Terza parte del
secondo dialogo.
1
Talmente, dunque, Giove negò la sedia d'Ercole a la Fortuna, che a suo
arbitrio lasciò e
quella ed altre tutte che sono ne l'universo. Dalla qual
sentenza,
comunque se sia, non dissentirno gli dei tutti; e la orba dea, vedendo
la determinazion
fatta citra ogni sua ingiuria, si licenziò dal Senato dicendo:
Io, dunque, me ne vo aperta aperta ed occolta occolta a tutto l'universo;
discorro gli alti
e bassi palaggi, e non meno che la morte so inalzar le cose
infime e
deprimere le supreme; ed al fine, per forza di vicissitudine, vegno a
far tutto uguale,
e con incerta successione e raggion irrazionale, che mi trovo
(cioè sopra ed
estra le raggioni particolari), e con indeterminata misura volto
la ruota, scuoto
l'urna, a fine che la mia intenzione non vegna incusata da
individuo alcuno.
Su, Ricchezza, vieni a la mia destra, e tu, Povertà, a la mia
sinistra: menate
vosco il vostro comitato; tu, Ricchezza, li ministri tanto
grati, e tu,
Povertà, gli tuoi tanto noiosi alla moltitudine. Seguiteno, dico,
prima il fastidio
e la gioia, la felicità ed infelicità, la tristizia,
l'allegrezza; la
letizia, la maninconia; la fatica, il riposo; l'ocio,
l'occupazione; la
sordidezza, l'ornamento. Appresso l'austerità, le delicie; il
lusso, la
sobrietà; la libidine, l'astinenza; l'ebrietà, la sete; la crapula, la
fame; l'appetito,
la sacietade; la cupidiggia, il tedio e saturità; la pienezza,
la vacuità; oltre
il dare, il prendere; l'effusione, la parsimonia; l'investire,
il dispogliare;
il lucro, la iattura; l'introito, l'exito; il guadagno, il
dispendio;
l'avarizia, la liberalitade, con il numero e misura, eccesso e
difetto;
equalitade, inequalitade; debito, credito, dopoi sicurtà, suspizione;
zelo, adulazione;
onore, dispreggio; riverenza, scherno; ossequio, dispetto;
grazia, onta;
agiuto, destituzione; disconforto, consolazione; invidia,
congratulazione;
emulazione, compassione; confidenza, diffidenza; dominio,
servitù; libertà,
cattività; compagnia, solitudine. Tu, Occasione, camina
avanti, precedi
gli miei passi, aprime mille e mille strade, va incerta,
incognita,
occolta, percioché non voglio che il mio advenimento sia troppo
antiveduto. Dona
de sghiaffi a tutti vati, profeti, divini, mantici e
prognosticatori.
A tutti quei che si attraversano per impedirne il corso nostro,
donagli su le
coste. Togli via davanti gli miei piedi ogni possibile intoppo.
Ispiana e spianta
ogni altro cespuglio de dissegni che ad un cieco nume possa
esser molesto,
onde comodamente per te, mia guida, mi fia definito il montare o
il poggiare, il
divertir a destra o a sinistra, il movere, il fermare, il menar
ed il ritener de
passi. Io in un momento ed insieme insieme vo e vegno,
stabilisco e
muovo, assorgo e siedo, mentre a diverse ed infinite cose con
diversi mezzi de
l'occasione stendo le mani. Discorremo dunque da tutto, per
tutto, in tutto,
a tutto: quivi con dei, ivi con gli eroi; qua con uomini,
là.con bestie.
2
Or essendo finita questa lite e donato spaccio alla Fortuna, voltato Giove a
gli dei: - Mi
par, disse, che in loco d'Ercole debba succedere la Fortezza,
perché da dove è
la verità, la legge, il giudicio, non deve esser lunghi la
fortezza; perché
constante e forte deve essere quella voluntà che administra il
giudicio con la
prudenza, per la legge, secondo la verità: atteso che come la
verità e la legge
formano l'intelletto, la prudenza, il giudicio e giustizia
regolano la
voluntà; cossì la constanza e fortezza conducono a l'effetto. Onde è
detto da un
sapiente: Non ti far giudice, se con la virtude e forza non sei
potente a rompere
le machine de l'iniquitade. - Risposero tutti gli dei: - Bene
hai disposto, o
Giove, che Ercole sin ora sia stato come tipo de la fortezza che
dovea
contemplarsi ne gli astri. Succedi tu, Fortezza, con la lanterna de la
raggione innante,
perché altrimente non sareste fortezza, ma stupidità, furia,
audacia. E non
sareste stimata fortezza, né men sareste; perché per pazzia,
errore ed
alienazion di mente verreste a non temere il male e la morte. Quella
luce farà che non
ardisci dove si deve temere: atteso che tal cosa il stolto e
forsennato non
teme che, quanto uno è più prudente e saggio, deve più paventare.
Quella farà che
dove importa l'onore, l'utilità publica, la dignità e perfezione
del proprio
essere, la cura delle divine leggi e naturali, ivi non ti smuovi per
terrori che
minacciano morte; sie presta ed ispedita dove gli altri son torpidi
e tardi;
facilmente comporti quel ch'altri difficilmente; abbi per poco o nulla
ciò che altri stimano
molto ed assai. Modera le tue male compagne: e quella che
ti viene a destra
con le sue ministre, Temeritade, Audacia, Presunzione,
Insolenzia,
Furia, Confidenzia; e quella, che ti vien alla sinistra con la
Povertà di
spirto, Deiezione, Timore, Viltade, Pusillanimitade, Desperazione.
Conduci le tue
virtuose figlie, Sedulità, Zelo, Toleranza, Magnanimità,
Longanimità,
Animosità, Alacrità, Industria, con il libro del catalogo delle
cose che si
governano con Cautela, o con Perseveranza, o con Fuga, o con
Sufferenza; ed in
cui son notate le cose ch'il forte non deve temere: cioè
quelle che non ne
fanno peggiore, come la Fame, la Nudità, la Sete, il Dolore,
la Povertà, la
Solitudine, la Persecuzione, la Morte; e de l'altre cose che, per
ne rendere
peggiori, denno essere con ogni diligenza fuggite: come l'Ignoranza
crassa,
l'Ingiustizia, l'Infidelità, la Buggia, l'Avarizia e cose simili. Cossì
contemperandoti,
non declinando a destra ed a sinistra, e non allontanandoti da
tue figlie,
leggendo ed osservando il tuo catalogo, non facendo estinto il tuo
lume, sarai sola
tutela de Virtudi, unica custodia di Giustizia e torre
singulare de la
Veritade; inespugnabile da' vizii, invitta da le fatiche,
constante a gli
perigli, rigida contra le voluttadi, spreggiatrice de la
Ricchezza,
domitrice della Fortuna, triomfatrice del tutto. Temerariamente non
ardirai,
inconsultamente non temerai; non affettarai gli piaceri, non fuggirai
gli odori; per
falsa lode non ti compiacerai, e per vituperio non ti
sgomentarai; non
t'inalzarai per le prosperitadi, non ti dismetterai per le
adversitadi; non
t'impiombarà la gravità de fastidii, non ti sulleverà il vento
de la leggerezza;
non ti farà gonfia la ricchezza, e non ti confondarà la
povertade: spreggiarai
il soverchio, arrai poco senso del necessario. Divertirai
da cose basse, e
sarai sempre attenta ad alte imprese.
3
- Or, che ordine si prenderà per la mia Lira? - disse Mercurio. A cui rispose
Momo: - Abbila per
teco per tuo passatempo, quando ti trovi in barca o pur
quando ti
trovarai nell'ostarie. E se fai elezione di farne qualche presente,
donandola a chi
più meritevolmente si conviene, e non vuol andar troppo vagando
per cercarlo,
vattene a Napoli, a la piazza de l'Olmo; over in Venezia in piazza
di S. Marco,
circa il vespro: perché in questi doi luoghi compariscono gli
corifei di color
che montano in banco; ed ivi ti potrà occorrere quel megliore a
cui iure meriti
la si debbia. - Dimandò Mercurio: - Perché più tosto a megliori
di questa che di
altra specie? - Rispose Momo, che a questi tempi la lira è
dovenuto
principalmente instrumento da chiarlatani, per conciliarsi e
trattenersi
l'udienza, e meglior vendere le sue pallotte ed albarelli, come la
rebecchina ancora
è fatto instrumento da ciechi mendicanti. Mercurio disse: - E
in mia potestà di
farne quel che mi piace? - Cossì è, disse Giove; ma non già
per ora di
lasciarla star in cielo. E voglio (se cossì pare ancor a voi altri
del conseglio)
che in luogo di questa sua lira de le nove corde succeda la gran
madre Mnemosine
con le nove Muse, sue figlie. - Qua fêrno un chino di testa gli
dei tutti in
segno di approvazione; e la Dea promossa con le sue figlie rese le
grazie.
L'Aritmetrica, la quale è primogenita, disse che le ringraziava per più
volte che non
concepe individui e specie di numeri, ed oltre per più millenarii
de millenarii che
mai possa con le sue addizioni apportar l'intelletto; la
Geometria più che
mai forme e figure formar si vagliano, e che atomi possa mai
incorrere per le
fantastiche resoluzioni di continui; la Musica più che mai
fantasia possa
combinar forme di concenti e sinfonie; la Logica più che non
fanno absurdità
li suoi gramatici, false persuasioni i suoi retorici, e sofismi
e false
demostrazioni i dialettici; la Poesia più che, per far correre le lor
tante favole, non
hanno piedi quanti han fatti e son per far versi i suoi
cantori; la
Astrologia più che contegna stelle l'inmenso spacio dell'eterea
regione, se più
dir si puote; la Fisica tante mercé li rese, quante possono
essere prossimi e
primi principii ed elementi nel seno de la natura; la
Metafisica più
che non son geni d'idee e specie de fini ed efficienti sopra gli
naturali effetti,
tanto secondo la realità che è ne le cose, quanto secondo il
concetto
representante; l'Etica, quanti possono essere costumi, consuetudini,
leggi, giustizie
e delitti in questo ed altri mondi de l'universo. La madre
Mnemosine disse:
- Tante grazie e mercé vi rendo, o dei, quanti esser possono
particolari
suggetti a la memoria ed a l'oblio, alla cognizione ed ignoranza. -
Ed in questo
mentre Giove ordinò alla sua primogenita Minerva, che gli porgesse
quella scatola
che teneva sotto il capezzal del letto; ed indi cacciò nove
bussole, le quali
contegnono nove collirii che son stati ordinati per purgar
l'animo umano, e
quanto alla cognizione e quanto alla affezione. E primamente ne
donò tre alle tre
primiere, dicendogli: - Eccovi il meglior unguento con cui
possiate purgar e
chiarir la potenza sensitiva circa la moltitudine, grandezza
ed armonica
proporzione di cose sensibili. - Ne dié uno a la quarta, e disse: -
Questo servirà
per far regolata la facultà inventiva e giudicativa. - Prendi
questo, disse a
la quinta, che con suscitar certo melancolico appulso è potente
ad incitar a
delettevole furore e vaticinio. - Donò il suo a la sesta,
mostrandogli il
modo, con cui mediante quello aprisse gli occhi de mortali alla
contemplazion di
cose archetipe e superne. La settima ricevé quello per cui
meglio vien
riformata la facultà razionale circa la contemplazion de la natura.
La ottava,
l'altro non meno eccellente che promove l'intelletto all'apprension
di cose
sopranaturali, in quanto che influiscono ne la natura e sono in certo
modo absolute da
quella. L'ultimo, più grande, più precioso e più eccellente,
dié in mano de
l'ultimogenita; la quale, quanto è posterior de l'altre tutte,
tanto è più che
tutte l'altre degna; e gli disse: - Ecco qua, Etica, con cui
prudentemente,
con sagacità, accortezza e generosa filantropia saprai instituir
religioni,
ordinar gli culti, metter leggi ed esecutar giudicii; ed approvare,
confirmare,
conservar e defendere tutto il che è bene instituito, ordinato,
messo ed
esecutato, accomodando quanto si può gli affetti ed effetti al culto de
dei e convitto de
gli uomini.
4
- Che faremo del Cigno? - dimandò Giunone. Rispose Momo: -Mandiamolo in nome
del suo diavolo a
natar con gli altri, o nel lago di Pergusa, o nel fiume
Caistro, dove
arrà molti compagni - Non voglio cossì, disse Giove; ma ordino che
nel becco sia
marcato del mio sigillo e messo nel Tamesi; perché là sarà più
sicuro ch'in
altra parte, atteso che per la tema di pena capitale non mi potrà
essere così
facilmente rubbato. - Saviamente, suggionsero gli dei, hai provisto,
o gran padre; -
ed aspettavano che Giove determinasse del successore. Onde
séguita il suo
decreto il primo presidente, e dice: - Mi par molto convenevole
che vi sia locata
la Penitenza, la qual tra le virtudi è come il cigno tra gli
ucelli: perché la
non ardisce, né può volar alto per il gravor dell'erubescenza
ed umile
recognizion di se stessa, si mantiene sommessa; però, togliendosi a
l'odiosa terra, e
non ardendo de s'inalzare al cielo, ama gli fiumi, s'attuffa a
l'acqui, che son
le lacrime della compunzione nelle quali cerca lavarsi,
purgarsi,
mondarsi, dopo ch'a sé nel limoso lido de l'errore insporcata
dispiacque, mossa
dal senso di tal dispiacere, è incorsa la determinazione del
corregersi, e,
quanto possibil fia, farsi simile alla candida innocenza. Con
questa virtù
risaleno l'anime che son ruinate dal cielo ed inmerse a l'Orco
tenebroso,
passate per il Cocito de le voluttadi sensitive, ed accese dal
Periflegetonte de
l'amor cupidinesco ed appetito di generazione; de quali il
primo ingombra il
spirto di tristizia, ed il secondo rende l'alma disdegnosa;
come per
rimembranza de l'alta ereditade ritornando in se medesima, dispiace a
se medesima per
il stato presente; si duole per quel che si delettò e non
vorrebe aver
compiaciuto a se stessa: ed in questo modo viene a poco a poco a
dispogliarsi dal
presente stato, attenuandosegli la materia carnale ed il peso
de la crassa
sustanza; si mette tutta in piume, s'accende e si scalda al sole,
concepe il
fervido amor di cose sublimi, doviene aeria, s'appiglia al sole e di
bel nuovo si
converte al suo principio. - Degnamente la Penitenza è messa tra le
virtudi, disse
Saturno; perché, quantunque sia figlia del padre Errore e de
l'Iniquitade
madre, è nulladimeno come la vermiglia rosa che da le adre e
pungenti spine si
caccia; è come una lucida e liquida scintilla che dalla negra
e dura selce si
spicca, fassi in alto e tende al suo cognato sole. - Ben
provisto, ben
determinato! - disse tutto il concilio de gli dei. - Sieda la
Penitenza tra le
virtudi, sia uno de gli celesti numi!
5
A questa voce generale, prima ch'altro proponesse di Cassiopea, alzò la voce
il furibondo
Marte, e disse: - Non sia, o dei, chi tolga alla mia bellicosa
Ispagna questa
matrona che cossì boriosa, altiera e maestrale non si contentò di
salir al cielo
senza condurvi la sua catedra col baldacchino. Costei (se cossì
piace al padre
summitonante, e se voi altri non volete discontentarmi a rischio
di patir a buona
misura il simile, quando mi passarete per le mani) vorrei che,
per aver costumi
di quella patria, e parer ivi nata, nodrita ed allevata,
determiniate che
la vi soggiorne. - Rispose Momo: - Non sia chi tolga
l'arroganza e
questa femina, ch'è vivo ritratto di quella, al signor bravo
capitan di
squadre. - A cui Marte: - Con questa spada farò conoscere non
solamente a te
poveraccio, che non hai altra virtude e forza che de lingua
fracida senza
sale; ma ed oltre a qualsivogli'altro (fuor di Giove, per essere
superior di
tutti), che sotto quella che voi dite iattanza, dica non si trovar
bellezza, gloria,
maestà, magnanimità, e fortezza degna della protezion del
scudo marziale; e
di cui l'onte non son indegne d'esser vendicate da questa
orribil punta chi
ha soluto domar uomini e dei. - Abbila pur, soggionse Momo, in
tua mal'ora teco:
perché tra noi altri dei non vi trovarai un altro sì bizzarro
e pazzo, che, per
guadagnarsi una de queste colubre e tempestose bestie, voglia
mettersi a
rischio di farsi rompere il capo. - Non te incolerar, Marte, non ti
rabbiar, Momo,
disse il benigno protoparente. Facilmente a te, dio de la guerra,
si potrà
concedere liberamente questa cosa, che non è troppo d'importanza, se ne
bisogna talvolta,
al nostro dispetto, comportar, che con la sola autorità della
tua fiammeggiante
spada commetti tanti stupri, tanti adulterii, tanti
latrocinii,
usurpazioni ed assassinii. Va' dunque, che io insieme con gli altri
dei la commettemo
in tutto alla tua libidinosa voglia; sol che non più la facci
induggiar qua in
mezzo a gli astri, vicina a tante virtuose dee. Vada con la sua
catedra a basso,
e conduca la Iattanzia seco. E ceda il luogo alla Semplicità,
la qual declina
dalla destra di costei, che ostenta e predica più di quel che
possiede, e dalla
sinistra della Dissimulazione la quale occolta e finge di non
aver quel ch'ave,
e mostra posseder meno di quel che si trova. Questa pedissequa
de la Veritade
non deve lungi peregrinare dalla sua regina, benché talvolta la
dea Necessitade
la costringa di declinare verso la Dissimulazione, a fine che
non vegna
inculcata la Simplicità o Veritade, o per evitar altro inconveniente.
Questo facendosi
da lei non senza modo ed ordine, facilmente potrà essere fatto
ancora senza
errore e vizio. - Andando la Semplicità per prendere il suo luogo,
comparve de
incesso sicuro e confidente; al contrario de la Iattanzia e
Dissimulazione,
le quali caminano non senza tema, come con gli suspiciosi passi
e formidoloso
aspetto dimostravano. Lo aspetto della Simplicità piacque a tutti
gli dei, perché
per la sua uniformità in certa maniera rapresenta ed ha la
similitudine del
volto divino. Il volto suo è amabile, perché non si cangia mai;
e però con quella
raggione, per cui comincia una volta a piacere, sempre
piacerà; e non
per suo, ma per l'altrui difetto aviene che cesse d'essere amata.
Ma la Iattanzia,
la qual suol piacere, per donare ad intendere di possedere più
di quel che
possiede, facilmente, quando sarà conosciuta, non solo incorrerà
dispiacenza, ma
ed oltre, talvolta, dispreggio. Similmente la Dissimulazione,
per esser
altrimente conosciuta, che come prima si volse persuadere, non senza
difficultade
potrà venir in odio a colui da chi fu prima grata. Di queste dunque
l'una e l'altra
fu stimata indegna del cielo, e di esser unita a quello che suol
trovarsegli in
mezzo. Ma non tanto la Dissimulazione, di cui talvolta sogliono
servirsi anco gli
dei; perché talvolta, per fuggir invidia, biasmo ed oltraggio,
con gli
vestimenti di costei la Prudenza suole occultar la Veritade.
6
\ SAUL.\ È vero e bene, o Sofia; e non senza spirto di veritade mostrò il
Poeta ferrarese,
questa essere molto più conveniente a gli omini, se talvolta
non è
sconvenevole a dei:
Quantunque il
simular sia le più volte
Ripreso, e dia di
mala mente indici,
Si trova pur in
molte cose e molte
Aver fatti
evidenti benefici,
E danni, e
biasmi, e morte aver già tolte;
Ché non
conversiam sempre con gli amici
In questa assai
più oscura che serena
Vita mortal,
tutta d'invidia piena.
7
Ma vorrei sapere, o Sofia, in che maniera intendi la Simplicità aver
similitudine del
volto divino.
8
\ SOFIA\ Per questo, che la non può aggiongere a l'esser
suo con la iattanza,
e non può suttraere
da quello con la simulazione. E questo procede dal non avere
intelligenza ed
apprensione di se stessa; come quello che è simplicissimo, se
non vuol essere
altro che semplicissimo, non intende se stesso. Perché quello
che si sente e
che si remira, si fa in certo modo molto, e, per dir meglio,
altro ed altro;
perché si fa obietto e potenza, conoscente e conoscibile:
essendo che ne
l'atto dell'intelligenza molte cose incorreno in uno. Però quella
semplicissima
intelligenza non si dice intendere se stessa, come se avesse un
atto reflesso de
intelligente ed intelligibile; ma perché è absolutissimo e
semplicissimo
lume, solo dunque se dice intendersi negativamente, per quanto non
si può essere
occolta. La Semplicità dunque, in quanto che non apprende e non
commenta su
l'esser suo, s'intende aver similitudine divina. Dalla quale a tutta
distanza dechina
la boriosa Iattanzia. Ma non tanto la studiosa Dissimulazione,
a cui Giove fa
lecito che talvolta si presente in cielo, e non già come dea, ma
come tal volta
ancella della Prudenza e scudo della Veritade.
9
\ SAUL.\ Or vengamo ad considerar quel ch'è fatto di Perseo e della sua
stanza.
10
\ SOFIA\ - Che farai, o Giove, di questo tuo bastardo, che
ti fêsti parturire
a Danae? - disse
Momo. Rispose Giove: -Vada, se cossì piace al senato intiero
(perché mi par
che qualche nuova Medusa si trova in terra, che, non meno che
quella di già
gran tempo, è potente di convertere in selce col suo aspetto
chiunque la
remira), vada a costei non come mandato da un nuovo Polidette, ma
come inviato da
Giove insieme con tutto il senato celeste; e veda se, secondo la
medesima arte,
possa superare tanto più orribile quanto più nuovo mostro. - Qua
risorse Minerva,
dicendo: - Ed io dal mio canto non mancarò d'accomodargli non
men commodo scudo
di cristallo con cui vegna ad abbarbagliar la vista de le
nemiche Forcidi messe
in custodia de le Gorgoni; ed io in presenza voglio
assistergli, sin
tanto che abbia disciolto il capo di questa Medusa dal suo
busto. - Cossì,
disse Giove, farai molto bene, mia figlia; ed io te impono
questa cura,
nella qual voglio che t'adopri con ogni diligenza. Ma non vorei che
di nuovo faccia,
che a danno de gli poveri popoli avenga che per le stille, che
scorreranno da le
vene incise, vegnano generati nuovi serpenti in terra, dove, a
mal grado de
miseri, vi se ne ritrovano pur assai e troppo. Però, montato sul
Pegaso, che verrà
fuori del fecondo corpo di colei, discorra (riparando al
flusso de le
goccie sanguinose) non già per l'Africa dove di qualche cattiva
Andromeda vegna
cattivo: dalla quale, avinta in ferree catene, vegna legato di
quelle di
diamante; ma col suo destriero alato discorra la mia diletta Europa;
ed ivi cerca,
dove son que' superbi e mostruosi Atlanti, nemici de la progenie
di Giove, da cui
temeno che gli vegnan tolte le poma d'oro, che sotto la
custodia e
serragli de l'Avarizia ed Ambizione tegnono occolte. Attenda ove son
altre più
generose e più belle Andromede che per violenza di falsa religione
vegnono legate ed
esposte alle marine belve. Guarde se qualche violento Fineo,
constipato dalla
moltitudine di perniciosi ministri, viene ad usurparsi i frutti
dell'altrui
industrie e fatiche. Se qualche numero de ingrati, ostinati ed
increduli
Polidetti vi presiede, facciasegli a il specchio tutto animoso
innante,
presentegli agli occhi ove possono remirar il suo fedo ritratto, dal
cui orrendo
aspetto impetrati perdano ogni perverso senso, moto e vita. -.
11 - Bene ordinato il tutto, dissero gli
dei. Perché è cosa conveniente che
gionto ad Ercule,
che col braccio della Giustizia e bastone del Giudicio è fatto
domator de le
corporee forze, compaia Perseo, che, col specchio luminoso della
dottrina e con la
presentazion del ritratto abominando de la scisma ed eresia,
alla perniciosa
conscienza de gli malfattori ed ostinati ingegni metta il
chiodo,
togliendoli l'opra di lingua, di mani e senso.
12
\ SAUL.\ Venite ora, Sofia, a chiarirmi di quello ch'è ordinato a succedere
a la piazza onde
fece partenza costui.
13
\ SOFIA\ Una virtude in abito e gesti niente dissimile a
costui, che si
chiama Diligenza,
over Sollecitudine; la qual ha ed è avuta per compagna da la
Fatica, in virtù
della quale Perseo fu Perseo, ed Ercole fu Ercole, ed ogni
forte e faticoso
è faticoso e forte; e per cui il pronepote d'Abante
av'intercetto
alle Forcidi il lume, il capo a Medusa, il pennato destriero al
tronco busto, le
sacre poma al figlio di Climene ed Iapeto, la figlia di Cefeo
ed Andromeda al
Ceto, difesa la moglie dal rivale, revista Argo sua patria,
tolto il regno a
Preto, restituito quello a Crisio fratello, vendicatosi su
l'ingrato e
discortese re de l'isola Serifia; per cui, dico, si supera ogni
vigilanza, si
tronca ogni adversa occasione, si facilita ogni camino ed accesso,
s'acquista ogni
tesoro, si doma ogni forza, si toglie ogni cattività, s'ottiene
ogni desio, si
defende ogni possessione, si gionge ad ogni porto, si deprimeno
tutti adversarii,
si esaltano tutti amici e si vendicano tutte ingiurie; e
finalmente si
viene ad ogni dissegno. Ordinò dunque Giove, e questo ordine
approvâro tutti
dei, che la faticosa e diligente Sollecitudine si facesse
innante. Ed ecco
che la comparve, avendosi adattati gli talari de l'impeto
divino con gli
quali calpestra il sommo bene populare, spreggia le blande
carezze de le
voluttadi, che, come Sirene insidiose, tentano di ritardarla dal
corso de l'opra
che la ricerca ed aspetta. Appigliatasi con la sinistra al scudo
risplendente dal
suo fervore, che di stupida maraviglia ingombra gli occhi
desidiosi ed
inerti; compresa con la destra la serpentina chioma di perniciosi
pensieri, a' quai
sottogiace quell'orribil capo, di cui l'infelice volto da
mille passioni di
sdegno, d'ira, di spavento, di terrore, di abominio, di
maraviglia, di
melancolia e di lugubre pentimento disformato, sassifica ed
instupisce
chiunque v'affigge gli occhi; montata su quell'aligero cavallo della
studiosa
perseveranza, con il quale, a quanto si forza, a tanto arriva e giunge,
superando ogni
intoppo di clivoso monte, ritardamento di profonda valle, impeto
di rapido fiume,
riparo di siepe densissime e di quantunque grosse ed alte
muraglia. Venuta
dunque in presenza del sacrosanto senato, udì dal sommo preside
queste paroli: -
Voglio, o Diligenza, che ottegni questo nobil spacio nel cielo;
perché tu sei
quella che nutri con la fatica gli animi generosi. Monta, supera e
passa con uno
spirto, se possibil fia, ogni sassosa e ruvida montagna. Infervora
tanto l'affetto
tuo, che non solo resisti e vinci te stessa, ma, ed oltre, non
abbi senso della
tua difficultade, non abbi sentimento del tuo esser fatica;
perché cossì la
fatica non deve esser fatica a sé, come a se medesimo nessun
grave è grave.
Però non sarai degna fatica, se talmente non vinci te stessa, che
non ti stimi
essere quel che sei, fatica; atteso che, dovunque hai senso di te,
non puoi essere
superiore a te; ma, se non sei depressa o suppressa, vieni al
meno ad essere
oppressa da te medesima. La somma perfezione è non sentir fatica
e dolore, quando
si comporta fatica e dolore. Devi superarti con quel senso di
voluttà, che non
sente voluttà; quella voluttà dico, la quale, se fusse
naturalmente
buona, non verrebe dispreggiata da molti, come principio di morbi,
povertade e
biasimo. Ma tu, Fatica, circa l'opre egregie sii voluttà e non
fatica a te
stessa; vegni, dico, ad esser una e medesima cosa con quella, la
quale fuor di
quelle opre ed atti virtuosi sia a se stessa non voluttà, ma
fatica
intolerabile. Su dunque, se sei virtù, non occuparti a cose basse, a cose
frivole, a cose
vane. Se vuoi esser là dove il polo sublime della Verità ti
vegna verticale,
passa questo Apennino, monta queste Alpi, varca questo
scoglioso Oceano,
supera questi rigorosi Rifei, trapassa questo sterile e gelato
Caucaso, penetra
le inaccessibili erture, e subintra quel felice circolo, dove
il lume è
continuo e non si veggon mai tenebre né freddo, ma è perpetua temperie
di caldo e dove eterna
ti fia l'aurora o giorno. Passa dunque tu, dea
Sollecitudine o
Fatica; e voglio (disse Giove) che la difficultade ti corra
avanti e ti
fugga. Scaccia la Disaventura, apprendi la Fortuna pe' capelli;
affretta, quando
meglio ti pare, il corso della sua ruota; e quando ti sembra
bene, figigli il
chiodo, acciò non scorra. Voglio che teco vegna la Sanità, la
Robustezza,
l'Incolumità. Sia tua scudiera la Diligenza e tuo antesignano sia
l'Esercizio.
Sieguati l'Acquisizione con le munizioni sue, che son Bene del
corpo, Bene de
l'animo, e, se vuoi, Bene de la fortuna; e di questi voglio che
più sieno amati
da te quei che tu medesima hai acquistati, che altri che ricevi
d'altrui: non
altrimente che una madre ama più li figli, come colei che più le
conosce per suoi.
Non voglio che possi dividerti; perché, se ti smembrarai,
parte occupandoti
a l'opre de la mente e parte a l'oprazioni del corpo, verrai
ad esser
defettuosa a l'una e l'altra parte; e se più ti addonarai a l'uno, meno
prevalerai ne
l'altro verso: se tutta inclinarai a cose materiali, nulla vegni
ad essere in cose
intellettuali, e per l'incontro. Ordino a l'Occasione, che
quando fia
mestiero, ad alta voce o con cenno o con silenzio quella chiamatati,
o ti esorti, o ti
alletti, o ti inciti, o ti sforze. Comando alla Comodità ed
Incomodità, che
ti avertiscano quando si possano accollare, e quando si denno
poner giù le
sarcine, como talor quando è necessario transnatare. Voglio che la
Diligenza ti
toglia ogni intoppo; la Vigilanza ti farà la sentinella guardando
circa in circa, a
fin che cosa non ti s'appresse all'improviso; che la Indigenza
ti averta dalla
Sollecitudine e Vigilanza circa cose vane; la quale se non sarà
udita da te,
succeda al fine la Penitenza, la qual ti faccia esperimentar che è
cosa più
laboriosa aver menate le braccia vacue, che con le mani piene aver
tirati sassi. Tu
con gli piedi della Diligenza, quanto puoi, fuggi e ti
affretta, pria
che Forza maggior intervegna e toglia la Libertade over porga
forza ed armi
alla Difficultade.
14
Cossì la Sollecitudine, avendo ringraziato Giove e gli altri, prende il suo
camino e parla in
questa forma: - Ecco, io Fatica muovo gli passi, mi accingo,
mi sbraccio. Via
da me ogni torpore, ogni ocio, ogni negligenza, ogni desidiosa
acedia, fuori
ogni lentezza! Tu, Industria mia, proponite avanti gli occhi della
considerazione il
tuo profitto, il tuo fine. Rendi salutifere quelle altrui
tante calunnie,
quelli altrui tanti frutti di malignitade ed invidia, e quel tuo
raggionevole
timore che ti cacciâro dallo tuo natio albergo, che ti alienaro da
gli amici, che ti
allontanâro dalla patria, e ti bandîro a poco amichevole
contrade. Fa',
Industria mia, meco glorioso quello essilio e travagli, sopra la
quiete, sopra
quella patria tranquillitade, commoditade e pace. Su, Diligenza,
che fai? perché
tanto ociamo e dormiamo vivi, se tanto tanto doviamo ociar e
dormire in morte?
Atteso che, se pur aspettiamo altra vita o altro modo di esser
noi, non sarà
quella nostra, come de chi siamo al presente; percioché questa,
senza sperar
giamai ritorno, eternamente passa. Tu, Speranza, che fai, che non
mi sproni, che
non m'inciti? Su, fa' ch'io aspetti da cose difficili exito
salutare, se non
mi affretto avanti tempo e non cesso in tempo; e non far ch'io
mi prometta cosa
per quanto viva, ma per quanto ben viva. Tu, Zelo, siimi sempre
assistente, a
fine ch'io non tente cose indegne di nume da bene, e che non
stenda le mani a
quei negocii che sieno caggione di maggior negocio. Amor di
gloria,
presentami avanti gli occhi quanto sia brutto a vedere, e cosa turpe di
esser sollecito
della sicurtà nell'entrata e principio del negocio. Sagacità,
fa' che da le
cose incerte e dubie non mi retire, né volte le spalli, ma da
quelle pian piano
mi discoste in salvo. Tu medesima (acciò ch'io non sia
ritrovata da
nemici, ed il furor di quelli non mi s'avente sopra) confondi,
seguendomi, gli
miei vestigi. Tu mi fa menar gli passi per vie distanti da le
stanze de la
Fortuna, perché la non ha lunghe le mani, e non può occupar se non
quelli che gli
son vicini, e non essagita se non color che si trovano dentro la
sua urna. Tu
farai ch'io non tente cosa, se non quando attamente posso; e fammi
nel negocio più
cauta che forte, se non puoi farmi equalmente cauta e forte. Fa'
ch'il mio lavoro
sia occolto e sia aperto: aperto, acciò che non ogniuno il
cerca ed inquira;
occolto, acciò che non tutti, ma pochissimi lo ritroveno.
Perché sai bene
che le cose occolte sono investigate, e le cose inserrate
convitano gli
ladroni. Oltre, quel che appare, è stimato vile, e l'arca aperta
non è
diligentemente ricercata, ed è creduto poco preggiato quello che non si
vede con molta
diligenza messo in custodia. Animosità, con la voce del tuo
vivace fervore,
quando la difficultà mi preme, oltraggia, e resiste, non mancar
sovente
d'intonarmi a l'orecchio quella sentenza: Tu ne cede malis, sed contra
audentior ito.
15 Tu, Consultazion, mi farai intendere
quando mi conviene sciôrre o rompere la
mal impiegata
occupazione; la qual degnamente prenderà la mira non ad oro e
facultadi da
volgari e sordidi ingegni; ma a que' tesori che meno ascosi e
dispersi dal
tempo, son celebrati e colti nel campo de l'eternitade; a fin che
non si dica di
noi, come di quelli: meditantur sua stercora scarabaei. Tu,
Pazienza,
confirmami, affrenami ed administrami quel tuo Ocio eletto, a cui non
è sorella la
Desidia, ma quello che è fratello de la Toleranza. Mi farai
declinar
dall'inquietudine ed inclinare alla non curiosa Sollecitudine. Allora
mi negarai il
correre, quando correr mi cale dove son precipitosi, infami e
mortali intoppi.
Allora non mi farai alzar l'ancora e sciôrre la poppa dal lido,
quando aviene che
mi commetta ad insuperabile turbulenza di tempestoso mare. Ed
in questo mi
donarai ocio di abboccarmi con la Consultazione, la quale mi farà
guardar prima me
stessa; secondo, il negocio ch'ho da fare; terzo, a che fine e
perché; quarto, con
quai circonstanze; quinto, quando; sesto, dove; settimo, con
cui. Amministremi
quell'ocio con cui io possa far cose più belle, più buone e
più eccellenti
che quelle che lascio; perché in casa de l'Ocio siede il
Conseglio, ed ivi
della vita beata, meglior che in altra parte, si tratta. Indi
megliormente si
contemplano le occasioni; da là con più efficacia e forza si può
uscire al
negocio, perché, senza esser prima a bastanza posato, non è possibile
di posser
appresso ben correre. Tu, Ozio, mi administra, per cui io vegna
stimato manco
ocioso che tutti gli altri; percioché per tuo mezzo accaderà, che
io serva a la
republica e defension de la patria più con la mia voce ed
esortazione, che
con la spada, lancia e scudo il soldato, il tribuno,
l'imperatore. Accòstati
a me tu, generoso ed eroico e sollecito Timore; e con il
tuo stimolo fa'
che io non perisca prima dal numero de gl'illustri che dal
numero de vivi.
Fa' che prima che il torpore e morte mi tolga le mani, io mi
ritrove talmente
provisto che non mi possa togliere la gloria de l'opre.
Sollecitudine,
fa' che sia finito il tetto prima che vegna la pioggia; fa' che
si ripare a le
fenestre pria che soffieno gli Aquiloni ed Austri di lubrico ed
inquieto inverno.
Memoria del bene adoperato corso della vita, farai tu che la
senettute e morte
pria mi tolga che mi conturbe l'animo. Tu, tema di perdere la
gloria acquistata
ne la vita, non mi farai acerba, ma cara e bramabile la
vecchiaia e
morte.
16
\ SAUL.\ Ecco qua, o Sofia, la più degna ed onorata ricetta per rimediar
alla tristizia e
dolor che apporta la matura etade, ed all'importuno terror de
la morte che da
l'ora, che abbiamo uso di sensi, suol tiranneggiar il spirto de
gli animanti.
Onde ben disse il nolano Tansillo:
Godon quei, che
non son ingrati al cielo,
E ad alte imprese
non fur freddi e rudi;
Le staggion
liete, allor che neve e gielo
Cadon su i colli
d'erbe e di fior nudi,
Non han di che
dolersi, ancor che, pelo
Cangiando e
volto, cangin vita e studi.
Non ha
l'agricoltor di che si doglia,.
Pur ch'al debito
tempo il frutto coglia.
17
\ SOFIA\ Assai ben detto, Saulino. Ma è tempo che tu ti
retiri; perché ecco
il mio tanto
amico nume, quella grazia tanto desiderabile, quel volto tanto
spettabile da la
parte orientale mi s'avicina.
18
\ SAUL.\ Bene dunque, mia Sofia, domani a l'ora solita, se cossì ti piace, ne
revederemo. Ed io
in questo mentre andarò a delinearmi quel tanto che oggi ho
udito da te, a
fine che megliormente la memoria de tuoi concetti possa, quando
fia bisogno,
rinovarmi, e più comodamente per l'avenir far di quella partecipe
altrui.
19
\ SOFIA\ Maraviglia, che con più del solito frettolose
piume mi viene a
l'incontro; non
lo veggio venir, secondo la sua consuetudine, scherzando col
caduceo e
battendo sì vagamente con l'ali l'aria liquidissimo. Parmi vederlo
turbatamente
negocioso. Ecco, mi rimira, e talmente ha ver' me conversi gli
occhi che fa
manifesto l'ansioso pensiero non pender da mia causa.
20
\ MERC.\ Propizio ti sia sempre il fato, impotente sia
contra di te la rabbia
del tempo, mia
diletta e gentil figlia e sorella ed amica.
21
\ SOFIA\ Che cosa, o mio bel dio, ti fa sì turbato in
vista, benché al mio
riguardo non mi
sei men ch'altre volte liberale di tua tanto gioconda grazia?
perché ti ho
veduto venir come in posta, e più accinto di andar e passar oltre
che disposto de
dimorar alquanto meco?
22
\ MERC.\ La caggion di questo è che sono in fretta mandato
da Giove a
proveder e
riparar a l'incendio che ha cominciato a suscitar la pazza e fiera
Discordia in
questo Regno Partenopeo.
23
\ SOFIA\ In che maniera, o Mercurio, questa pestifera
Erinni s'è da là de le
Alpi ed il mare
aventata a questo nobil paese?
24
\ MERC.\ Dalla stolta ambizione e pazza confidenza d'alcuno
è stata chiamata;
con assai
liberali, ma non meno incerte promesse è stata invitata; da fallace
speranza è stata
commossa; è aspettata da doppia gelosia, la quale nel popolo
adopra il voler
mantenersi nella medesima libertade in cui è stato sempre, ed il
temer di
subintrar più arcta servitude; nel prencipe il suspetto di perder
tutto, per aver
voluto abbracciar troppo.
25
\ SOFIA\ Che cosa è primo origine e principio di questo?
26
\ MERC.\ La grande avarizia che va lavorando sotto pretesto
di voler mantener
la Religione.
27
\ SOFIA\ Il pretesto in vero mi par falso; e se non m'inganno,
è
inexcusabile:
perché non si richiede riparo o cautela dove nessuna ruina o
periglio
minaccia, dove gli animi son tali quali erano, ed il culto di quella
dea non cespita
in queste come in altre parti.
28
\ MERC.\ E quando ciò fusse, non tocca a l'Avarizia, ma
alla Prudenza e
Giustizia di
rimediarvi; perché ecco, che quello ha commosso il popolo a furore,
ed a la occasione
pare aver tempo d'invitar gli animi rubelli a non tanto
defendere la giusta
libertà, quanto ad aspirar ad ingiusta licenza, e governarsi
secondo la
perniciosa e contumace libidine, a cui.sempre fu prona la moltitudine
bestiale.
29
\ SOFIA\ Dimmi, se non ti è grave, in che maniera dite che
l'Avarizia vuol
rimediare?
30
\ MERC.\ Aggravando gli castighi de delinquenti, di sorte
che della pena d'un
reo vegnano
equalmente partecipi molti innocenti, e tal volta gli giusti; e con
ciò vegna a farsi
sempre più e più grasso il prencipe.
31
\ SOFIA\ È cosa naturale che le pecore ch'hanno il lupo per
governatore,
vegnano castigate
con esser vorate da lui.
32
\ MERC.\ Ma è da dubitare che qualche volta sia sufficiente
la sola cupa fame
ed ingordiggia
del lupo a farle colpevoli. Ed è contra ogni legge, che per
difetto del
padre, vegnano multati gli agnelli e la madre.
33
\ SOFIA\ È vero che mai ho trovato tal giudizio se non tra'
fieri barbari, e
credo che prima
fusse trovato tra' Giudei, per esser quella una generazione
tanto pestilente,
leprosa e generalmente perniciosa, che merita prima esser
spinta che nata.
Sì che, per venire al nostro proposito, questa è la caggione
che ti tien
turbato, suspeso, e per cui fia mestiero che subito mi lasci?
34
\ MERC.\ Cossì è; ho voluto far questo camino per
convenirti prima che giunga
a le parti, dove
ho drizzato il volo, per non farti vanamente aspettare, e non
mancar a la
promessa che feci ieri. A Giove ho mosso qualche proposito de casi
tuoi, e lo veggio
più ch'al solito inchinato a compiacerti. Ma per quattro o
cinque giorni, ed
oggi tra gli altri, io non ho ocio di trattar e conferir teco
quello che
doviamo negociare in proposito de l'instanza che devi fare; però arai
pazienza in
questo mentre, atteso che meglio è trovar Giove ed il senato
feriante da altri
impacci, che in quella maniera che puoi credere che sia al
presente.
35
\ SOFIA\ Mi piace l'aspettare, perché con questo che la
cosa verrà proposta
più tardi, potrà
anco megliormente essere ordinata. Ed a dire il vero, io in
gran fretta (per
non mancar il mio dovero per la promessa che ti avevo fatta di
commetterti oggi
la richiesta) non ho possuto satisfar a me medesima, atteso che
penso che le cose
denno essere esposte più per particolare che non ho fatto in
questa nota; la
quale ecco vi porgo, perché veggiate (se vi occorrerà ocio per
il camino) la
somma de le mie querele.
36
\ MERC.\ Io vedrò questa; ma voi farrete bene di servirvi
della commodità di
questo tempo per
far più lungo e distinto memoriale, a fine che si possa a pieno
provedere al
tutto. Io adesso per la prima, per confondere la forza, voglio
andar a suscitar
l'Astuzia; acciò che gionta a l'Inganno, dettar possa una
lettera di
tradimento contra la pretenduta ambiziosa Ribellione; per la qual
finta lettera si
diverta l'empito maritimo del Turco, ed obste al Gallico furore
ch'a lunghi passi
da qua de l'Alpi per terra s'avicina. Cossì per difetto di
Forza si spinga
l'ardire, si tranquille il popolo, s'assicure il prencipe, ed il
timore spinga la
sete de l'Ambizione ed Avarizia senza bere. E con ciò al fine
vegna richiamata
la bandita Concordia, e posta nella sua catedra la Pace,
mediante la
confirmazione dell'antiqua Consuetudine di vivere, con abolizione di
perigliosa
ed.ingrata Novitade.
37
\ SOFIA\ Va dunque, mio Nume, e piaccia al fato che
felicemente vegnano
adempiti i tuoi
dissegni, perché non vegna la mia nemica guerra a turbar il
stato mio, non
meno che quel de gli altri.
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