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Giordano Bruno
Spaccio de la bestia trionfante

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  • Dial. 3
    • Seconda parte del terzo dialogo.
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Seconda parte del terzo dialogo.

1 \ SOFIA\ Allora Saturno fece instanza a Giove, che nel disponere delle altre

sedie fusse più ispedito, perché la sera s'approssimava; e che solamente

s'attendesse al negocio principale di levare e mettere; e quanto a quello

ch'appartiene a l'ordine con cui le virtù di dee ed altri si debano governare,

si determinarà verso la più prossima festa principale, quando converrà

ch'un'altra volta li dei convegnano insieme, che sarà la vigilia del Panteone.

Alla cui proposta con un chino di testa fêrno segno tutti gli altri dei di

consentire, eccetto la Pressa, la Discordia, l'Intempestività ed altri. - Cossì

pare ancora a me, disse l'altitonante. - Su, dunque, soggionse Cerere: dove

vogliamo inviar il mio Triptolemo, quel carrettiero che vedete , quello per

cui diedi il pane di frumento a gli uomini? Volete ch'io lo mande alle contrade

de l'una e l'altra Sicilia, dove faccia la residenza; come vi ha tre tempii

miei, che per sua diligenza ed opra mi fûro consecrati, l'uno nella Puglia,

l'altro nella Calabria, l'altro nell'istessa Trinacria? - Fate quel che vi piace

del vostro cultore e ministro, o figlia, disse Giove. Alla cui sedia succeda, se

cossì pare a voi ancora, dei, la Umanità, che in nostro idioma è detta la dea

Filantropia; di cui questo auriga massimamente par che sia stato il tipo. Lascio

che lei fu che spinse te, Cerere, ad inviarlo, e che poi guidò lui ad eseguire i

tuoi benefìci verso il geno umano. - Cossì è certo, disse Momo; percioché lei è

quella per cui Bacco fa ne gli uominibel sangue, e Cererebella carne

quale essere non posseva nel tempo de castagne, fave e ghiande. A questa dunque

la Misantropia fugga avanti con la Egestade; e come è consueto e raggionevole,

de le due ruote del suo carro la sinistra sia il Conseglio, la destra sia

l'Aggiuto; e de' doi mitissimi draghi che tirano il temone, da la sinistra sarà

la Clemenzia, da la destra il Favore.

2 Propose appresso Momo a Mercurio quel che volesse fare del Serpentauro,

perché gli parea buono ed accomodato per inviarlo a far il Marso chiarlatano,

avendo quella grazia di maneggiar senza timore e periglio un tale e tanto

serpente. Propose anco del serpente al radiante Apolline, se lo volea per cosa

da servire a' suoi maghi e malefici, come è dire alle sue Circe e Medee per

esecutar gli veneficii; o ver lo volea concedere a' suoi medici, come è dire ad

Esculapio per farne tiriaca. Propose oltre a Minerva, se quest'uno gli avesse

possuto servire per inviarlo a far vendetta di qualche risorto nemico Laocoonte.

Prendalo chi lo vuole, disse il gran Patriarca; e facciane quel che si voglia,

tanto del serpe, quanto de l'Ofiulco, pur che si tolgano da ; ed in suo luogo

succeda la Sagacità, la qual suole vedersi ed admirarsi nel Serpente. - Succeda

dunque la Sagacitade, dissero tutti, atteso che non è men degna del cielo che la

sua sorella Prudenza; perché dove quella sa comandare e mettere in ordine quel

che s'è da fare e lasciare per venire a qualche dissegno, questa sappia prima e

poi giudicare per forza di buona intelligenza, che la è; e discaccia la

Grossezza, Inconsiderazione ed Ebetudine da le piazze, dove le cose si metteno

in dubio o in consultazione. Dalli vasi della sapienza imbeva il sapere, onde

concepa e parturisca atti di Prudenza.

3 - Della Saetta, disse Momo, perché io mai fui curioso di saper a chi

appartenesse, cioè, se fusse quella con cui Apolline uccise il gran Pitone, o

pur quella per cui madonna Venere fece al suo poltroncello impiagar il feroce

Marte, che per vendetta poi a quella cruda ficcò un pugnal sotto la pancia in

sino a l'elsa; o pur una memorabile con la qual Alcide dismese la Regina de le

Stimfalidi; o l'altra per cui l'apro Calidonio dié l'ultimo crollo; o ver sia

reliquia o trofeo di qualche trionfo di Diana la castissima. Sia che si vuole,

riprendesila il suo padrone, e se la ficche dove gli piace.

4 - Bene, rispose Giove, tolgasi da insieme con la Insidia, la Calumnia, la

Detrazione, atto de Invidia, e la Maldicenza; ed ivi succeda la buona

Attenzione, Observanza, Elezione e Collimazion di regolato intento. E soggionse:

De l'Aquila, ucello divino ed eroico e tipo de l'Imperio, io determino e voglio

cossì, che vada a ritrovarsi in carne ed in ossa nella bibace Alemagna: dove più

che in altra parte si trovarà celebrata in forma, in figura, in imagine ed in

similitudine, in tante pitture, in tante statue, in tante celature, quanto nel

cielo stelle si possono presentar a gli occhi de la Germania contemplativa. La

Ambizione, la Presunzione, la Temeritade, la Oppressione, la Tirannia ed altre

compagne e ministre di queste dee non bisogna che le mene seco dove li

bisognarebbe a tutte star in ocio; percioché la campagna non è troppo larga per

esse; ma prendano il suo volo lungi da quel diletto almo paese, dove gli scudi

son le scudelle, le celate son le pignatte e lavezzi, gli brandi son l'ossa

inguainate in carne salata, le trombe son gli becchieri, urcioli e gli bocali,

gli tamburi son gli barilli e botte, il campo è la tavola da bere, volsi dir da

mangiare; le forterezze, gli baloardi, gli castegli, li bastioni son le cantine,

le popine, le ostarie, che son di più gran numero che le stanze medesime. - Qua

Momo disse: - Perdonami, gran padre, s'io t'interrompo il parlare. A me pare che

queste dee compagne e ministre, senza che vi le mandi, vi si trovano; perché

l'Ambizione circa l'essere superiore a tutti in farsi porco; la Presunzione del

ventre, che pretende di ricevere non meno di alto che da alto vaglia mandar a

basso il gorgazuolo; la Temeritade, con cui vanamente il stomaco tenta digerire

quel che or ora, presto presto è necessario di vomire; la Oppressione de sensi e

natural calore; la Tirannia della vita vegetativa, sensitiva ed intellettiva

regnano più in questa sola che in tutte l'altre parti di questo globo. - È vero,

o Momo, soggionse Mercurio; ma tali Tirannie, Temeritadi, Ambizioni ed altre

simili cacodee, con le loro cacodemonesse, non son punto aquiline, ma da

sanguisughe, pacchioni, sturni e ciacchi. Appresso, per venire al proposito

della sentenza di Giove, la mi par molto pregiudiziosa alla condizione, vita e

natura di questo regio ucello; il quale, perché poco beve e molto mangia e vora,

perché ha gli occhi tersi e netti, perché è veloce nel corso, perché e con la

levità de l'ali sue sopravola al cielo ed è abitante di luoghi secchi, sassosi,

alti e forti, non può aver simbolo ed accordo con generazion campestre; ed a cui

la doppia soma degli bragoni par che a forte contrapeso le impiomba verso il

profondo e tenebroso centro; e che si fa gentetarda e greve, non tanto

inetta a perseguitare e fuggire, quanto buona a tener fermo ne le guerre; e che

per la gran parte è soggetta al mal degli occhi, e che incomparabilmente più

beve che mangia. - Quel che ho detto, è detto, rispose Giove. Dissi, che vi si

presente in carne ed in ossa per veder gli suoi ritratti; ma non già, che vi

stia come in prigione, o che manca di trovarsi , dovunque è in spirito e

veritade con altre e più degne raggioni con gli già detti numi: e questa sedia

gloriosa lancie a tutte quelle virtudi, de le quali può esser stata vicaria:

come è dire, a la dea Magnanimità, Magnificenza, Generosità ed altre sorelle e

ministre di costoro.

5 - Or che faremo, disse Nettuno, di quel Delfino? Piacevi ch'io lo metta nel

mar di Marseglia, onde per il Rodano fiume vada e rivegna a volte a volte,

visitando e rivisitando il Delfinato? - Cossì si faccia presto, disse Momo;

perché, a dire il vero, non mi par cosa meno da ridere, se alcuno

Delphinum caelis appinxit, fluctibus aprum,

che se

Delphinum sylvis appinxit, fluctibus aprum.

6 - Vada, dove piace a Nettuno, disse Giove; ed in suo luogo succeda la figurata

Dilezione, Affabilità, Officio con gli suoi compagni e ministri. - Dimandò

Minerva che il cavallo Pegaseo, lasciando le vinti lucide macchie e la

Curiositade, se ne vada al fonte caballino già per molto tempo confuso,

destrutto ed inturbidato da bovi, porci ed asini; e veda, se con gli calci e

denti possa far tanto che vendiche quel loco da sì villano concorso: a fin che

le Muse, veggendo l'acqua del fonte posta in buono ordine e rassettata, non si

sdegnino di ritornarvi, e farvi gli lor collegii e promozioni. Ed in questo

luogo del cielo succeda il Furor divino, il Rapto, l'Entusiasmo, il Vaticinio,

il Studio ed Ingegno con gli lor cognati e ministri, onde eternamente da su

l'acqua divina, per lavar gli animi ed abbeverar gli affetti, stille a gli

mortali. - Tolgasi, disse Nettuno, questa Andromeda, se cossì piace a voi dei;

la quale per la mano de l'Ignoranza è stata avinta al scoglio dell'Ostinazione

con la catena di perverse raggioni e false opinioni, per farla traghiuttir dal

ceto della perdizione e final ruina, che per l'instabile e tempestoso mare va

discorrendo; e sia commessa alle provide ed amiche mani del sollecito, laborioso

ed accorto Perseo, ch'avendola indi disciolta e tolta, dall'indegna cattività la

promova al proprio degno acquisto. E di quel che deve succedere al suo loco tra

le stelle dispona Giove. - , rispose il padre de gli dei, voglio che succeda

la Speranza, quella che, co' l'aspettar frutto degno delle sue opre e fatiche,

non è cosa tanto ardua e difficile a cui non accenda gli animi tutti, i quali

aver possono senso di qualche fine. - Succeda, rispose Pallade, quel santissimo

scudo del petto umano, quel divino fundamento de tutti gli edificii di bontade,

quel sicurissimo riparo della Veritade; quella che per strano accidente

qualsivoglia mai si diffida, perché sente in sé stessa gli semi della propria

sufficienza, li quali da quantunque violento polso non gli possono essere

defraudati; quella in virtù della quale è fama che Stilbone vencesse la vittoria

de' nemici; quel Stilbone, dico, il quale scampato da le fiamme che

gl'incinerivano la patria, la casa, la moglie, i figli e le facultadi, a

Demetrio rispose aver tutte le cose sue seco, perché seco avea quella Fortezza,

quella Giustizia, quella Prudenza, per quali meglio possea sperar consolazione,

scampo e sustegno di sua vita; e per le quali facilmente il dolce di questa

sprezzarebbe. - Lasciamo questi colori, disse Momo, e vengasi presto a veder

quello che si de' fare di quel Triangolo o Delta. - Rispose la astifera Pallade:

Mi par degno che sia messo in mano del Cardinal di Cusa, a fin che colui veda,

se con questo possa liberar gli impacciati geometri da quella fastidiosa

inquisizione della quadratura del circolo, regolando il circolo ed il triangolo

con quel suo divino principio della commensurazione e coincidenza de la massima

e minima figura: cioè di quella che costa di minimo, e de l'altra che costa di

massimo numero degli angoli. Portisi dunque questo trigono con un circolo ch'il

comprende, e con un altro che da lui sia compreso; e con la relazione di queste

due linee (de quali l'una dal centro va al punto della contingenzia del circolo

interno con il triangolo esterno; l'altra dal medesimo centro si tende a l'uno

de gli angoli del triangolo) vegna a compirsi quella tanto tempo e tanto

vanamente cercata quadratura.

7 Qua risorse Minerva, e disse: - Ma io, per non parer meno cortese a le Muse,

voglio inviar a gli geometri incomparabilmente maggiore e meglior dono, che

questo ed altro che sia sin ora donato; per cui il Nolano, al quale fia

primieramente revelato, e dalla cui mano venga diffuso alla moltitudine, mi

debbia non solamente una, ma cento ecatombi; perché in virtù della contemplazion

de l'equità che si trova tra il massimo e minimo, tra l'extimo ed intimo, tra il

principio e fine, gli porgo una via più feconda, più ricca, più aperta e più

sicura; la quale non solamente dimostre como il quadrato si fa uguale al

circolo, ma, ed oltre, subito, ogni trigono, ogni pentagono, ogni exagono, e

finalmente qualsivoglia e quantosivoglia poligònia figura; dove non meno fia

uguale linea a linea che superficie a superficie, campo a campo, e corpo a corpo

nelle solide figure.

8 \ SAUL.\ Questa sarà cosa eccellentissima, ed un tesoro inestimabile per gli

cosmimetri.

9 \ SOFIA\ Tanto eccellente e degna, che certo parmi che contrapese a

l'invenzione di tutto il rimanente della geometrica facultade. Anzi da qua pende

un'altra più intiera, più grande, più ricca, più facile, più esquisita, più

breve e niente men certa; la quale qualsivoglia figura poligònia viene ad

comensurare per la linea e superficie del circolo; ed il circolo per la linea e

superficie di qualsivoglia poligonìa.

10 \ SAUL.\ Vorrei quanto prima intendere il modo.

11 \ SOFIA\ Cossì disse Mercurio a Minerva; a cui quella rispose: - Prima (nel

modo che tu fatto hai) dentro questo triangolo descrivo un circolo, che massimo

discriver vi si possa; appresso fuor di questo triangolo ne delineo un altro che

minimo delinear si possa sin al contatto de gli tre angoli; e quindi non voglio

procedere a quella tua fastidiosa quadratura, ma al facile trigonismo, cercando

un triangolo che abbia la linea uguale alla linea del circolo, ed un altro che

vegna ad ottenere la superficie uguale alla superficie del circolo. Questo sarà

uno circa quel triangolo mezzano, equidistante da quello che contiene il

circolo, e quell'altro ch'è contenuto dal circolo; il quale lascio, che con il

proprio ingegno altri lo prenda cossì, perché mi basta aver mostrato il luogo

de' luoghi. Cossì, per quadrare il circolo, non fia mestiero di prendere il

triangolo, ma il quatrangolo che è tra il massimo interno e minimo esterno al

circolo. Per pentagonare il circolo, prenderassi il mezzo tra il massimo

pentagono contenuto dal circolo e minimo continente del circolo. Similmente

farassi sempre, per far qualsivoglia altra figura uguale al circolo in campo ed

in linea. Cossì oltre, per essere trovato il circolo del quadrato uguale al

circolo del triangolo, verrà trovato il quadrato di questo circolo pare al

triangolo di quell'altro circolo, di medesma quantità con questo.

12 \ SAUL.\ In questo modo, o Sofia, si possono far tutte l'altre figure uguali

ad altre figure con l'aggiuto e relazione del circolo, che fate misura de le

misure. Cioè, se voglio far un triangolo equale al quatrangolo, prendo quel

mezzano tra gli doi apposti al circolo, con quel mezzano tra doi quatrangoli

apposti al medesimo circolo, o ver ad un altro uguale. Se voglio prendere un

quadrato uguale a l'exagono, delinearò dentro e fuori del circolo e questo e

quello, e prenderò quel mezzano tra gli doi de l'uno e l'altro.

13 \ SOFIA\ Bene l'hai capito. In tanto che quindi non solamente s'ha la

equatura di tutte le figure al circolo, ma ed oltre di ciascuna de le figure a

tutte l'altre mediante il circolo, serbando sempre l'equalità secondo la linea e

secondo la superficie. Cossì con picciola considerazione o attenzione ogni

equalità e proporzione di qualsivoglia corda a qualsivogli'arco si potrà

prendere, mentre o intiera, o divisa, o con certe raggioni aumentata viene a

constituir poligonìa tale, che in detta maniera da cotal circolo sia compresa, o

lo comprenda.

14 - Or definiscasi presto, disse Giove, di quel che vogliamo collocarvi. -

Rispose Minerva: - Mi par, che vi stia bene la Fede e Sinceritade, senza la

quale ogni contratto è perplesso e dubio, si dissolve ogni conversazione, ogni

convitto si destrugge. Vedete a che è ridutto il mondo, per esser messo in

consuetudine e proverbio, che per regnare non si osserva fede. Oltre:

agl'infideli ed eretici non si osserva fede. Appresso: si franga la fede a chi

la rompe. Or che sarà, se questo si mette in prattica da tutti? A che verrà il

mondo, se tutte le republiche, regni, dominii, fameglie e particolari diranno,

che si deve esser santo col santo, perverso col perverso? e si faranno iscusati

d'esser scelerati, perché hanno il scelerato per compagno o vicino? e pensaranno

che non doviamo forzarci ad esser buoni assolutamente, come fusseno dei, ma per

commoditade ed occasione, come gli serpenti, lupi ed orsi, tossichi e veneni? -

Voglio, soggionse il padre, che la Fede sia tra le virtudi celebratissima; e

questa, se non sarà data con condizione d'un'altra fede, mai sia lecito di

rompersi per la rottura de l'altra, atteso che è legge da qualche Giudeo e

Sarraceno bestiale e barbaro, non da Greco e Romano civile ed eroico, che alcuna

volta e con certe sorte di genti, sol per propria commoditade ed occasion

d'inganno, sia lecito donar la fede, con farla ministra di tirannia e

tradimento.

15 \ SAUL.\ O Sofia, non è offesa più infame, scelerosa ed indegna di

misericordia, che quella che si fa ad uno per un altro, per causa che l'uno ha

creduto a l'altro; e l'uno vegna offeso da l'altro, per avergli porgiuta fede,

stimandolo uomo da bene.

16 \ SOFIA\ - Voglio dunque, disse l'altitonante, che questa virtù compaia

celebrata in cielo, acciò vegna per l'avenire più stimata in terra. Questa si

veda nel luogo in cui si vedea il Triangolo, da cui comodamente è stata ed è

significata la Fede; perché il corpo triangulare (come quello che costa di minor

numero di angoli ed è più lontano da l'esser circulare) è più difficilmente

mobile che qualsivoglia altrimente figurato. Cossì viene purgata la spiaggia

settentrionale, dove comunmente son notate trecento sessanta stelle: tre

maggiori, diece ed otto grandi, ottanta ed una mediocri, cento settanta sette

picciole, cinquanta ed otto minori, tredeci minime, con una nebbiosa e nove

oscure.

17 \ SAUL.\ Or espediscasi d'apportare brevemente quel che fu fatto del resto.

18 \ SOFIA\ - Decerni, o padre, disse Momo, di quel che doviam fare di quel

protoparente de li agnelli; quello che primieramente fa da la terra uscire le

smorte piante, quello ch'apre l'anno e di novo florido e frondoso manto

ricoprisce quella ed invaghisce questo. - Perché dubito, disse Giove, mandarlo

con que' di Calabria, o Puglia, o de la Campania felice, dove sovente dal rigor

de l'inverno sono uccisi; né mi par convenevole inviarlo tra gli altri delle

Africane pianure e monti, dove per il soverchio calore scoppiano; mi par

convenientissimo ch'egli si trove circa il Tamisi, dove ne veggio tanti belli,

buoni, grassi, bianchi e snelli. E non son smisurati, come nella regione circa

il Nigero; non negri, come circa il Silere ed Ofito; non macilenti, come circa

il Sebeto e Sarno; non cattivi, qual circa il Tevere ed Arno; non brutti a

vedere, come circa il Tago; atteso che quel luogo quadra alla staggione a cui è

predominante, per esservi, più ch'in altra parte, oltre e citra l'Equinoziale,

temperato il cielo; ché dalla supposta terra essendo bandito l'eccessivo rigor

de le nevi e soverchio fervor del sole, come testifica il perpetuamente verde e

florido terreno, la fa fortunata, come di continua e perpetua primavera. Giongi

a questo che ivi, compreso dalla protezion de le braccia dell'ampio Oceano, sarà

sicuro da lupi, leoni ed orsi, ed altri fieri animali e potestadi nemiche di

terra ferma. E perché questo animale tiene del prencipe, del duca, del

conduttiero; ha del pastore, del capitano e guida; come vedete in cielo, dove

tutti li segni di questo cingolo del firmamento gli correno a dietro; e come

scorgete in terra, dove quando lui si balza o si precipita, quando diverte o

s'addrizza, quando declina o poggia, viene facilissimamente tutto l'ovile ad

imitarlo, consentirgli e seguitarlo; voglio ch'in suo luogo succeda la virtuosa

Emulazione, la Exemplarità e buono Consentimento con altre virtudi sorelle e

ministre; a le quali contrarii sono il Scandalo, il Male Essempio; che hanno per

ministra la Prevaricazione, la Alienazione, il Smarrimento; per guida la Malizia

o l'Ignoranza, o l'una e l'altra insieme; per seguace la stolta Credulitade; la

qual, come vedete, è orba e tenta il camino tastando col bastone della oscura

inquisizione e pazza persuasione; per compagna perpetua la Viltade e

Dappocagine; le quali tutte insieme lascino queste sedie e vadano raminghe per

la terra.

19 - Bene ordinato - risposero li dei tutti. E dimandò Giunone, che far volesse

di quel suo Tauro, di quel suo bue, di quel consorte del santo Presepio. Alla

quale rispose: -Se non vuole andar vicino a l'Alpi, alle rive del Po, dico alla

metropoli del Piamonte, dove è la deliciosa città di Taurino, denominata da lui,

come da Bucefalo Bucefalia, dalle capri l'isole che sono al rimpetto di

Partenope verso l'occidente, Corveto in Basilicata da' corvi, Mirmidonia da le

formiche, dal Delfino il Delfinato, da gli cinghiali Aprutio, Ofanto da'

serpenti, ed Oxonia da non so qual altra specie; vada per compagno al prossimo

Montone; dove (come testificano le lor carni che per la commodità dell'erbe

fresche e delicatura de pascoli vegnono ad essere le più preggiate del mondo) ha

gli più bei consorti che veder si possano nel rimanente del spacio de

l'universo. - E dimandò Saturno del successore; a cui rispose così: - Per esser

questo un animal, che dura alle fatiche, pazientemente laborioso, voglio che sin

ora sia stato tipo della Pazienza, Toleranza, Sufferenza e Longanimitade,

virtudi in vero molto necessarie al mondo; e quindi seco si partano (benché non

mi curo che seco vadano o non vadano) l'Ira, l'Indignazione, il Furore, che

sogliono accompagnarsi con questo talvolta stizzoso animale. Qua vedete uscir

l'Ira figlia, che è parturita da l'apprension d'Ingiustizia ed Ingiuria; e

partesi dolorosa e vendicativa, perché gli par inconveniente ch'il Dispreggio la

guate e gli percuota le guance. Come ha gli occhi infocati rivolti a Giove, a

Marte, a Momo, a tutti! Come li va a l'orecchio la Speranza de la vendetta, che

la consola alquanto e l'affrena, con mostrargli il favor della Possibilitade

minacciosa contra il Dispetto, la Contumelia ed il Strazio, suoi provocatori!

l'Impeto, suo fratello, che gli dona forza, nerbo e fervore; la Furia

sorella, che l'accompagna con le tre sue figlie, cioè Excandescenzia, Crudeltade

e Vecordia. O quanto è difficile e molesto di contemprarla e reprimerla! O

quanto malaggiatamente può esser concotta e digerita da altri dei, che da te,

Saturno; questa, che ha le narici aperte, la fronte impetuosa, la testa dura,

gli denti mordaci, le labbia velenose, la lingua tagliente, le mani graffiose,

il petto tossicoso, la voce acuta, ed il color sanguigno. - Qua Marte fece

instanza per l'Ira, dicendo ch'ella alcuna volta, anzi più de le volte, è

virtude necessariissima, come quella che favorisce la Legge, forza alla

Verità, al Giudicio; ed acuisce l'Ingegno, ed apre il camino a molte egregie

virtudi, che non capiscono gli animi tranquilli. A cui Giove: - Che allora, ed

in quel modo con cui è virtù, sussista e consista tra quelle, a quali si fa

propicia; però mai s'accoste al cielo senza che gli vada innante il Zelo con la

lanterna de la Raggione.

20 - E che farremo de le sette figlie d'Atlante, o Padre? -disse Momo. A cui

Giove: - Vadano con le sue sette lampe a far lume a quel notturno e merinoziale

santo sponsalizio; ed avertiscano d'andar prima che la porta si chiuda e che

comincie da sopra a destillar il freddo, il ghiaccio, la bianca neve, atteso che

allora in vano alzaranno le voci e picchiaranno, perché gli sia aperta la porta,

rispondendogli il portinaio che tiene la chiave: Non vi conosco. Avisatele che

saran pazze, se faranno venir meno l'oglio a la lucerna; la qual se fia umida

sempre e non mai secca, averrà che non sieno tal volte prive di splendor di

degna laude e gloria. Ed in questa region che lasciano, vegna a metter la sua

stanza la Conversazione, il Consorzio, il Connubio, la Confraternitade,

Ecclesia, Convitto, Concordia, Convenzione, Confederazione; ed ivi sieno gionte

a l'Amicizia, perché, dove non è quella, in suo luogo è la Contaminazione,

Confusione e Disordine. E se non son rette, non sono esse; perché mai si trovano

in verità (benché il più de le volte in nome) tra scelerati; ma hanno verità di

Monopolio, Conciliabulo, Setta, Conspirazione, Turba, Congiurazione, o cosa

d'altro nome ed essere detestabile. Non sono tra irrazionali e quei che non

hanno proponimento di buon fine; non dove è l'ocioso medesimo credere ed

intendere; ma dove si concorre a medesima azione circa le cose similmente

intese. Perseverano tra buoni; e son brevi ed inconstanti tra perversi, come tra

quei de quali dissemo in proposito della Legge e Giudicio, nelli quali non si

trova veramente concordia, come color che non versano circa virtuose azioni.

21 \ SAUL.\ Quei non sono concordi per parimente intendere, ma nel parimente

ignorare e malignare e nel non intendere secondo diverse raggioni. Quelli non

consenteno in parimente oprare a buon fine, ma in far parimente poco caso di

buone opre e stimar indegni tutti gli atti eroici. Ma torniamo a noi. Che si fe'

de' doi giovanetti?

22 \ SOFIA\ Cupido le dimandò per il gran Turco; Febo volea che fussero paggi di

qualche principe italiano; Mercurio, che fussero cubicularii de la gran camera.

A Saturno parea che servissero per iscaldatoio di qualche vecchio e gran

prelato, o pur a lui, povero decrepito. A cui Venere disse: - Ma chi, o barba

bianca, le assicura che non gli dii di morso che non li mangi, se gli tuoi denti

non perdonano a' proprii figli, per gli quali sei diffamato per parricida

antropofago? - E peggio, disse Mercurio, che è dubio, che per qualche ritrosa

stizza che l'assale, non gli piante quella punta di falce su la vita. Lascio

che, se pur a questi può esser donato di rimaner in corte de gli dei, non sarà

più raggione che toccano a voi, buon padre, che ad altri molti non meno

reverendi che vi possono aver aperti gli occhi. - Qua sentenziò Giove, che non

permetteva che in posterum in corte de gli dei si admettano paggi o altri

servitori che non abbiano molto senno, discrezione e barba. E che questi si

mettessero alle sorti, mediante le quali si definisse a chi de gli dei toccasse

di farne provisione per qualche amico in terra. - E mentre alcuni instavano che

ne determinasse lui, disse che non volea per queste cose gelose generar

suspizion di parzialità ne gli lor animi, quasi inchinando più ad una che ad

un'altra parte di discordanti.

23 \ SAUL.\ Buono ordine, per riparare a le dissenzioni ch'arrebono possute

accadere per questi!

24 \ SOFIA\ Chiese Venere che in luogo succedesse l'Amicizia, l'Amore, la Pace,

con gli lor testimoni Contubernio, Bacio, Imbracciamento, Carezze, Vezzi, e gli

tutti fratelli e servitori, ministri, assistenti e circonstanti del gemino

Cupido. - La dimanda è giusta, - dissero gli dei tutti. -Che si faccia, - disse

Giove. Appresso, dovendosi definire del Granchio (il quale, perché appar

scottato dall'incendio del foco e fatto rosso dal calor del sole, non si trova

altrimente in cielo che se fusse condannato a le pene de l'inferno), dimandò

Giunone, come di cosa sua, che ne volesse far il senato; di cui la più gran

parte lo rimese al suo arbitrio. E lei disse che, se Nettuno, dio del mare, il

comportava, arrebe desiderato che s'attuffasse a l'onde del mare Adriatico,

dove ha più compagni che non ha stelle in cielo. Oltre, che sarà appresso

l'onoratissima Republica Veneziana la qual, come fusse anch'ella un granchio, a

poco a poco da l'oriente sen va verso l'occidente retrogradando. Consentì quel

Dio che porta il gran tridente. E Giove disse, che in loco del Cancro starà bene

il tropico della Conversione, Emendazione, Repressione, Ritrattazione, virtudi

contrarie al Mal progresso. Ostinazione e Pertinacia; e subito soggionse il

proposito del Leone, dicendo: - Ma questo fiero animale guardisi di seguitar il

Cancro e di voler ancora farsegli compagno; perché, se va a Venezia, trovarà

ivi un altro, più che lui essere possa, forte; percioché quello non solo sa

combattere in terra, ma oltre guerreggia bene in acqua, e molto meglio in aria,

atteso che ha l'ali, è canonizato, ed è persona di lettere: però sarà più

espediente per lui di calarsene a gli Libici deserti dove trovarà moglie e

compagni. E mi par che a quella piazza si debba transferir quella Magnanimità,

quella eroica Generositade, che sa perdonar a' soggetti, compatir a gl'infermi,

domar l'Insolenza, conculcar la Temeritade, rigettar la Presunzione e debellar

la Suberbia. - Assai bene! - disse Giunone e la maggior parte del concistoro.

Lascio di riferire con quanto grave, magnifico e bello apparato e gran comitiva

se ne andasse questa virtude; perché al presente, per la angustia del tempo,

voglio che vi baste di udire il principale circa la riforma e disposizione delle

sedie; essendo che sono per informarvi di tutto il resto quando sedia per sedia

vi condurrò vedendo ed essaminando queste corti.

25 \ SAUL.\ Bene, o cara Sofia. Molto mi appaga la tua cortesissima promessa;

però son contento, che con la maggior brevità, che vi piace, mi doniate saggio

dell'ordine e spaccio dato all'altre sedie e cangiamenti.

26 \ SOFIA\ - Or, che sarà della Vergine? - dimandò la casta Lucina, la

cacciatrice Diana. - Fategli, rispose Giove, intendere se la vuole andare ad

esser priora o abbatessa delle suore o monache, le quali son ne' conventi o

monasterii de l'Europa; dico, in que' luoghi dove non son state messe in rotta e

dispersione da la peste; o pur a governar le damigelle de le corti, a fin che

non le assalte la gola di mangiar li frutti avanti o fuor de la staggione, o

rendersi compagne de le lor signore. - Oh, disse Dittinna, che non puote; e dice

che non vuole in punto alcuno ritornar onde è una volta scacciata, e donde è

tante volte fuggita. -Il protoparente suggionse: - Tegnasi dunque ferma in

cielo, e guardisi bene di cascare, e veda di non farsi contaminare in questo

loco. - Disse Momo: - Mi par che la potrà perseverar pura e netta, si

perseverarà di esser lungi da animali raggionevoli, eroi e dei, e si terrà tra

le bestie, come sin al presente è stata, avendo da la parte occidentale il

ferocissimo Leone, e dall'oriente il tossicoso Scorpio. Ma non so come si

portarà adesso, dove gli è prossima la Magnanimitade, l'Amorevolezza, la

Generositade e Virilitade, che facilmente montandogli a dosso, per raggion di

domestico contatto facendoli contraere del magnanimo, amoroso, generoso e

virile, da femina la faranno dovenir maschio, e da selvaggia ed alpestre dea, e

nume da Satiri, Silvani e Fauni, la convertiranno in nume galante, umano,

affabile ed ospitale. - Sia quel che deve essere, rispose Giove; ed intra tanto,

gionte a lei nella medesima sedia sieno la Castità, la Pudicizia, la Continenza,

Purità, Modestia, Verecundia ed Onestade, contrarie alla prostituta Libidine,

effusa Incontinenza, Impudicizia, Sfacciatagine; per le quali intendo la

Verginitade esser una de le virtudi, atteso che quanto a sé non è cosa di

valore. Perché, quanto a sé, non è virtùvizio, e non contiene bontà,

dignità, né merito; e quando non serve alla natura imperante, viene a farsi

delitto, impotenza, pazzia e stoltizia espressa: e se ottempera a qualche

urgente raggione, si chiama Continenza, ed ha l'esser di virtù, per quel che

participa di tal fortezza e dispreggio di voluttadi: il quale non è vano e

frustratorio, ma conferisce alla conversazione umana ed onesta satisfazione

altrui. - E che farremo de le Bilancie? - disse Mercurio. - Vadano per tutto,

rispose il primo presidente: vadano per le fameglie, acciò con esse li padri

veggano dove meglio inchinano gli figli, se a lettere, se ad armi; se ad

agricoltura, se a religione; se a celibato, se ad amore; atteso che non è bene

che sia impiegato l'asino a volare e ad arare i porci. Discorrano le Academie ed

Universitadi, dove s'essamine se quei che insegnano, son giusti di peso, se son

troppo leggieri o trabuccanti; e se quei che presumeno d'insegnar in catedra e

scrittura, hanno necessità d'udire e studiare: e bilanciandoli l'ingegno, si

vegga se quello impenna over impiomba; e se ha della pecora o pur del pastore; e

se è buono a pascer porci ed asini o pur creature capaci di raggione. Per gli

edificii Vestali vadano a far intendere a questi ed a quelle, quale e quanto sia

il momento del contrapeso, per violentar la legge di natura per un'altra sopra-

o estra- o contranaturale, secondo o fuor d'ogni raggione e debito. Per le

corti, a fin che gli ufficii, gli onori, le sedie, le grazie ed exenzioni

corrano secondo che ponderano gli meriti e dignitade di ciascuno; perché non

meritano d'esser presidenti a l'ordine, ed a gran torto della Fortuna presiedeno

a l'ordine quei che non san reggere secondo l'ordine. Per le republiche, acciò

ch'il carrico delle administrazioni contrapesi alla sufficienza e capacità de

gli suggetti; e non si distribuiscano le cure con bilanciar gli gradi del

sangue, de la nobilitade, de' titoli, de ricchezza: ma de le virtudi che

parturiscono gli frutti de le imprese; perché presiedano i giusti,

contribuiscano i facultosi, insegnino li dotti, guideno gli prudenti, combattano

gli forti, conseglino quei ch'han giudicio, comandino quei ch'hanno autoritade.

Vadano per gli stati tutti, a fin che negli contratti di pace, confederazioni e

leghe non si prevariche e decline dal giusto, onesto ed utile commune,

attendendo alla misura e pondo della fede propria e de quei con gli quali si

contratta; e nell'imprese ed affari di guerra si consideri in quale equilibrio

concorrano le proprie forze con quelle del nemico, quello che è presente e

necessario con quello che è possibile nel futuro, la facilità del proponere con

la difficultà delle exequire, la comodità dell'entrare con l'incomodo

dell'uscire, l'inconstanza d'amici con la constanza de nemici, il piacere

d'offendere con il pensiero di defendersi, il comodo turbar quel d'altri con il

malaggiato conservare il suo, il certo dispendio ed iattura del proprio, con

l'incerto acquisto e guadagno de l'altrui. Per tutti gli particulari vadano,

acciò ognuno contrapesi quel che vuole con quel che sa; quel che vuole e sa con

quel che puote; quel che vuole, sa e puote con quel che deve; lo che vuole, sa,

puote e deve con quel che è, fa, ha ed aspetta. - Or, che metteremo dove son le

Bilancie? Che sarà in loco della Libra? - domandò Pallade. Risposero molti: -La

Equità, il Giusto, la Retribuzione, la raggionevole Distribuzione, la Grazia, la

Gratitudine, la buona Conscienza, la Recognizion di se stesso, il Rispetto che

si deve a' maggiori, l'Equanimità che si deve ad uguali, la Benignità che si

richiede verso gl'inferiori, la Giustizia senza rigore a riguardo di tutti, che

spingano l'Ingratitudine, la Temeritade, l'Insolenza, l'Ardire, l'Arroganza, il

poco Rispetto, l'Iniquitade, l'Ingiuria ed altre famigliari di queste. - Bene,

bene! - dissero tutti del concistoro. Dopo la qual voce s'alza in piedi il bel

crinito Apolline, e disse: - È pur gionta l'ora, o dei, in cui si deve donar

degna ispedizione a questo verme infernale che fu la principal caggione

dell'orribil caso e crudel morte del mio diletto Fetonte; perché, quando quel

miserello dubbioso e timido con gli mal noti destrieri guidava del mio eterno

foco il carro, questo pernicioso mostro minaccioso venne a farsegli talmente

incontro con la punta della sua coda mortale, che per l'orrendo spavento

facendolo di se stesso fuori, li fe' dalle tenere mani cascar sul tergo de'

cavagli i freni: onde la tanto signalata ruina del cielo, che ancor nella via

detta lattea appare arso; il sì famoso danno del mondo, che in molte e molte

parti apparve incinerito; e sì fattamente ontoso scorno contro la mia deitade ne

seguitasse. È pur vergogna che tanto tempo una simil sporcaria abbia nel cielo

occupato il spacio di doi segni.

27 - Vedi, dunque, o Diana, disse Giove, quel che vuoi far di questo tuo

animale, il qual vivo è tristo, e morto non serve a nulla. - Permettetemi (se

cossì piace a voi), disse la vergine dea, che ritorne a Scio nel monte

Chelippio; dove per mio ordine nacque a mal grado del presuntuoso Orione, ed ivi

in quella materia di cui fu prodotto, si risolva. Seco si partano la Fraude, la

Decepzione, l'Inganno, la perniciosa Finzione, il Dolo, l'Ipocrisia, la Buggia,

il Pergiuro, il Tradimento; e quivi succedano le contrarie virtudi, Sincerità,

Execuzion di promesse, Osservanza di fede, e le lor sorelle, seguaci e ministre.

Fanne quel che ti piace, disse Momo; perché gli fatti di costui non ti saran

messi in controversia, come a Saturno il vecchio quegli de' doi fanciulli. E

veggiamo presto quel che si deve far del figlio Euschemico, che son già tante

migliaia d'anni che con tema di mandarla via senza averne un'altra, tiene quella

vedova saetta incoccata a l'arco, facendo la mira dove si continua la coda

alla spina del dorso di Scorpione. E certo, se, come lo stimo pur troppo

prattico in prender mira, in collimare, come dicono, al scopo che è la metà de

l'arte sagittaria, lo potesse ancor stimare non ignorante in quel rimanente

circa il tirare e dar di punta al bersaglio, che fa l'altra metà de l'esercizio;

donarei conseglio che lo inviassemo a guadagnarsi un poco di riputazione

nell'isola Britannica, dove sogliono di que' messeri, altri in giubbarello ed

altri in saio faldeggiante, celebrar la festa del prencipe Artur e duca di

Sciardichi. Ma dubito che, mancandogli il verbo principale, per quanto

appartiene a donar dentro al segno, non vegna a far ingiuria al mistiero. Per

tanto vedete voi altri che ne volete fare; perché (a dir il vero, come la

intendo) non mi par comodo ad altro che ad essere spaventacchio degli ucelli,

per guardia, verbigrazia, delle fave o de' meloni. - Vada, disse il Patriarca,

dove vuole; donegli pur alcun di voi il meglior ricapito che gli pare; e nel suo

luogo sia la figurata Speculazione, Contemplazione, Studio, Attenzione,

Aspirazione, Appulso ad ottimo fine, con le sue circonstanze e compagnie.

28 Qua soggionse Momo: - Che vuoi, padre, che si debba fare di quel santo,

intemerato e venerando Capricorno? di quel tuo divino e divo connutrizio, di

quel nostro strenuo e più che eroico commilitone contra il periglioso insulto

della protervia gigantesca? di quel gran consegliero a guerra, che trovò il modo

di examinare quel nemico che da la spelunca del monte Tauro apparve ne l'Egitto

formidando antigonista de gli dei? di quello il quale (perché apertamente non

arremmo avuto ardire d'assalirlo) ne dié lezione di trasformarci in bestie, a

fin che l'arte ed astuzia supplisse al difetto di nostra natura e forze per

parturirci onorato trionfo dell'aversarie posse? Ma, oimè, questo merito non è

senza qualche demerito; perché questo bene non è senza qualche male aggiunto,

forse perché è prescritto e definito dal fato, che nessun dolce sia absoluto da

qualche fastidio ed amaro, o per non so qual'altra caggione. - Or che male,

disse Giove, ne ha egli possuto apportar, che si possa dir esser stato congionto

a quel tanto bene? che indignità, che abbia possuto accompagnarsi con tanto

trionfo? - Rispose Momo: - Fece egli con questo, che gli Egizii venessero ad

onorar le imagini vive de le bestie, e ne adorassero in forma di quelle; onde

venemo ad esser beffati, come ti dirò. - E questo, o Momo, disse Giove, non

averlo per male, perché sai, che gli animali e piante son vivi effetti di

natura; la qual natura (come devi sapere) non è altro che dio nelle cose.

29 \ SAUL.\ Dunque, natura est deus in rebus.

30 \ SOFIA\ - Però, disse, diverse cose vive rapresentano diversi numi e diverse

potestadi; che oltre l'essere absoluto che hanno, ottegnono l'essere comunicato

a tutte le cose secondo la sua capacità e misura. Onde Idio tutto (benché non

totalmente ma in altre più e meno eccellentemente) è in tutte le cose. Però

Marte si trova più efficacemente in natural vestigio e modo di sustanza non solo

in una vipera e scorpione, ma ed in una cipolla ed aglio, che in qualsivoglia

maniera di pittura o statua inanimata. Cossì pensa del Sole nel croco, nel

narciso, nell'elitropio, nel gallo, nel leone; cossì pensar devi di ciascuno de

gli dei per ciascuna de le specie sotto diversi geni de lo ente, perché sicome

la divinità descende in certo modo per quanto che si comunica alla natura, cossì

alla divinità s'ascende per la natura, cossì per la vita rilucente nelle cose

naturali si monta alla vita che soprasiede a quelle. - È vero quel che dici,

rispose Momo: perché in fatto vedo, come que' sapienti con questi mezzi erano

potenti a farsi familiari, affabili e domestici gli dei che per voci, che

mandavano da le statue, gli donavano consegli, dottrine, divinazioni ed

instituzioni sopraumane; onde con magici e divini riti per la medesima scala di

natura salevano a l'alto della divinità, per la quale la divinità descende sino

alle cose minime per la comunicazione di se stessa. Ma quel che mi par da

deplorare, è che veggio alcuni insensati e stolti idolatri, li quali, non più

che l'ombra s'avicina alla nobilità del corpo, imitano l'eccellenza del culto de

l'Egitto; e che cercano la divinità, di cui non hanno raggione alcuna, ne gli

escrementi di cose morte ed inanimate; che con tutto ciò si beffano non

solamente di quei divini ed oculati cultori, ma anco di noi, come di color che

siamo riputati bestie; e quel che è peggio, con questo trionfano, vedendo gli

lor pazzi riti in tanta riputazione, e quelli de gli altri a fatto svaniti e

cassi. - Non ti dia fastidio questo, o Momo, disse Iside, perché il fato ha

ordinata la vicissitudine delle tenebre e la luce. - Ma il male è, rispose Momo,

che essi tegnono per certo di essere nella luce. - Ed Iside soggionse, che le

tenebre non gli sarrebono tenebre, se da essi fussero conosciute. Quelli dunque,

per impetrar certi beneficii e doni da gli dei, con raggione di profonda magia

passavano per mezzo di certe cose naturali, nelle quali in cotal modo era

latente la divinitade, e per le quali essa potea e volea a tali effetti

comunicarsi. onde que' ceremoni non erano vane fantasie, ma vive voci che

toccavano le proprie orecchie de gli Dei; li quali, come da lor vogliano essere

intesi non per voci d'idioma che lor sappiano fengere, ma per voci di naturali

effetti, talmente per atti di ceremoni circa quelle volsero studiare di essere

intesi da noi: altrimente cossì fussemo stati sordi a gli voti, come un Tartaro

al sermone greco che giamai udìo. Conoscevano que' savii dio essere nelle cose,

e la divinità, latente nella natura, oprandosi e scintillando diversamente in

diversi suggetti, e per diverse forme fisiche, con certi ordini, venir a far

partecipi di sé, dico de l'essere, della vita ed intelletto; e però con gli

medesimamente diversi ordini si disponevano alla recepzion de tanti e tai doni,

quali e quanti bramavano. Quindi per la vittoria libavano a Giove magnanimo

nell'aquila, dove, secondo tale attributo, è ascosa la divinità; per la prudenza

nelle operazioni a Giove sagace libavano nel serpente; contra la prodizione a

Giove minace nel crocodillo; cossì per altri innumerabili fini libavano in altre

specie innumerabili. Il che tutto non si faceva senza magica ed efficacissima

raggione.

31 \ SAUL.\ Come dite cossì, o Sofia, se Giove non era nomato in tempo di egizii

culti, ma si trovò molto tempo dopo, appresso gli Greci?

32 \ SOFIA\ Non aver pensiero del nome greco, o Saulino; perché io parlo secondo

la consuetudine più universale, e perché gli nomi (anco appresso gli Greci) sono

apposticci alla divinità: atteso che tutti sanno bene che Giove fu un re di

Creta, uomo mortale, e di cui il corpo, non meno che quel di tutti gli altri

uomini, è putrefatto o incinerito. Non è occolto qualmente Venere sia stata una

donna mortale, la qual fu regina deliciosissima, e sopra modo bella, graziosa e

liberale in Ciprio. Similmente intendi de tutti gli altri dei che son conosciuti

per uomini.

33 \ SAUL.\ Come, dunque, le adoravano ed invocavano?.

34 \ SOFIA\ Ti dirò. Non adoravano Giove, come lui fusse la divinità, ma

adoravano la divinità, come fusse in Giove; perché vedendo un uomo in cui era

eccellente la maestà, la giustizia, la magnanimità, intendevano in lui esser dio

magnanimo, giusto e benigno; ed ordinavano e mettevano in consuetudine che tal

dio, o pur la divinità, in quanto che in tal maniera si comunicava, fusse

nominata Giove; come sotto il nome di Mercurio Egizio sapientissimo fusse

nominata la divina sapienza, interpretazione e manifestazione. Di maniera che di

questo e quell'uomo non viene celebrato altro che il nome e representazion della

divinità, che con la natività di quelli era venuta a comunicarsi a gli uomini, e

con la morte loro s'intendeva aver compìto il corso de l'opra sua, o ritornata

in cielo.

35 Cossì li numi eterni (senza ponere inconveniente alcuno contra quel che è

vero della sustanza divina) hanno nomi temporali altri ed altri in altri tempi

ed altre nazioni: come possete vedere per manifeste istorie, che Paulo Tarsense

fu nomato Mercurio, e Barnaba Galileo fu nomato Giove, non perché fussero

creduti essere que' medesimi dei; ma perché stimavano che quella virtù divina

che si trovò in Mercurio e Giove in altri tempi, all'ora presente si trovasse in

questi, per l'eloquenza e persuasione ch'era nell'uno, e per gli utili effetti

che procedevano da l'altro.

36 Ecco dunque come mai furono adorati crocodilli, galli, cipolle e rape; ma gli

Dei e la divinità in crocodilli, galli ed altri; la quale in certi tempi e

tempi, luoghi e luoghi, successivamente ed insieme insieme, si trovò, si trova e

si trovarà in diversi suggetti quantunque siano mortali: avendo riguardo alla

divinità, secondo che ne è prossima e familiare, non secondo è altissima,

absoluta in se stessa, e senza abitudine alle cose prodotte. Vedi dunque come

una semplice divinità che si trova in tutte le cose, una feconda natura, madre

conservatrice de l'universo, secondo che diversamente si comunica, riluce in

diversi soggetti, e prende diversi nomi. Vedi come a quell'una diversamente

bisogna ascendere per la participazione de diversi doni; altrimente in vano si

tenta comprendere l'acqua con le reti e pescar i pesci con la pala. Indi ne gli

doi corpi che vicino a questo globo e nume nostro materno son più principali,

cioè nel sole e luna, intendeano la vita che informa le cose secondo due

raggioni più principali. Appresso apprendeano quella secondo sette altre

raggioni, distribuendola a sette lumi chiamati erranti; a gli quali, come ad

original principio e feconda causa, riduceano le differenze delle specie in

qualsivoglia geno: dicendo de le piante, de li animali, de le pietre, de

gl'influssi, e di altre ed altre cose, queste di Saturno, queste di Giove,

queste di Marte, queste e quelle di questo e di quell'altro. Cossì de le parti,

de' membri, de' colori, de' sigilli, de' caratteri, di segni, de imagini

destribuite in sette specie. Ma non manca per questo, che quelli non

intendessero una essere la divinità che si trova in tutte le cose, la quale,

come in modi innumerabili si diffonde e communica, cossì ave nomi innumerabili,

e per vie innumerabili, con raggioni proprie ed appropriate a ciascuno, si

ricerca, mentre con riti innumerabili si onora e cole, perché innumerabili geni

di grazia cercamo impetrar da quella. Però in questo bisogna quella sapienza e

giudizio, quella arte, industria ed uso di lume intellettuale, che dal sole

intelligibile a certi tempi più ed a certi tempi meno, quando massima- e quando

minimamente viene revelato al mondo. Il quale abito si chiama Magia: e questa,

per quanto versa in principii sopranaturali, è divina; e quanto che versa circa

la contemplazion della natura e perscrutazion di suoi secreti, è naturale; ed è

detta mezzana e matematica, in quanto che consiste circa le raggioni ed atti de

l'anima, che è nell'orizonte del corporale e spirituale, spirituale ed

intellettuale.

37 Or, per tornare al proposito donde siamo dipartiti, disse Iside a Momo, che

gli stupidi ed insensati idolatri non aveano raggione di ridersi del magico e

divino culto degli Egizii; li quali in tutte le cose ed in tutti gli effetti,

secondo le proprie raggioni di ciascuno, contemplavano la divinità; e sapeano

per mezzo delle specie che sono nel grembo della natura, ricevere que' beneficii

che desideravano da quella; la quale come dal mare e fiumi dona i pesci, da gli

deserti gli salvatici animali, da le miniere gli metalli, da gli arbori le poma;

cossì da certe parti, da certi animali, da certe bestie, da certe piante porgono

certe sorti, virtudi, fortune ed impressioni. Però la divinitade nel mare fu

chiamata Nettuno, nel sole Apolline, nella terra Cerere, ne gli deserti Diana; e

diversamente in ciascuna de le altre specie, le quali, come diverse idee, erano

diversi numi nella natura, li quali tutti si referivano ad un nume de' numi e

fonte de le idee sopra la natura.

38 \ SAUL.\ Da questo parmi che derive quella Cabala de gli Ebrei, la cui

sapienza (qualunque la sia in suo geno) è proceduta da gli Egizii appresso de

quali fu instrutto Mosè. Quella primieramente al primo principio attribuisce un

nome ineffabile, da cui secondariamente procedeno quattro, che appresso si

risolveno in dodici; i quali migrano per retto in settantadoi, e per obliquo e

retto in cento quarantaquattro; e cossì oltre, per quaternarii e duodenarii

esplicati, in innumerabili, secondo che innumerabili sono le specie. E talmente,

secondo ciascun nome (per quanto vien commodo al proprio idioma), nominano un

dio, un angelo, una intelligenza, una potestà, la quale è presidente ad una

specie; onde al fine si trova che tutta la deità si riduce ad un fonte, come

tutta la luce al primo e per sé lucido, e le imagini che sono in diversi e

numerosi specchi, come in tanti suggetti particulari, ad un principio formale ed

ideale, fonte di quelle.

39 \ SOFIA\ Cossì è. Talmente dunque quel dio, come absoluto, non ha che far con

noi; ma per quanto si comunica alli effetti della natura, ed è più intimo a

quelli che la natura istessa; di maniera che se lui non è la natura istessa,

certo è la natura de la natura; ed è l'anima de l'anima del mondo, se non è

l'anima istessa: però, secondo le raggioni speciali che voleano accomodarsi a

ricevere l'aggiuto di quello, per la via delle ordinate specie doveano

presentarsegli avanti: come chi vuole il pane, va al fornaio; chi vuole il vino,

al cellaraio; chi appete gli frutti, va al giardiniero; chi dottrina, al mastro;

e cossì va discorrendo per tutte l'altre cose: in tanto che una bontà, una

felicità, un principio absoluto de tutte ricchezze e beni, contratto a diverse

raggioni, effonde gli doni secondo l'exigenze de particulari.

40 Da qua puoi inferire, come la sapienza de gli Egizii, la quale è persa,

adorava gli crocodilli, le lacerte, li serpenti, le cipolle; non solamente la

terra, la luna, il sole ed altri astri del cielo; il qual magico e divino rito

(per cui tanto comodamente la divinità si comunicava a gli uomini) viene

deplorato dal Trimegisto, dove, raggionando ad Asclepio, disse: - Vedi, o

Asclepio, queste statue animate, piene di senso e di spirito, che fanno tali e

tante degne operazioni? Queste statue, dico, prognostricatrici di cose future,

che inducono le infirmitadi, le cure, le allegrezze e le tristizie, secondo gli

meriti ne gli affetti e corpi umani? Non sai, o Asclepio, come l'Egitto sia la

imagine del cielo, e per dir meglio, la colonia de tutte cose che si governano

ed esercitano nel cielo? A dir il vero, la nostra terra è tempio del mondo. Ma,

oimè, tempo verrà che apparirà l'Egitto in vano essere stato religioso cultore

della divinitade; perché la divinità, remigrando al cielo, lasciarà l'Egitto

deserto; e questa sedia de divinità rimarrà vedova da ogni religione, per essere

abandonata dalla presenza de gli dei, perché vi succederà gente straniera e

barbara senza religione, pietà, legge e culto alcuno. O Egitto, Egitto, delle

religioni tue solamente rimarranno le favole, anco incredibili alle generazioni

future, alle quali non sarà altro, che narri gli pii tuoi gesti, che le lettere

sculpite nelle pietre, le quali narraranno non a dei ed uomini (perché questi

saranno morti, e la deitade sarà trasmigrata in cielo), ma a Sciti ed Indiani, o

altri simili di salvaggia natura. Le tenebre si preponeranno alla luce, la morte

sarà giudicata più utile che la vita, nessuno alzarà gli occhi al cielo, il

religioso sarà stimato insano, l'empio sarà giudicato prudente, il furioso

forte, il pessimo buono. E credetemi che ancora sarà definita pena capitale a

colui che s'applicarà alla religion della mente; perché si trovaranno nove

giustizie, nuove leggi, nulla si trovarà di santo, nulla di relligioso: non si

udirà cosa degna di cielo o di celesti. Soli angeli perniciosi rimarranno, li

quali meschiati con gli uomini forzaranno gli miseri all'audacia di ogni male,

come fusse giustizia; donando materia a guerre, rapine, frodi e tutte altre cose

contrarie alla anima e giustizia naturale: e questa sarà la vecchiaia ed il

disordine e la irreligione del mondo. Ma non dubitare, Asclepio, perché, dopo

che saranno accadute queste cose, allora il signore e padre Dio, governator del

mondo, l'omnipotente proveditore, per diluvio d'acqua o di fuoco, di morbi o di

pestilenze, o altri ministri della sua giustizia misericordiosa, senza dubbio

donarà fine a cotal macchia, richiamando il mondo all'antico volto.

41 \ SAUL.\ Or tornate al proposito che tenne Iside con Momo.

42 \ SOFIA\ Or, al proposito di calumniatori del culto egizio, li recitò quel

verso del poeta:

Loripedem rectus derideat, Aethiopem albus.

Le insensate bestie e veri bruti si ridono de noi dei, come adorati in bestie e

piante e pietre, e de gli miei Egizii che in questo modo ne riconoscevano; e non

considerano che la divinità si mostra in tutte le cose; benché per fine

universale ed eccellentissimo in cose grandi e principii generali; e per fini

prossimi, comodi e necessarii a diversi atti della vita umana, si trova e vede

in cose dette abiettissime, benché ogni cosa, per quel che è detto, ha la

divinità latente in sé; perché la si esplica e comunica insino alli minimi e

dalli minimi secondo la lor capacità; senza la qual presenza niente arrebe

l'essere, perché quella è l'essenza de l'essere del primo sin all'ultimo. A quel

che è detto, aggiongo, e dimando: Per qual raggione riprendeno gli Egipzii in

quello nel che essi ancora son compresi? E per venire a coloro che da noi o

fuggirono, o fûrno come leprosi scacciati a gli deserti, non sono essi, nelle

loro necessitati, ricorsi al culto egizio, quando ad un bisogno mi adorarono

nell'idolo d'un vitello d'oro; e ad un'altra necessità, s'inchinorno, piegâro le

ginocchia ed alzâro le mani a Theuth in forma del serpente di bronzo, benché per

loro innata ingratitudine, dopo impetrato favore dell'uno e l'altro nume,

ruppero l'uno e l'altro idolo? Appresso, quando si hanno voluto onorare con

dirsi santi, divini e benedetti, in che maniera han possuto farlo eccetto con

intitularsi bestie, come si vede dove il padre de dodici tribù, per testamento

donando a' figli la sua benedizione, le magnificò con nome di dodici bestie?

Quante volte chiamano il lor vecchio dio risvegliato Leone, Aquila volante,

Fuoco ardente, Procella risonante, Tempesta valorosa; ed il novamente conosciuto

da gli altri lor successori Pellicano insanguinato, Passare solitario, Agnello

ucciso. E cossì lo chiamano, cossì lo pingono, cossì l'intendeno, dove lo veggio

in statua e pittura con un libro, non so se posso dire, in mano, che non può

altro che lui aprirlo e leggerlo. Oltre, tutti quei che son per credergli

deificati, non son chiamati da lui, e si chiamano essi ancor gloriandosi, pecore

sue, sua pastura, sua mandra, suo ovile, suo gregge? Lascio che gli medesimi

veggio significati per gli asini: per la femina madre, il popolo giudaico; e

l'altre generazioni che se gli doveano aggiongere, prestandogli fede, per il

polledro figlio. Vedete, dunque, come questi divi, questo geno eletto vien

significato per sì povere e basse bestie; e poi si burlano di noi che siamo

presentati in più forti, degne ed imperiose altre?

43 Lascio che tutte le generazioni illustri ed egregie mentre per gli lor segni

ed imprese vogliono mostrarsi ed essere significate, ecco le vedi aquile,

falconi, nibbii, cuculi, civette, nottue, buboni, orsi, lupi, serpi, cavalli,

buovi, becchi; e tal volta, perché manco si stimano degni de farsi una bestia

intiera, ecco vi presentano un pezzo di quella, o una gamba, o una testa, o un

paio di corna, o una coda, o un nerbo. E non pensate che, se si potessero

trasformare in sustanza di tali animali, non lo farrebono volentiera; atteso, a

qual fine stimate che pingono nel suo scudo le bestie quando le accompagnano col

suo ritratto, con la sua statua? Pensate forse che vogliono dire altro eccetto:

Questo, questo, di cui, o spettatore, vedi il ritratto, è quella bestia, che gli

sta vicina e compiuta; overo: Se volete saper chi è questa bestia, sappiate che

la è costui di cui vedete qua il ritratto e qua scritto il nome. Quanti sono,

che per meglior parere bestie, s'impellicciano di lupo, di volpe, di tasso, di

caprone, di becco, onde, ad essere uno di cotai animali, non par che gli manca

altro che la coda? Quanti sono che per mostrar quanto hanno dell'ucello, del

volatile e far conoscere con quanta leggerezza si potrebono sullevare alle nubi,

s'impiumano il cappello e la barretta?

44 \ SAUL.\ Che dirai de le dame nobili, tanto de le grandi, quanto di quelle

che voglion far del grande? non fanno elle più gran caso delle bestie che de

proprii figli? Eccole, quasi dicessero: - O figlio mio, fatto a mia imagine: se

come ti mostri uomo, cossì ti mostrassi coniglio, cagnolina, martora, gatto,

gibellino; certo, si come ti ho commesso a le braccia de la serva, de la fante,

de questa ignobile nutriccia, di questa sugliarda, sporca, imbreaca, che

facilmente, infettandoti di lezzo, ti farà morire; perché conviene anco che

dormi con ella; io, io sarei quella che medesima ti portarei in braccio, ti

sostenerei, lattarei, pettinarei, ti cantarei, ti farei di vezzi, ti baciarei,

come fo a quest'altro gentile animale, il qual non voglio che si domestiche con

altro che con me; non permetterò che sia tocco da altro che da me; e non

lasciarò star in altra camera e dormir in altro letto che nel mio. Questo se

averrà che la cruda Atropo mi tolga, non patirò che vegna sepolto come tu, ma

gl'imbalsimarò, gli perfumarò la pelle; ed a quella, come a divina reliquia,

dove mancano li membri de la fragil testa e piedi, io vi formarò la figura in

oro smaltato ed asperso di diamanti, di perle e di rubini. Cossì, dove bisognarà

onoratamente comparire, il portarò meco, ora avolgendomelo al collo, ora me

l'accostando al volto, a la bocca, al naso; ora me l'appoggiarò al braccio; ora,

dismettendo il braccio perpendicolarmente in giù, lo lasciarò ir prolungato

verso le falde, a fin che non sia parte di quello che non sia messa in

prospettiva. - Onde aperto si vede, quanto con più sedula cura queste più

generose donne sono affette circa una bestia che verso un proprio figlio, per

far vedere quanta sia la nobilità di quelle sopra questi, quanto quelle sono più

onorabili che questi.

45 \ SOFIA\ E per tornare a più seriose raggioni, quelli che sono, o si tegnono

più gran prencipi, per far con espressi segni evidente la loro potestà e divina

preeminenza sopra gli altri, s'adattano in testa la corona; la quale non è altro

che figura di tante corna, che in cerchio gl'incoronano, id est gl'incornano il

capo. E quelle quanto son più alte ed eminenti, tanto fanno più maestrale

representazione, e son segno di maggior grandezza: onde è geloso un duca che un

conte o marchese mostre una corona cossì grande come lui; maggiore conviene al

re, massima a l'imperatore, triplicata tocca al papa, come a quello sommo

patriarca che ne deve aver per lui e per li compagni. Li pontefici ancora sempre

hanno adoperata la mitra acuminata in due corna; il duce di Venezia compare con

un corno a mezza testa; il gran Turco da fuor del turbante lo fa uscir alto e

diritto in forma rotonda piramidale: il che tutto è fatto per donar testimonio

della sua grandezza, con accomodarsi con la meglior arte questa bella parte in

testa, la quale alle bestie ha conceduta la natura: voglio dir, con mostrar di

aver de la bestia. Questo nessuno avanti, né alcuno da poi ha possuto più

efficacemente esprimere, che il duca e legislatore del popolo giudeo. Quel Mosè

dico, che in tutte le scienze de gli Egizii usci addottorato da la corte di

Faraone; quello che nella moltitudine di segni vinse tutti que' periti nella

maggia; in che modo mostrò l'eccellenza sua, per esser divino legato a quel

popolo, e representator de l'autorità del dio d'Ebrei? vi par che, calando giù

del monte Sina con le gran tavole, venesse in forma d'un uomo puro, essendo che

si presentò venerando con un paio di gran corna, che su la fronte gli

ramificavano? Avanti la cui maestral presenza mancando il cuore di quel popolo

errante ch'il mirava, bisognò che con un velo si cuoprisse il volto; il che pure

fu fatto da lui per dignità e per non far troppo familiare quel divino e più che

umano aspetto.

45 \ SAUL.\ Cossì odo ch'il gran Turco, quando non porge familiare udienza, usa

il velo avanti la sua persona. Cossì ho visto io gli Religiosi di Castello in

Genova mostrar per breve tempo e far baciar la velata coda, dicendo: - Non

toccate, baciate; questa è la santa reliquia di quella benedetta asina, che fu

fatta degna di portar il nostro Dio dal monte Oliveto a Jerosolima. Adoratela,

baciatela, porgete limosina: Centuplum accipietis, et vitam aeternam

possidebitis.

46 \ SOFIA\ Lasciamo questo, e venemo al nostro proposito. Per la legge e

decreto di quella nazion eletta nessuno si fa re se non con dargli de l'oglio

con un corno in testa; e dal sacrato corno è ordine che esca quel regio liquore,

perché appaia quanta sia la dignità de le corna, le quali conservano, effondeno

e parturiscono la regia maestade. Or se un pezzo, una reliquia d'una bestia

morta è in tanta riputazione, che devi pensar d'una bestia viva e tutta intiera,

che non ha le corna improntate, ma per eterno beneficio di natura? Séguito il

proposito secondo la mosaica autoritade, la quale nella legge e scrittura sempre

non usa altre minacce che questa, o simili a questa: Ecco, popolo, mio, che dice

il nostro Giova. Spuntarò il vostro corno, o transgressori di miei precetti, o

prevaricatori della mia legge, fiaccarò, dileguarò le vostre corna. Ribaldi e

scelerati, vi scornarò ben io. Cossì per l'ordinario non usa altre promesse che

questa, o simili a questa: Te incornarò certo; per mia fede, per me stesso ti

giuro che ti adaptarò le corna, popolo mio eletto. Popolo mio fedele, abbi per

fermo che non arranno male le tue corna; di quelle non si scemarà nulla.

Generazione santa, figli benedetti, inalzarò, magnificarò, sublimarò le corna

vostre, perché denno essere exaltate le corna de' giusti. Da onde appare aperto,

che ne le corna consiste il splendor, l'eccellenza e potestade, perché son cose

da eroi, bestie e dei.

47 \ SAUL.\ Onde aviene che è messo in consuetudine di chiamar cornuto uno, per

dirlo uomo senza riputazione, o che abbia perso qualche riputata specie di

onore?

48 \ SOFIA\ Onde aviene che alcuni ignoranti porcini alle volte ti chiamano

filosofo (quale, se è vero, è più onorato titolo che possa aver un uomo), e te

lo dicono come per dirti ingiuria o per vituperarti?

49 \ SAUL.\ Da certa invidia.

50 \ SOFIA\ Onde aviene che alcun pazzo e stolto tal volta da te vien chiamato

filosofo?

51 \ SAUL.\ Da certa ironia.

52 \ SOFIA\ Cossì poi intendere che, o per certa invidia o per certa ironia,

aviene che quei che sono, o che non sono onorati e magnifici, vegnono nomati

cornuti. Conchiuse dunque Iside per il Capricorno, che, per aver egli le corna e

per esser egli una bestia, ed oltre aver fatti dovenir gli dei cornuti e bestie

(il che contiene in sé gran dottrina e giudicio di cose naturali e magiche circa

le diverse raggioni con le quali la forma e sustanza divina o s'immerge, o si

explica, o si condona per tutti, con tutti e da tutti suggetti), è un dio non

solamente celeste, ma, ed oltre, degno di maggiore e meglior piazza che non è

questa. E per quello che gli più vili idolatri, anzi gli vilissimi de la Grecia

e de l'altre parti del mondo, improperano a gli Egizii, risponde per quel che è

detto, che se pur si commette indignità nel culto, il quale è necessario in

qualche maniera; e se peccano quei che per molte commoditadi e necessitadi, in

forme de vive bestie, vive piante, vivi astri, ed inspiritate statue di pietre e

di metallo (nelle quali non possiamo dir che non sia quello che è più intimo a

tutte le cose, che la propria forma di esse), adororno la deità una e semplice

ed absoluta in se stessa, multiforme ed omniforme in tutte le cose; quanto

incomparabilmente peggiore è quel culto, e più vilmente peccano quei che senza

commodità e necessità alcuna, anzi fuor d'ogni raggione e dignità, sotto abiti e

titoli ed insegne divine adorano le bestie e peggiori che bestie?

53 Gli Egizii, come sanno i sapienti, da queste forme naturali esteriori di

bestie e piante vive ascendevano e (come mostrano gli lor successi) penetravano

alla divinità; ma loro da gli abbiti magnifici esterni de gli lor idoli (ad

altri accomodandogli al capo gli dorati raggi apollineschi, ad altri la grazia

di Cerere, ad altri la purità di Diana, ad altri l'aquila, ad altri il scettro e

folgore di Giove in mano) descendeno poi ad adorar in sustanza per dei quei che

a pena hanno tanto spirito quanto le nostre bestie; perché finalmente la loro

adorazione si termina ad uomini mortali, dappoco, infami, stolti, vituperosi,

fanatici, disonorati, infortunati, inspirati da genii perversi, senza ingegno,

senza facundia e senza virtude alcuna; i quali vivi non valsero per sé, e non è

possibile che morti vagliano per sé o per altro. E benché per lor mezzo è tanto

instercorata ed insporcata la dignità del geno umano, che in loco di scienze è

imbibito de ignoranze più che bestiali, onde è ridotto ad esser governato senza

vere giustizie civili, tutto è avenuto non per prudenza loro, ma perché il fato

dona il suo tempo e vicissitudine a le tenebre. E soggionse queste paroli,

voltata a Giove: - E mi dolgo di voi, o padre, per molte bestie, che, per esser

bestie, mi par che facci indegne del cielo, essendo però, come ho mostrato,

tanta la dignità di quelle. - A cui il summitonante: - Te inganni, figlia, che

per esser bestie. Se gli altri dei sdegnassero l'esser bestie, non sarrebono

accadute tante e tali metamorfosi. Però non possendo, né dovendovi rimanere in

ipostatica sustanza, voglio che vi rimagnano in ritratto, il qual sia

significativo, indice e figura de le virtudi che in que' luoghi si stabiliscono.

E quantunque alcune hanno espressa significazione di vizio, per essere animali

atti alla vendetta contra la specie umana, non sono però senza virtù divina in

altro modo favorevolissime a quella medesima ed altre, perché nulla è

absolutamente, ma, per certo rispetto, malo, come l'Orsa, il Scorpione ed altri:

questo non voglio che ripugne al proposito, ma lo comporte nel modo che hai

possuto aver visto e vedrai. Però non curo che la Verità sia sotto figura e nome

de l'Orsa, la Magnanimità sotto quel de l'Aquila, la Filantropia sotto quel del

Delfino, e cossì de gli altri. E per venire alla proposta del tuo Capricorno, tu

sai quel ch'ho detto da principio, quando feci l'enumerazione di quei che

doveano lasciar il cielo; e credo che ti ricordi lui essere uno de gli

riservati. Godasi dunque la sua sedia, tanto per le raggioni da te apportate,

quanto per altre molte non minori, che apportar si potrebono. E con lui, per

degni rispetti, soggiorne la Libertà di spirito a cui talvolta amministra il

Monachismo (non dico quello de cocchiaroni), l'Eremo, la Solitudine, che

sogliono parturir quel divino sigillo ch'è la buona Contrazione.

54 Appresso dimandò Teti di quel che volea far de l'Aquario. -Vada, rispose

Giove, a trovar gli uomini, e sciôrgli quella questione del diluvio, e

dechiarare come quello ha possuto essere generale, perché s'apersero tutte le

cataratte del cielo; e faccia che non si creda oltre quello esser stato

particolare, perché è impossibile che l'acqua del mare e fiumi possa gli ambi

doi emisferi ricuoprire, anzi né pur un medesimo citra ed oltre i Tropici o

l'Equinoziale. Appresso faccia intendere come questa riparazion del geno

traghiuttito da l'onde fu da l'Olimpo nostro de la Grecia, e non da gli monti di

Armenia, o dal Mongibello di Sicilia, o da qualch'altra parte. Oltre che le

generazioni de gli uomini si trovano in diversi continenti non a modo con cui si

trovano tante altre specie d'animali usciti dal materno grembo de la natura, ma

per forza di transfretazione e virtù di navigazione, perché, verbigrazia, son

stati condotti da quelle navi che furono avanti che si trovasse la prima; perché

(lascio altre maladette raggioni da canto, quanto a gli Greci, Druidi e tavole

di Mercurio, che contano più di vinti mila anni non dico de lunari, come dicono

certi magri glosatori, ma di que' rotondi simili a l'annello, che si computano

da un inverno a l'altro, da una primavera a l'altra, da uno autunno a l'altro,

da una staggione a l'altra medesima) è frescamente scuoperta una nuova parte de

la Terra che chiamano Nuovo Mondo, dove hanno memoriali di diece mila anni e

più, gli quali sono, come vi dico, integri e rotondi, perché gli loro quattro

mesi son le quattro staggioni, e perché, quando gli anni eran divisi in più

pochi, erano anco divisi in più grandi mesi. Ma lui, per evitar gl'inconvenienti

che possete da per voi medesimi considerare, vada destramente a mantenir questa

credenza, trovando qualche bel modo di accomodar quelli anni; e quello che non

può glosare ed iscusare, audacemente nieghi, dicendo che si deve porgere più

fede a gli dei (de quali portarà le lettere patente e bolle) che a gli uomini,

li quali tutti son buggiardi. - Qua aggionse Momo dicendo: - E 'l mi par meglio

di scusarla in questa maniera con dire, verbigrazia, che questi de la terra nova

non son parte de la umana generazione, perché non sono uomini, benché in membra,

figura e cervello siano molto simili a essi; ed in molte circonstanze si

mostrano più savii ed in trattar gli lor dei manco ignoranti. - Rispose Mercurio

che questa era troppo dura a digerire. - Mi par che quanto appartiene alle

memorie di tempi, si può facilmente provedere con far maggiori questi, o minori

quelli anni; ma penso che sia conveniente trovar alcuna gentil raggione, per

qualche soffio di vento, o per qualche trasporto di balene ch'abbiano

inghiuttite persone di un paese, e quelle vive andate a vomire in altre parti ed

altri continenti. Altrimente noi dei greci saremo confusi; perché si dirà che

tu, Giove, per mezzo di Deucalione non sei riparator de gli uomini tutti, ma di

certa parte solamente. - Di questo e del modo di provedere si parlarà a più

bell'agio, - disse Giove. Aggiunse alla commissione di costui, che debba egli

definire circa la controversia se lui è stato sin ora in cielo per un padre di

Greci, o di Ebrei, o di Egizii o di altri, e se ha nome Deucalione, o Noemo, o

Otrio, o Osiri. Finalmente determine se lui è quel patriarca Noè, che, imbreaco

per l'amor di vino, mostrava il principio organico della lor generazione a'

figli, per fargli intendere insieme insieme dove consistea il principio

ristorativo di quella generazione assorbita ed abissata da l'onde del gran

cataclismo, quando doi uomini maschii ritrogradando gittâro gli panni sopra il

discuoperto seno del padre; o pur è quel tessalo Deucalione, a cui, insieme con

Pirra sua consorte, fu mostrato ne le pietre il principio della umana

riparazione; onde de doi uomini, un maschio e una femina, retrogradando le

gittavano a dietrovia al discuoperto seno della terra madre? Ed insegne di

questi doi modi de dire (perché non possono esser l'uno e l'altro istoria) qual

sia la favola e qual sia la istoria; e se sono ambi doi favole, qual sia la

madre e quale sia la figlia; e veda se potrà ridurle a metafora di qualche

veritade degna d'essere occolta. Ma non inferisca che la sufficienza della magia

caldaica sia uscita e derive da la cabala giudaica; perché gli Ebrei son

convitti per escremento de l'Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con

qualche verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno o indegno

principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole,

metafore e dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto, e non

quella generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o

per giustizia civile il suo; onde a sufficienza si può conchiudere che non sono

naturalmente, come né per lunga violenza di fortuna mai furono, parte del mondo.

 

55 \ SAUL.\ Questo, o Sofia, sia detto da Giove per invidia; perché quindi

degnamente son detti e si dicono santi, per essere più tosto generazion celeste

e divina che terrestre ed umana; e non avendo degna parte di questo mondo,

vegnono approvati da gli angeli eredi di quell'altro, il quale tanto è più degno

quanto non è uomo, o grande o picciolo, o savio o stolto, che per forza o di

elezione o di fato non possa acquistarlo, e certissimamente tenerlo per suo.

56 \ SOFIA\ Stiamo in proposito, o Saulino.

57 \ SAUL.\ Or dite, che cosa volse Giove che succedesse a quella piazza?

58 \ SOFIA\ La Temperanza, la Civilità, la Urbanitade, mandando giù la

Intemperanza, l'Eccesso, l'Asprezza, Selvaticia, Barbaria.

59 \ SAUL.\ Come, o Sofia, la Temperanza ottiene medesima sedia con

l'Urbanitade?

60 \ SOFIA\ Come la madre può coabitar con la figlia; perché per l'Intemperanza

circa gli affetti sensuali ed intellettuali si dissolveno, disordinano,

disperdeno ed indiluviano le fameglie, le republiche, le civili conversazioni ed

il mondo; la Temperanza è quella che riforma il tutto, come ti farò intendere,

quando andaremo visitando queste stanze.

61 \ SAUL.\ Sta bene.

62 \ SOFIA\ Or, per venire alli Pesci, si alzò in piedi la bella madre di

Cupido, e disse: - Vi raccomando con tutto il mio core (per il ben che mi volete

ed amor che mi portate, o dei) li miei padrini, li quali al lido del fiume

Eufrate versâro quel grand'ovo che covato dalla colomba ischiuse la mia

misericordia. - Tornino dunque dove erano, disse Giove; ed assai li baste di

esser stati qua tanto tempo, e che se gli confirme il privilegio che gli Siri

non le possano mangiar senza essere iscomunicati; e guardinsi che di nuovo non

vegna qualche condottiero Mercurio, che, togliendoli le ova interiori, forme

qualche metafora di nuova misericordia per sanar il mal de gli occhi di qualche

cieco; perché non voglio che Cupido apra gli occhi, atteso che, se cieco tira

tanto diritto ed impiaga tanti quanti vuole, che pensate farrebe, se avesse gli

occhi tersi? Vadino dunque e stiano in cervello per quel ch'ho detto. Vedete

come da per se medesimo il Silenzio, la Taciturnità, in forma con cui apparve ne

l'Egitto e Grecia il simulacro di Pixide, con l'indice apposto alla bocca, va a

prendere il suo loco. Or lasciatelo passar, non gli parlate, non gli dimandate

nulla. Vedete come da quell'altro canto si spicca la Ciarla, la Garrulità, la

Loquacità con altri servi, damigelle ed assistenti. - Soggionse Momo: - Tolgasi

ancora alla mal'ora quella chioma detta gli Crini di Berenice, e sia portata da

quel Tessalo a vendere in terra a qualche calva principessa. - Bene! - rispose

Giove. - Or vedete purgato il spacio del signifero, dove son prese trecento

quaranta sei stelle notabili: cinque massime, nove grandi, sessanta quattro

mediocri, cento trentatré picciole, centocinque minori, vintisette minime, tre

nebbiose. –




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