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Giordano Bruno
Spaccio de la bestia trionfante

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  • Dial. 1 Interlocutori: Sofia, Saulino, Mercurio.
    • Seconda parte del primo Dialogo.
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Seconda parte del primo Dialogo.

 

1 Con questo dire, di passo in passo suspirando, il gran padre de la patria

celeste, avendo finito il suo raggionamento con Venere, il proposito di ballare

converse in proponimento di fare il gran conseglio con gli dei de la tavola

ritonda: cioè tutti quei che non sono apposticci, ma naturali, ed han testa di

conseglio, esclusi gli capi di montone, corna di bue, barbe di capro, orecchie

d'asino, denti di cane, occhi di porco, nasi di simia, fronti di becco, stomachi

di gallina, pancie di cavallo, piedi di mulo e code di scorpione. Però, data la

crida per bocca di Miseno, figlio di Eolo (perché Mercurio sdegna l'essere, come

anticamente fue, trombettiero e pronunziator di editto), que' tutti dei,

ch'erano dispersi per il palaggio, si trovorno ben presto radunati. Qua dopo

tutti, essendo fatto alquanto di silenzio, non men con triste e mesto aspetto

che con alta presenza e preeminenza maestrale, menando i passi Giove, prima che

montasse in solio e comparisse in tribunale, se gli appresenta Momo; il quale,

con la solita libertà di parlare, disse cossì con voce tanto bassa che fu da

tutti udita: - Questo concilio deve essere differito ad altro giorno ed altra

occasione, o padre, perché questo umore di venir in conclave adesso, immediate

dopo pranso, pare che sia occasionato dalla larga mano del tuo tenero coppiero;

perché il nettare, che non può essere dal stomaco ben digerito, non consola o

refocilla, ma altera e contrista la natura e perturba la fantasia, facendo altri

senza proposito gai, altri disordinatamente allegri, altri superstiziosamente

devoti, altri vanamente eroici, altri colerici, altri machinatori di gran

castegli, sin tanto che, col svanimento di medesime fumositadi, che passano per

diversamente complessionati cervelli, ogni cosa casca e va in fumo. A te, Giove,

par che abbian commosse le specie di gagliardi e fluttuanti pensieri, e t'abbia

fatto dovenir triste; per ciò che inescusabilmente ognuno ti giudica, benché io

solo ardisca di dirlo, vinto ed oppresso da l'atra bile, perché in questa

occorrenza che non siamo convenuti provisti a far conseglio, in questa occasione

che siamo uniti per la festa, in questo tempo dopo pranso, e con queste

circonstanze d'aver ben mangiato e meglio bevuto, volete trattar di cose tanto

seriose, quanto mi par intendere ed alcunamente posso annasare col discorso. -

Ora, perché non è consuetudine, né pur molto lecito a gli altri dei di disputar

con Momo, Giove, avendolo con un mezzo ed alquanto dispettoso riso remirato,

senza punto rispondergli, monta su l'alta catedra, siede, remira in cerchio la

corona de l'assistente gran Senato. Da quel sguardo convien ch'a tutti venesse a

palpitar il core e per scossa di maraviglia e per punta di timore e per émpito

di riverenza e di rispetto, che suscita ne' petti mortali ed immortali la

maestade quando si presenta; appresso, avendo alquanto bassate le palpebre, e

poco dopo allunate le pupille in alto, e sgombrato un focoso suspiro dal petto,

proruppe in questa sentenza:

2 Orazione di Giove. - Non aspettate, o Dei, che, secondo la mia consuetudine,

v'abbia ad intonar ne l'orecchio con uno artificioso proemio, con un terso filo

di narrazione e con un delettevole agglomeramento epilogale. Non sperate ornata

tessitura di paroli, ripolita infilacciata di sentenze, ricco apparato di

eleganti propositi, suntuosa pompa di elaborati discorsi e, secondo l'instituto

di oratori, concetti posti tre volte a la lima prima ch'una volta a la lingua:

non hoc. Non hoc ista sibi tempus spectacula poscit.

3 Credetemi, dei, perché credete il vero, già dodici volte ha ripiene

l'inargentate corna la casta Lucina, ch'io son stato in la determinazione di far

questa congregazione oggi, in questa ora e con tai termini che vedete. Ed in

questo mentre son stato più occupato sul considerar quello che devo a nostro mal

grado tacere, che mi sia stato lecito di premeditar sopra quello che debbo dire.

 

4 Odo che vi maravigliate, perché a questo tempo, rivocandovi da vostro spasso,

v'abbia fatto citar alla congregazione e dopo pranso a subitanio concilio. Vi

sento mormorare, che in giorno festivo vi vien tocco il core di cose seriose, e

non è di voi chi a la voce de la tromba e proposito de l'editto non sia turbato.

Ma io, benché la raggione di queste azioni e circostanze pende dal mio volere

che l'ha possute instituire, e la mia voluntà e decreto sia l'istessa raggione

de la giustizia, tutta volta non voglio mancar, prima che proceda ad altro, di

liberarvi da questa confusione e maraviglia. Tardi, dico, gravi e pesati denno

essere gli proponimenti; maturo, secreto e cauto deve essere il conseglio: ma

l'essecuzione bisogna che sia alata, veloce e presta. Però non credete, che

intra il desinare qualche strano umore m'abbia talmente assalito che, dopo

pranso, mi tegna legato e vinto, onde non a posta di raggione, ma per impeto di

nettareo fumo proceda a l'azione; ma dal medesimo giorno de l'anno passato

cominciai a consultar entro di me quel tanto che dovevo esseguire in questo

giorno ed ora. Dopo pranso, dunque, perché le nove triste non è costume

d'apportarle a stomaco diggiuno; all'improviso, perché so molto bene che non

cossì come alla festa solete convenir volentieri al conseglio, il quale è

intensissimamente da molti di voi fuggito: mentre chi lo teme per non farsi di

nemici, chi per incertezza di chi vince e di chi perde, chi per timore ch'il suo

conseglio non sia tra dispreggiati, chi per dispetto per quel che il suo parere

tal volta non è stato approvato, chi per mostrarsi neutrale nelle cause

pregiudiciose o de l'una o de l'altra parte, chi per non aver occasione

d'aggravarsi la conscienza: chi per una, chi per un'altra causa.

5 Or vi ricordo, o fratelli e figli, che a quelli, ai quali il fato ha dato di

posser gustare l'ambrosia e bevere il nettare e goder il grado della maestade, è

ingionto ancora di comportar tutte gravezze che quella apporta seco. Il diadema,

la mitra, la corona, senza aggravarla, non onorano la testa; il manto regale ed

il scettro non adornano senza impacciar il corpo. Volete sapere perché io a ciò

abbia impiegato il giorno di festa, e specialmente tale quale è la presente?

Pare a voi, dunque, pare a voi che sia degno giorno di festa questo? E credete

voi che questo non deve essere il più tragico giorno di tutto l'anno? Chi di

voi, dopo ch'arrà ben pensato, non giudicarà cosa vituperosissima di celebrar la

commemorazion de la vittoria contra gli giganti a tempo che da gli sorgi de la

terra siamo dispreggiati e vilipesi? Oh che avesse piaciuto a l'omnipotente

irrefragabil fato, che allora fussemo stati discacciati dal cielo, quando la

nostra rotta per la dignità e virtù di nemici non era vituperosa tanto; perché

oggi siamo nel cielo peggio che se non vi fussemo, peggio che se ne fussemo

stati discacciati, atteso che quel timor di noi, che ne rendea tanto gloriosi, è

spento; la gran riputazione de la maestà, providenza e giustizia nostra è cassa;

e quel che è peggio, non abbiamo facultà e forza di riparar al nostro male, di

vendicar le nostre onte; perché la giustizia con la quale il fato governa gli

governatori del mondo, ne ha a fatto tolta quella autorità e potestà la quale

abbiamo tanto male adoperata, discoperti e nudati avanti gli occhi di mortali e

fattigli manifesti i nostri vituperii; e fa che il cielo medesimo con cossì

chiara evidenza, come chiare ed evidenti son le stelle, renda testimonianza de

misfatti nostri. Perché vi si vedeno aperto gli frutti, le reliquie, gli

riporti, le voci, le scritture, le istorie di nostri adulterii, incesti,

fornicazioni, ire, sdegni, rapine ed altre iniquitadi e delitti; e che per

premio di errori abbiamo fatto maggiori errori, inalzando al cielo i trionfi de

vizii e sedie de sceleragini, lasciando bandite, sepolte e neglette ne l'inferno

le virtudi e la giustizia.

6 E per cominciare da cose minori, come da peccati veniali: perché solo il

Deltaton, dico quel triangolo, ha ottenute quattro stelle appresso il capo di

Medusa, sotto le natiche di Andromeda e sopra le corna del Montone? per far

vedere la parzialità, che si trova tra gli dei. Che fa il Delfino, gionto al

Capricorno da la parte settentrionale, impadronito di quindeci stelle? vi è, a

fine che si possa contemplar la assumpzione di colui, che è stato buon sanzale,

per non dir ruffiano, tra Nettuno ed Amfitrite. Perché le sette figlie d'Atlante

soprasiedeno appresso il collo del bianco Toro? per essersi, con lesa maestà di

noi altri dei, vantato il padre di aver sostenuti noi ed il cielo ruinante; o

pur per aver in che mostrar la sua leggerezza i numi, che vi l'han condotte.

Perché Giunone ha ornato il Granchio di nove stelle, senza le quattro altre

circonstanti che non fanno imagine? solo per un capriccio, perché forficò il

tallone ad Alcide a tempo che combatteva con quel gigantone. Chi mi saprà dar

altra caggione che il semplice ed irrazional decreto de' superi, perché il

Serpentauro, detto da noi Greci Ofiulco, ottiene con la sua colobrina il campo

di trentasei stelle? Qual grave ed opportuna caggione fa al Sagittario usurparsi

trenta ed una stella? perché fu figlio di Euschemia, la quale fu nutriccia o

baila de le Muse. Perché non più tosto a la madre? perché lui oltre seppe

ballare e far i giuochi de le bagattelle. Aquario perché ha quaranta cinque

stelle appresso il Capricorno? forse, perché salvò la figlia di Venere Facete

nel stagno? Perché non altri, a gli quali noi dei siamo tanto ubligati, che sono

sepolti in terra, ma più tosto costui, ch'ha fatto un serviggio indegno di tanta

ricompensa, è stato conceduto quel spacio? perché cossì ha piaciuto a Venere.

7 Gli Pesci, benché meritino qualche mercede per aver dal fiume Eufrate cacciato

quell'ovo, che, covato da la colomba, ischiuse la misericordia de la dea di

Pafo, tutta volta paionvi soggetti d'ottenir l'ornamento di trentaquattro

stelle, senza altre quattro circostanti, ed abitare fuor de l'acqui nella region

più nobile del cielo? Che fa Orione, tutto armato a scrimir solo, con le

spalancate braccia, impiastrato di trent'otto stelle, ne la latitudine australe

verso il Tauro? vi sta per semplice capriccio di Nettuno, a cui non ha bastato

di privilegiarlo su l'acqui, dove ha il suo legitimo imperio; ma oltre, fuor del

suo patrimonio, si vuol con sì poco proposito prevalere. La Lepre, il Cane e la

Cagnolina sapete ch'hanno quarantatré stelle ne la parte meridionale, non per

altro, che per due o tre frascarie non minori che quella, che vi fa essere

appresso la Idra, la Tassa ed il Corvo, che ottegnono quarant'ed una stella, per

memoria di quel, che mandâro una volta gli dei il Corvo a prender l'acqua da

bere; il qual per il camino vedde un fico, ch'avea le fiche o gli fichi (perché

l'uno e l'altro geno è approvato da grammatici, dite come vi piace): per gola

quell'ucello aspettò che fussero maturi, de quali al fine essendosi pasciuto, si

ricordò de l'acqua; andò per empir la lancella, veddevi il dragone, abbe paura,

e ritornò con la giarra vota agli dei. Li quali, per far chiaro quanto hanno ben

impiegato l'ingegno ed il pensiero, hanno descritta in cielo questa istoria di

gentile ed accomodato servitore. Vedete quanto bene abbiamo speso il tempo,

l'inchiostro e la carta. La Corona austrina, che sotto l'arco e piedi di

Sagittario si vede ornata di tredeci topacii lucenti, chi l'ha predestinata ad

essere eternamente senza testa? Che bel vedere volete voi che sia di quel pesce

Nozio, sotto gli piedi d'Aquario e Capricorno, distinto in dodici lumi, con sei

altri che gli sono in circa? De l'Altare, o turribulo o fano o sacrario, come

vogliam dire, io non parlo; perché giamai li convenne cossì bene d'essere in

cielo, se non ora, che quasi non ha dove essere in terra; ora vi sta bene, come

una reliquia, o pur come una tavola della sommersa nave de la religion e colto

di noi.

8 Del Capricorno non dico nulla, perché mi par dignissimo d'ottenere il cielo,

per averne fatto tanto beneficio, insegnandoci la ricetta, con cui potessimo

vencere il Pitone; perché bisognava, che gli dei si trasformassero in bestie, se

volevano aver onor di quella guerra: e ne ha donata dottrina, facendoci sapere

che non si può mantener superiore chi non si sa far bestia. Non parlo de la

Vergine; perché, per conservar la sua verginità, in nessun loco sta sicura se

non in cielo, avendo da qua un Leone e da un Scorpione per sua guardia. La

poverina è fuggita da terra, perché l'eccessiva libidine de le donne, le quali,

quanto più son pregne, tanto più sogliono appetere il coito, fa che non sia

sicura di non esser contaminata, anco se si trovasse nel ventre de la madre;

però goda i suoi vintisei carbuncoli con quelli altri sei, che li sono attorno.

Circa l'intemerata maestà di que' doi Asini che luceno nel spacio di Cancro, non

oso dire, perché di questi massimamente per dritto e per raggione è il regno del

cielo: come con molte efficacissime raggioni altre volte mi propono di

mostrarvi, perché di tanta materia non ardisco parlare per modo di passaggio. Ma

di questo sol mi doglio e mi lamento assai, che questi divini animali sieno

statiavaramente trattati, non facendogli essere, come in casa propria, ma

nell'ospizio di quel retrogrado animale aquatico, e non munerandoli più che de

la miseria di due stelle, donandone una a l'uno e l'altra all'altro; e quelle

non maggiori che de la quarta grandezza.

9 De l'Altare, dunque, Capricorno, Vergine ed Asini (benché prendo a dispiacere

ch'ad alcuni di questi non essendo lor trattati secondo la dignità, in loco di

essere fatto onore, forse gli è stato fatta ingiuria) or al presente non voglio

definir cosa alcuna; ma torno a gli altri suppositi, che vanno per la medesima

bilancia con gli sopradetti.

10 Non volete voi che murmurino gli altri fiumi, che sono in terra, per il torto

che gli vien fatto? Atteso che, qual raggion vuole che più tosto l'Eridano deve

aver le sue trenta e quattro lucciole, che si veggono citra ed oltre il tropico

di Capricorno, più tosto che tanti altri non meno degni e grandi, ed altri più

degni e maggiori? Pensate che basta dire che le sorelle di Fetone v'abbiano la

stanza? O forse volete che vegna celebrato, perché ivi per mia mano cadde il

fulminato figlio d'Apollo, per aver il padre abusato del suo ufficio, grado ed

autoritade? Perché il cavallo di Bellerofonte è montato ad investirsi de vinti

stelle in cielo, essendo che sta sepolto in terra il suo cavalcatore? A che

proposito quella saetta, che per il splendor di cinque stelle, che tiene

inchiodate, luce prossima a l'Aquila e Delfino? Certo, che se gli fa gran torto

che non stia vicina al Sagittario a fin che se ne possa servire, quando arrà

tirato quella che tiene in punta; o pur non appaia in parte dove possa rendere

qualche raggion di sé. Apresso bramo intendere, tra il spoglio del Leone e la

testa di quel bianco e dolce Cigno, che fa quella lira fatta di corna di bue in

forma di testugine? Vorrei sapere, se la vi dimore per onor de la testugine, o

de le corna, o de la lira, o pur perché ognun veda la mastria di Mercurio che

l'ha fatta, per testimonio de la sua dissoluta e vana iattanzia?

11 Ecco, o dei, l'opre nostre; ecco le egregie nostre manifatture, con le quali

ne rendemo onorati al cielo! Vedete che belle fabriche, non molto dissimili a

quelle che sogliono far gli fanciulli, quando contrattano la luta, la pasta, le

miscuglie, le frasche e festuche, tentando d'imitare l'opre di maggiori!

Pensate, che non doviamo render raggione e conto di queste? Possete persuadervi,

chede l'opre ociose sarremo meno richiesti, interrogati, giudicati e condannati,

che dell'ociose paroli? La dea Giustizia, la dea Temperanza, la dea Constanza,

la dea Liberalitade, la dea Pazienza, la dea Veritade, la dea Mnemosine, la dea

Sofia e tante altre dee e dei vanno banditi non solo dal cielo, ma ed oltre da

la terra; ed in loco loro e ne gli eminenti palaggi, edificati da l'alta

Providenza per residenza loro, vi si veggono delfini, capre, corvi, serpenti ed

altre sporcarie, levitadi, capricci e legerezze. Se vi par questa cosa

inconveniente, e ne tocca il rimorso de la conscienza per il bene che non abbiam

fatto; quanto più dovete meco considerare che doviamo esser punti e trafitti per

le gravissime sceleraggini e delitti, che comessi avendono, non solamente non ne

siamo ripentiti ed emendati, ma oltre ne abbiamo celebrati triomfi e drizzati

come trofei, non in un fano labile e ruinoso, non in tempio terrestre, ma nel

cielo e nelle stelle eterne. Si può patire, o dei, e facilmente si condona a gli

errori, che son per fragilità, e per non molto giudiciosa levità; ma qual

misericordia, qual pietate può rivoltarsi a quelli, che son commessi da color

che, essendono posti presidenti nella giustizia, in mercede di criminalissimi

errori, contribuiscono maggiori errori con onorare, premiar ed essaltar al cielo

gli delitti insieme con gli delinquenti? Per qual grande e virtuoso fatto Perseo

av'ottenute vintesei stelle? Per aver con gli talari e scudo di cristallo, che

lo rendeva invisibile, in serviggio de l'infuriata Minerva ammazzate le Gorgoni

che dormivano, e presentatogli il capo di Medusa. E non ha bastato che vi fusse

lui, ma per lunga e celebre memoria bisognava che vi comparisse la moglie

Andromeda con le sue vintitré, il suo genero Cefeo con le sue tredeci, che

espose la figlia innocente alla bocca del Ceto per capriccio di Nettuno, adirato

solamente perché la sua madre Cassiopea pensava essere più bella che le Nereidi.

E però anco la madre vi si vede residente in catedra, ornata di tredeci altre

stelle ne' confini de l'Artico circolo. Quel padre di agnelli con la lana d'oro,

con le sue diece ed otto stelle senza l'altre sette circonstanti, che fa balando

sul punto equinoziale? E forse ivi per predicar la pazzia e sciocchezza del re

di Colchi, l'impudicizia di Medea, la libidinosa temeritade di Giasone e

l'iniqua providenza di noi altri? Que' doi fanciulli, che nel signifero

succedeno al Toro, compresi da diece e otto stelle, senza altre sette

circonstanti informi, che mostrano di buono o di bello in quella sacra sedia,

eccetto che il reciproco amore di doi bardassi? Per qual raggione il Scorpione

ottiene il premio di venti ed una stelle, senza le otto che son ne le chele, e

le nove che sono circa lui, e tre altre informi? Per premio d'un omicidio

ordinato dalla leggerezza ed invidia di Diana, che gli fece uccidere l'emulo

cacciator Orione. Sapete bene che Chirone con la sua bestia ottiene nella

australe latitudine del cielo sessanta e sei stelle per esser stato pedante di

quel figlio, che nacque dal stupro di Peleo e.Teti.

12 Sapete che la corona di Ariadna, nella quale risplendeno otto stelle, ed è

celebrata , avanti il petto di Boote e le spire de l'angue, non v'è se non in

commemorazione perpetua del disordinato amor del padre Libero, che s'imbracciò

la figlia del re di Creta, rigettata dal suo stuprator Teseo.

13 Quel Leone, che nel core porta il basilisco, e che ottiene il campo di trenta

e cinque stelle, che fa continuo al Cancro? Evi forse per esser gionto a quel

suo conmilitone e suo conservo de l'irata Giunone, che lo apparecchiò vastatore

del Cleoneo paese, a fine che, a mal grado di quello, aspetasse l'advenimento

del strenuo Alcide? Ercole invitto, laborioso mio figlio, che col suo spoglio di

leone e la sua mazza par che si difenda le vinti ed otto stelle, quali con più

che mai altri abbia fatto tanti gesti eroici s'ha meritate, pure, a dire il

vero, non mi par conveniente che tegna quel loco, onde il suo geno pone avanti

gli occhi della giustizia il torto fatto al nodo coniugale della mia Giunone per

me e per la pellice Megara, madre di lui. La nave di Argo, nella quale sono

inchiodate quarantacinque risplendenti stelle, ne l'ampio spacio vicino al

circolo Antartico, evi ad altro fine che per eternizare la memoria del grande

errore che commese la saggia Minerva, che mediante quella instituì gli primi

pirati a fine che, non meno che la terra, avesse gli suoi solleciti predatori il

mare? E per tornar dove s'intende la cintura del cielo, perché quel Bove,

verso il principio del zodiaco, ottiene trenta e due chiare stelle, senza quella

ch'è nella punta del corno settentrionale, ed undeci altre che son chiamate

informi? Per ciò che è quel Giove (oimè!) che rubbò la figlia ad Agenore, la

sorella a Cadmo. Che Aquila è quella che nel firmamento s'usurpa l'atrio di

quindeci stelle, oltre Sagittario, verso il polo? Lasso, è quel Giove che ivi

celebra il trionfo del rapito Ganimede e di quelle vittoriose fiamme ed amori.

Quella Orsa, quella Orsa, o dei, perché nella più bella ed eminente parte del

mondo, come in una alta specola, come in una più aprica piazza e più celebre

spettacolo, che ne l'universo presentar si possa a gli occhi nostri, è stata

messa? Forse a fine che non sia occhio, che non veda l'incendio ch'assalse il

padre de gli dei appresso l'incendio de la terra per il carro di Fetonte, quando

in quel mentre ch'andavo guardando le ruine di quel fuoco, e riparando a quelle

con richiamare i fiumi che timidi e fugaci erano ristretti a le caverne, e ciò

effettuando nel mio diletto Arcadio paese: ecco, altro fuoco m'accese il petto,

che dal splendor del volto de la vergine Nonacrina procedendo, passommi per gli

occhi, scorsemi nel core, scaldommi l'ossa e penetrommi dentro le midolla; di

sorte che non fu acquaremedio che potesse dar soccorso e refrigerio

all'incendio mio. In questo foco fu il strale che mi trafisse il core, il laccio

che mi legò l'alma, e l'artiglio che mi tolse a me e diemmi in preda alla beltà

di lei. Commesi il sacrilego stupro, violai la compagnia di Diana e fui a la mia

fidelissima consorte ingiurioso; per la quale in forma e specie d'una Orsa

presentandomise la bruttura del fedo eccesso mio, tanto si manca che da quella

abominevol vista io concepesse orrore, che sì bello mi parve quel medesimo

mostro e sì mi soprapiacque, che volsi ch'il suo vivo ritratto fusse essaltato

nel più alto e magnifico sito de l'architetto del cielo: quell'errore, quella

bruttezza, quell'orribil macchia che sdegna ed abomina lavar l'acqua de

l'Oceano, che Teti, per tema di contaminar l'onde sue, non vuol che punto

s'avicine verso la sua stanza, Dictinna l'ha vietato l'ingresso di suoi deserti

per tema di profanar il sacro suo collegio, e per la medesima caggione gli

niegano i fiumi le Nereidi e Ninfe.

14 Io, misero peccatore, dico la mia colpa, dico la mia gravissima colpa, in

conspetto de l'intemerata absoluta giustizia, e vostro, che sin al presente ho

molto gravemente peccato, e per il mal essempio ho porgiuta ancor a voi

permissione e facultà di far il simile; e con questo confesso che degnamente io

insieme con voi siamo incorsi il sdegno del fato, che non ne fa più essere

riconosciuti per dei, e mentre abbiamo a le sporcarie de la terra conceduto il

cielo, ha dispensato ch'a noi fussero cassi gli tempii, imagini e statue,

ch'avevamo in terra; a fine che degnamente da alto vegnano depressi quelli,

quali indegnamente han messe in alto le cose vili e basse.

15 Oimè, dei, che facciamo? che pensiamo? che induggiamo? Abbiamo prevaricato,

siamo stati perseveranti ne gli errori, e veggiamo la pena gionta e continuata

con l'errore. Provedemo, dunque, provedemo a' casi nostri; perché, come il fato

ne ha negato il non posser cadere, cossì ne ha conceduto il possere risorgere;

però come siamo stati pronti al cascare, cossì anco siamo apparecchiati a

rimetterci su gli piedi. Da quella pena nella quale mediante l'errore siamo

incorsi, e peggior della quale ne potrebe sopravenire, mediante la riparazione,

che sta nelle nostre mani, potremo senza difficultade uscire. Per la catena de

gli errori siamo avinti; per la mano della giustizia ne disciogliamo. Dove la

nostra levità ne ha deprimuti, indi bisogna che la gravità ne inalze.

Convertiamoci alla giustizia, dalla quale essendo noi allontanati, siamo

allontanati da noi stessi; di sorte che non siamo più dei, non siamo più noi.

Ritorniamo dunque a quella, se vogliamo ritornare a noi.

16 L'ordine e maniera di far questo riparamento è che prima togliamo da le

nostre spalli la grieve soma d'errori che ne trattiene; rimoviamo d'avanti gli

nostri occhi il velo de la poca considerazione, che ne impaccia; isgombramo dal

core la propria affezione, che ne ritarda; gittiamo da noi tutti que' vani

pensieri che ne aggravano; adattiamoci a demolire le machine di errori ed

edificii di perversitade che impediscono la strada ed occupano il camino;

cassiamo ed annulliamo, quanto possibil fia, gli trionfi e trofei di nostri

facinorosi gesti, a fine che appaia nel tribunal della giustizia verace

pentimento di commessi errori. Su, su, o dei, tolgansi dal cielo queste larve,

statue, figure, imagini, ritratti, processi ed istorie de nostre avarizie,

libidini, furti, sdegni, dispetti ed onte. Che passe, che passe questa notte

atra e fosca di nostri errori, perché la vaga aurora del novo giorno de la

giustizia ne invita; e disponiamoci di maniera tale al sole, ch'è per uscire,

che non ne discuopra cossì come siamo immondi. Bisogna mondare e renderci belli;

non solamente noi, ma anco le nostre stanze e gli nostri tetti fia mestiero che

sieno puliti e netti: doviamo interiore- ed esteriormente ripurgarci.

Disponiamoci, dico, prima nel cielo che intellettualmente è dentro di noi, e poi

in questo sensibile che corporalmente si presenta a gli occhi. Togliemo via dal

cielo de l'animo nostro l'Orsa della difformità, la Saetta de la detrazione,

l'Equicolo de la leggerezza, il Cane de la murmurazione, la Canicola de

l'adulazione. Bandiscasi da noi l'Ercole de la violenza, la Lira de la

congiurazione, il Triangolo de l'impietà, il Boote de l'inconstanza, il Cefeo de

la durezza. Lungi da noi il Drago de l'invidia, il Cigno de l'imprudenza, la

Cassiopea de la vanità, l'Andromeda de la desidia, il Perseo della vana

sollecitudine. Scacciamo l'Ofiulco de la maldizione, l'Aquila de l'arroganza, il

Delfino de la libidine, il Cavallo de l'impacienza, l'Idra de la concupiscenza.

Togliemo da noi il Ceto de l'ingordiggia, l'Orione de la fierezza, il Fiume de

le superfluitadi, la Gorgone de l'ignoranza, la Lepre del vano timore. Non ne

sia oltre dentro il petto l'Argonave de l'avarizia, la Tazza de l'insobrietà, la

Libra de l'iniquità, il Cancro del mal regresso, il Capricorno de la decepzione.

Non fia che ne s'avicine il Scorpio de la frode, il Centauro de la animale

affezione, l'Altare de la superstizione, la Corona de la superbia, il Pesce de

l'indegno silenzio. Con questi caggiano gli Gemini de la mala familiaritade, il

Toro de la cura di cose basse, l'Ariete de l'inconsiderazione, il Leone de la

Tirannia, l'Aquario de la dissoluzione, la Vergine de l'infruttuosa

conversazione, il Sagittario de la detrazione. Se cossì, o dei, purgaremo la

nostra abitazione, se cossì renderemo novo il nostro cielo, nove saranno le

costellazioni ed influssi, nove l'impressioni, nove fortune; perché da questo

mondo superiore pende il tutto, e contrarii effetti sono dependenti da cause

contrarie. O felici, o veramente fortunati noi, se farremo buona colonia del

nostro animo e pensiero! A chi de voi non piace il presente stato, piaccia il

presente conseglio. Se vogliamo mutar stato, cangiamo costumi. Se vogliamo che

quello sia buono e megliore, questi non sieno simili o peggiori. Purghiamo

l'interiore affetto, atteso che da l'informazione di questo mondo interno non

sarà difficile di far progresso alla riformazione di questo sensibile ed

esterno. La prima purgazione, o dei, veggio che la fate, veggio che l'avete

fatta; la vostra determinazione io la veggio; ho vista la vostra determinazione,

la è fatta; ed è subito fatta, perché la non è soggetta a' contrapesi del tempo.

 

17 Or su, procediamo alla seconda purgazione. Questa è circa l'esterno,

corporeo, sensibile e locato. Però bisogna che vada con certo discorso,

successione ed ordine; però bisogna aspettare, conferir una cosa con l'altra,

comparar questa raggione con quella, prima che determinare; atteso che circa le

cose corporali, come in tempo è la disposizione, cossì non può essere, come in

uno instante, l'essecuzione. Eccovi dunque il termine di tre giorni, dove non

avete da decidere e determinare infra di voi, se questa riforma si debba fare o

non; perché per ordinanza del fato, subito che vi l'ho proposta, insieme l'avete

giudicata convenientissima, necessaria ed ottima; e non in segno esteriore,

figura ed ombra, ma realmente ed in verità veggio il vostro affetto, come voi

reciprocamente vedete il mio; e non men subito ch'io v'ho tocco l'orecchio col

mio proponimento, voi col splendor del consentimento vostro m'avete tocchi gli

occhi. Resta dunque che pensiate e conferite infra di voi circa la maniera, con

cui s'ha da provedere a queste cose che si toglieno dal cielo, per le quali fia

mestiero procacciare ed ordinar altri paesi e stanze; ed oltre, come s'hanno da

empire queste sedie a fin che il cielo non rimagna deserto, ma megliormente

colto ed abitato che prima. Passati che saranno gli tre giorni, verrete

premeditati in mia presenza circa loco per loco e cosa per cosa, acciò che, non

senza ogni possibile discussione, conveniamo il quarto giorno a determinare e

pronunziar la forma di questa colonia. Ho detto.

18 Cossì, o Saulino, il padre Giove toccò l'orecchio, accese il spirto e

commosse il core del Senato e Popolo celeste, che lui medesimo apertamente ne'

volti e gesti s'accorse, mentre orava, che nella mente loro era conchiuso e

determinato quel tanto che da lui lor venia proposto. Avendo dunque fatta la

ultima clausola ed imposto silenzio al suo dire il gran Patriarca degli dei,

tutti con una voce e con un tuono dissero: - Molto volentieri, o Giove,

consentemo d'effettuar quel tanto che tu hai proposto e veramente ha

predestinato il fato. - Qua succese il fremito de la moltitudine, qua apparendo

segno d'una lieta risoluzione, d'un volenteroso ossequio, qua d'un dubio,

d'un pensiero, qua un applauso, un scrollar di testa di qualche interessato,

ivi una specie di vista, e quivi un'altra, sin tanto che, gionta l'ora di cena,

chi da questo lato si retirò, e chi da quell'altro.

19 \ SAUL.\ Cose di non poco momento, o Sofia!




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