli
piedi. Da quella pena nella quale mediante l'errore siamo
incorsi, e
peggior della quale ne potrebe sopravenire, mediante la riparazione,
che sta nelle
nostre mani, potremo senza difficultade uscire. Per la catena de
gli errori siamo
avinti; per la mano della giustizia ne disciogliamo. Dove la
nostra levità ne
ha deprimuti, indi bisogna che la gravità ne inalze.
Convertiamoci
alla giustizia, dalla quale essendo noi allontanati, siamo
allontanati da
noi stessi; di sorte che non siamo più dei, non siamo più noi.
Ritorniamo dunque
a quella, se vogliamo ritornare a noi.
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L'ordine e maniera di far questo riparamento è che prima togliamo da le
nostre spalli la
grieve soma d'errori che ne trattiene; rimoviamo d'avanti gli
nostri occhi il
velo de la poca considerazione, che ne impaccia; isgombramo dal
core la propria
affezione, che ne ritarda; gittiamo da noi tutti que' vani
pensieri che ne
aggravano; adattiamoci a demolire le machine di errori ed
edificii di
perversitade che impediscono la strada ed occupano il camino;
cassiamo ed
annulliamo, quanto possibil fia, gli trionfi e trofei di nostri
facinorosi gesti,
a fine che appaia nel tribunal della giustizia verace
pentimento di
commessi errori. Su, su, o dei, tolgansi dal cielo queste larve,
statue, figure,
imagini, ritratti, processi ed istorie de nostre avarizie,
libidini, furti,
sdegni, dispetti ed onte. Che passe, che passe questa notte
atra e fosca di
nostri errori, perché la vaga aurora del novo giorno de la
giustizia ne
invita; e disponiamoci di maniera tale al sole, ch'è per uscire,
che non ne
discuopra cossì come siamo immondi. Bisogna mondare e renderci belli;
non solamente
noi, ma anco le nostre stanze e gli nostri tetti fia mestiero che
sieno puliti e
netti: doviamo interiore- ed esteriormente ripurgarci.
Disponiamoci,
dico, prima nel cielo che intellettualmente è dentro di noi, e poi
in questo
sensibile che corporalmente si presenta a gli occhi. Togliemo via dal
cielo de l'animo
nostro l'Orsa della difformità, la Saetta de la detrazione,
l'Equicolo de la
leggerezza, il Cane de la murmurazione, la Canicola de
l'adulazione.
Bandiscasi da noi l'Ercole de la violenza, la Lira de la
congiurazione, il
Triangolo de l'impietà, il Boote de l'inconstanza, il Cefeo de
la durezza. Lungi
da noi il Drago de l'invidia, il Cigno de l'imprudenza, la
Cassiopea de la
vanità, l'Andromeda de la desidia, il Perseo della vana
sollecitudine.
Scacciamo l'Ofiulco de la maldizione, l'Aquila de l'arroganza, il
Delfino de la
libidine, il Cavallo de l'impacienza, l'Idra de la concupiscenza.
Togliemo da noi
il Ceto de l'ingordiggia, l'Orione de la fierezza, il Fiume de
le superfluitadi,
la Gorgone de l'ignoranza, la Lepre del vano timore. Non ne
sia oltre dentro
il petto l'Argonave de l'avarizia, la Tazza de l'insobrietà, la
Libra de
l'iniquità, il Cancro del mal regresso, il Capricorno de la decepzione.
Non fia che ne
s'avicine il Scorpio de la frode, il Centauro de la animale
affezione,
l'Altare de la superstizione, la Corona de la superbia, il Pesce de
l'indegno
silenzio. Con questi caggiano gli Gemini de la mala familiaritade, il
Toro de la cura
di cose basse, l'Ariete de l'inconsiderazione, il Leone de la
Tirannia,
l'Aquario de la dissoluzione, la Vergine de l'infruttuosa
conversazione, il
Sagittario de la detrazione. Se cossì, o dei, purgaremo la
nostra abitazione,
se cossì renderemo novo il nostro cielo, nove saranno le
costellazioni ed
influssi, nove l'impressioni, nove fortune; perché da questo
mondo superiore
pende il tutto, e contrarii effetti sono dependenti da cause
contrarie. O
felici, o veramente fortunati noi, se farremo buona colonia del
nostro animo e
pensiero! A chi de voi non piace il presente stato, piaccia il
presente
conseglio. Se vogliamo mutar stato, cangiamo costumi. Se vogliamo che
quello sia buono
e megliore, questi non sieno simili o peggiori. Purghiamo
l'interiore
affetto, atteso che da l'informazione di questo mondo interno non
sarà difficile di
far progresso alla riformazione di questo sensibile ed
esterno. La prima
purgazione, o dei, veggio che la fate, veggio che l'avete
fatta; la vostra
determinazione io la veggio; ho vista la vostra determinazione,
la è fatta; ed è
subito fatta, perché la non è soggetta a' contrapesi del tempo.
17
Or su, procediamo alla seconda purgazione. Questa è circa l'esterno,
corporeo,
sensibile e locato. Però bisogna che vada con certo discorso,
successione ed
ordine; però bisogna aspettare, conferir una cosa con l'altra,
comparar questa
raggione con quella, prima che determinare; atteso che circa le
cose corporali, come
in tempo è la disposizione, cossì non può essere, come in
uno instante,
l'essecuzione. Eccovi dunque il termine di tre giorni, dove non
avete da decidere
e determinare infra di voi, se questa riforma si debba fare o
non; perché per
ordinanza del fato, subito che vi l'ho proposta, insieme l'avete
giudicata
convenientissima, necessaria ed ottima; e non in segno esteriore,
figura ed ombra,
ma realmente ed in verità veggio il vostro affetto, come voi
reciprocamente
vedete il mio; e non men subito ch'io v'ho tocco l'orecchio col
mio proponimento,
voi col splendor del consentimento vostro m'avete tocchi gli
occhi. Resta
dunque che pensiate e conferite infra di voi circa la maniera, con
cui s'ha da
provedere a queste cose che si toglieno dal cielo, per le quali fia
mestiero
procacciare ed ordinar altri paesi e stanze; ed oltre, come s'hanno da
empire queste
sedie a fin che il cielo non rimagna deserto, ma megliormente
colto ed abitato
che prima. Passati che saranno gli tre giorni, verrete
premeditati in
mia presenza circa loco per loco e cosa per cosa, acciò che, non
senza ogni
possibile discussione, conveniamo il quarto giorno a determinare e
pronunziar la
forma di questa colonia. Ho detto.
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Cossì, o Saulino, il padre Giove toccò l'orecchio, accese il spirto e
commosse il core
del Senato e Popolo celeste, che lui medesimo apertamente ne'
volti e gesti
s'accorse, mentre orava, che nella mente loro era conchiuso e
determinato quel
tanto che da lui lor venia proposto. Avendo dunque fatta la
ultima clausola
ed imposto silenzio al suo dire il gran Patriarca degli dei,
tutti con una
voce e con un tuono dissero: - Molto volentieri, o Giove,
consentemo
d'effettuar quel tanto che tu hai proposto e veramente ha
predestinato il
fato. - Qua succese il fremito de la moltitudine, qua apparendo
segno d'una lieta
risoluzione, là d'un volenteroso ossequio, qua d'un dubio, là
d'un pensiero,
qua un applauso, là un scrollar di testa di qualche interessato,
ivi una specie di
vista, e quivi un'altra, sin tanto che, gionta l'ora di cena,
chi da questo
lato si retirò, e chi da quell'altro.
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\ SAUL.\ Cose di non poco momento, o Sofia!
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