Seconda parte del
terzo dialogo.
1
\ SOFIA\ Allora Saturno fece instanza a Giove, che nel
disponere delle altre
sedie fusse più
ispedito, perché la sera s'approssimava; e che solamente
s'attendesse al
negocio principale di levare e mettere; e quanto a quello
ch'appartiene a
l'ordine con cui le virtù di dee ed altri si debano governare,
si determinarà
verso la più prossima festa principale, quando converrà
ch'un'altra volta
li dei convegnano insieme, che sarà la vigilia del Panteone.
Alla cui proposta
con un chino di testa fêrno segno tutti gli altri dei di
consentire,
eccetto la Pressa, la Discordia, l'Intempestività ed altri. - Cossì
pare ancora a me,
disse l'altitonante. - Su, dunque, soggionse Cerere: dove
vogliamo inviar
il mio Triptolemo, quel carrettiero che vedete là, quello per
cui diedi il pane
di frumento a gli uomini? Volete ch'io lo mande alle contrade
de l'una e
l'altra Sicilia, dove faccia la residenza; come vi ha tre tempii
miei, che per sua
diligenza ed opra mi fûro consecrati, l'uno nella Puglia,
l'altro nella
Calabria, l'altro nell'istessa Trinacria? - Fate quel che vi piace
del vostro
cultore e ministro, o figlia, disse Giove. Alla cui sedia succeda, se
cossì pare a voi
ancora, dei, la Umanità, che in nostro idioma è detta la dea
Filantropia; di
cui questo auriga massimamente par che sia stato il tipo. Lascio
che lei fu che
spinse te, Cerere, ad inviarlo, e che poi guidò lui ad eseguire i
tuoi benefìci
verso il geno umano. - Cossì è certo, disse Momo; percioché lei è
quella per cui
Bacco fa ne gli uomini sì bel sangue, e Cerere sì bella carne
quale essere non
posseva nel tempo de castagne, fave e ghiande. A questa dunque
la Misantropia
fugga avanti con la Egestade; e come è consueto e raggionevole,
de le due ruote
del suo carro la sinistra sia il Conseglio, la destra sia
l'Aggiuto; e de'
doi mitissimi draghi che tirano il temone, da la sinistra sarà
la Clemenzia, da
la destra il Favore.
2
Propose appresso Momo a Mercurio quel che volesse fare del Serpentauro,
perché gli parea
buono ed accomodato per inviarlo a far il Marso chiarlatano,
avendo quella
grazia di maneggiar senza timore e periglio un tale e tanto
serpente. Propose
anco del serpente al radiante Apolline, se lo volea per cosa
da servire a'
suoi maghi e malefici, come è dire alle sue Circe e Medee per
esecutar gli
veneficii; o ver lo volea concedere a' suoi medici, come è dire ad
Esculapio per
farne tiriaca. Propose oltre a Minerva, se quest'uno gli avesse
possuto servire
per inviarlo a far vendetta di qualche risorto nemico Laocoonte.
Prendalo chi lo vuole, disse il gran Patriarca; e facciane quel che si voglia,
tanto del serpe,
quanto de l'Ofiulco, pur che si tolgano da là; ed in suo luogo
succeda la
Sagacità, la qual suole vedersi ed admirarsi nel Serpente. - Succeda
dunque la
Sagacitade, dissero tutti, atteso che non è men degna del cielo che la
sua sorella
Prudenza; perché dove quella sa comandare e mettere in ordine quel
che s'è da fare e
lasciare per venire a qualche dissegno, questa sappia prima e
poi giudicare per
forza di buona intelligenza, che la è; e discaccia la
Grossezza,
Inconsiderazione ed Ebetudine da le piazze, dove le cose si metteno
in dubio o in
consultazione. Dalli vasi della sapienza imbeva il sapere, onde
concepa e
parturisca atti di Prudenza.
3
- Della Saetta, disse Momo, perché io mai fui curioso di saper a chi
appartenesse,
cioè, se fusse quella con cui Apolline uccise il gran Pitone, o
pur quella per
cui madonna Venere fece al suo poltroncello impiagar il feroce
Marte, che per
vendetta poi a quella cruda ficcò un pugnal sotto la pancia in
sino a l'elsa; o
pur una memorabile con la qual Alcide dismese la Regina de le
Stimfalidi; o
l'altra per cui l'apro Calidonio dié l'ultimo crollo; o ver sia
reliquia o trofeo
di qualche trionfo di Diana la castissima. Sia che si vuole,
riprendesila il
suo padrone, e se la ficche là dove gli piace.
4
- Bene, rispose Giove, tolgasi da là insieme con la Insidia, la Calumnia, la
Detrazione, atto
de Invidia, e la Maldicenza; ed ivi succeda la buona
Attenzione,
Observanza, Elezione e Collimazion di regolato intento. E soggionse:
De l'Aquila,
ucello divino ed eroico e tipo de l'Imperio, io determino e voglio
cossì, che vada a
ritrovarsi in carne ed in ossa nella bibace Alemagna: dove più
che in altra
parte si trovarà celebrata in forma, in figura, in imagine ed in
similitudine, in
tante pitture, in tante statue, in tante celature, quanto nel
cielo stelle si
possono presentar a gli occhi de la Germania contemplativa. La
Ambizione, la
Presunzione, la Temeritade, la Oppressione, la Tirannia ed altre
compagne e
ministre di queste dee non bisogna che le mene seco là dove li
bisognarebbe a
tutte star in ocio; percioché la campagna non è troppo larga per
esse; ma prendano
il suo volo lungi da quel diletto almo paese, dove gli scudi
son le scudelle,
le celate son le pignatte e lavezzi, gli brandi son l'ossa
inguainate in
carne salata, le trombe son gli becchieri, urcioli e gli bocali,
gli tamburi son
gli barilli e botte, il campo è la tavola da bere, volsi dir da
mangiare; le
forterezze, gli baloardi, gli castegli, li bastioni son le cantine,
le popine, le
ostarie, che son di più gran numero che le stanze medesime. - Qua
Momo disse: -
Perdonami, gran padre, s'io t'interrompo il parlare. A me pare che
queste dee
compagne e ministre, senza che vi le mandi, vi si trovano; perché
l'Ambizione circa
l'essere superiore a tutti in farsi porco; la Presunzione del
ventre, che
pretende di ricevere non meno di alto che da alto vaglia mandar a
basso il
gorgazuolo; la Temeritade, con cui vanamente il stomaco tenta digerire
quel che or ora,
presto presto è necessario di vomire; la Oppressione de sensi e
natural calore;
la Tirannia della vita vegetativa, sensitiva ed intellettiva
regnano più in
questa sola che in tutte l'altre parti di questo globo. - È vero,
o Momo, soggionse
Mercurio; ma tali Tirannie, Temeritadi, Ambizioni ed altre
simili cacodee,
con le loro cacodemonesse, non son punto aquiline, ma da
sanguisughe,
pacchioni, sturni e ciacchi. Appresso, per venire al proposito
della sentenza di
Giove, la mi par molto pregiudiziosa alla condizione, vita e
natura di questo
regio ucello; il quale, perché poco beve e molto mangia e vora,
perché ha gli
occhi tersi e netti, perché è veloce nel corso, perché e con la
levità de l'ali
sue sopravola al cielo ed è abitante di luoghi secchi, sassosi,
alti e forti, non
può aver simbolo ed accordo con generazion campestre; ed a cui
la doppia soma
degli bragoni par che a forte contrapeso le impiomba verso il
profondo e
tenebroso centro; e che si fa gente sì tarda e greve, non tanto
inetta a
perseguitare e fuggire, quanto buona a tener fermo ne le guerre; e che
per la gran parte
è soggetta al mal degli occhi, e che incomparabilmente più
beve che mangia.
- Quel che ho detto, è detto, rispose Giove. Dissi, che vi si
presente in carne
ed in ossa per veder gli suoi ritratti; ma non già, che vi
stia come in
prigione, o che manca di trovarsi là, dovunque è in spirito e
veritade con
altre e più degne raggioni con gli già detti numi: e questa sedia
gloriosa lancie a
tutte quelle virtudi, de le quali può esser stata vicaria:
come è dire, a la
dea Magnanimità, Magnificenza, Generosità ed altre sorelle e
ministre di
costoro.
5
- Or che faremo, disse Nettuno, di quel Delfino? Piacevi ch'io lo metta nel
mar di Marseglia,
onde per il Rodano fiume vada e rivegna a volte a volte,
visitando e
rivisitando il Delfinato? - Cossì si faccia presto, disse Momo;
perché, a dire il
vero, non mi par cosa meno da ridere, se alcuno
Delphinum
caelis appinxit, fluctibus aprum,
che se
Delphinum
sylvis appinxit, fluctibus aprum.
6
- Vada, dove piace a Nettuno, disse Giove; ed in suo luogo succeda la figurata
Dilezione,
Affabilità, Officio con gli suoi compagni e ministri. - Dimandò
Minerva che il
cavallo Pegaseo, lasciando le vinti lucide macchie e la
Curiositade, se
ne vada al fonte caballino già per molto tempo confuso,
destrutto ed
inturbidato da bovi, porci ed asini; e veda, se con gli calci e
denti possa far
tanto che vendiche quel loco da sì villano concorso: a fin che
le Muse, veggendo
l'acqua del fonte posta in buono ordine e rassettata, non si
sdegnino di
ritornarvi, e farvi gli lor collegii e promozioni. Ed in questo
luogo del cielo
succeda il Furor divino, il Rapto, l'Entusiasmo, il Vaticinio,
il Studio ed
Ingegno con gli lor cognati e ministri, onde eternamente da su
l'acqua divina,
per lavar gli animi ed abbeverar gli affetti, stille a gli
mortali. -
Tolgasi, disse Nettuno, questa Andromeda, se cossì piace a voi dei;
la quale per la
mano de l'Ignoranza è stata avinta al scoglio dell'Ostinazione
con la catena di
perverse raggioni e false opinioni, per farla traghiuttir dal
ceto della
perdizione e final ruina, che per l'instabile e tempestoso mare va
discorrendo; e
sia commessa alle provide ed amiche mani del sollecito, laborioso
ed accorto
Perseo, ch'avendola indi disciolta e tolta, dall'indegna cattività la
promova al
proprio degno acquisto. E di quel che deve succedere al suo loco tra
le stelle dispona
Giove. - Là, rispose il padre de gli dei, voglio che succeda
la Speranza,
quella che, co' l'aspettar frutto degno delle sue opre e fatiche,
non è cosa tanto
ardua e difficile a cui non accenda gli animi tutti, i quali
aver possono
senso di qualche fine. - Succeda, rispose Pallade, quel santissimo
scudo del petto
umano, quel divino fundamento de tutti gli edificii di bontade,
quel sicurissimo
riparo della Veritade; quella che per strano accidente
qualsivoglia mai
si diffida, perché sente in sé stessa gli semi della propria
sufficienza, li
quali da quantunque violento polso non gli possono essere
defraudati;
quella in virtù della quale è fama che Stilbone vencesse la vittoria
de' nemici; quel
Stilbone, dico, il quale scampato da le fiamme che
gl'incinerivano
la patria, la casa, la moglie, i figli e le facultadi, a
Demetrio rispose
aver tutte le cose sue seco, perché seco avea quella Fortezza,
quella Giustizia,
quella Prudenza, per quali meglio possea sperar consolazione,
scampo e sustegno
di sua vita; e per le quali facilmente il dolce di questa
sprezzarebbe. -
Lasciamo questi colori, disse Momo, e vengasi presto a veder
quello che si de'
fare di quel Triangolo o Delta. - Rispose la astifera Pallade:
Mi par degno che sia messo in mano del Cardinal di Cusa, a fin che colui veda,
se con questo
possa liberar gli impacciati geometri da quella fastidiosa
inquisizione
della quadratura del circolo, regolando il circolo ed il triangolo
con quel suo
divino principio della commensurazione e coincidenza de la massima
e minima figura:
cioè di quella che costa di minimo, e de l'altra che costa di
massimo numero
degli angoli. Portisi dunque questo trigono con un circolo ch'il
comprende, e con
un altro che da lui sia compreso; e con la relazione di queste
due linee (de
quali l'una dal centro va al punto della contingenzia del circolo
interno con il
triangolo esterno; l'altra dal medesimo centro si tende a l'uno
de gli angoli del
triangolo) vegna a compirsi quella tanto tempo e tanto
vanamente cercata
quadratura.
7
Qua risorse Minerva, e disse: - Ma io, per non parer meno cortese a le Muse,
voglio inviar a
gli geometri incomparabilmente maggiore e meglior dono, che
questo ed altro
che sia sin ora donato; per cui il Nolano, al quale fia
primieramente
revelato, e dalla cui mano venga diffuso alla moltitudine, mi
debbia non
solamente una, ma cento ecatombi; perché in virtù della contemplazion
de l'equità che
si trova tra il massimo e minimo, tra l'extimo ed intimo, tra il
principio e fine,
gli porgo una via più feconda, più ricca, più aperta e più
sicura; la quale
non solamente dimostre como il quadrato si fa uguale al
circolo, ma, ed
oltre, subito, ogni trigono, ogni pentagono, ogni exagono, e
finalmente
qualsivoglia e quantosivoglia poligònia figura; dove non meno fia
uguale linea a
linea che superficie a superficie, campo a campo, e corpo a corpo
nelle
solide figure.
8
\ SAUL.\ Questa sarà cosa eccellentissima, ed un tesoro inestimabile per gli
cosmimetri.
9
\ SOFIA\ Tanto eccellente e degna, che certo parmi che
contrapese a
l'invenzione di
tutto il rimanente della geometrica facultade. Anzi da qua pende
un'altra più
intiera, più grande, più ricca, più facile, più esquisita, più
breve e niente
men certa; la quale qualsivoglia figura poligònia viene ad
comensurare per
la linea e superficie del circolo; ed il circolo per la linea e
superficie di
qualsivoglia poligonìa.
10
\ SAUL.\ Vorrei quanto prima intendere il modo.
11
\ SOFIA\ Cossì disse Mercurio a Minerva; a cui quella
rispose: - Prima (nel
modo che tu fatto
hai) dentro questo triangolo descrivo un circolo, che massimo
discriver vi si
possa; appresso fuor di questo triangolo ne delineo un altro che
minimo delinear
si possa sin al contatto de gli tre angoli; e quindi non voglio
procedere a
quella tua fastidiosa quadratura, ma al facile trigonismo, cercando
un triangolo che
abbia la linea uguale alla linea del circolo, ed un altro che
vegna ad ottenere
la superficie uguale alla superficie del circolo. Questo sarà
uno circa quel
triangolo mezzano, equidistante da quello che contiene il
circolo, e
quell'altro ch'è contenuto dal circolo; il quale lascio, che con il
proprio ingegno
altri lo prenda cossì, perché mi basta aver mostrato il luogo
de' luoghi.
Cossì, per quadrare il circolo, non fia mestiero di prendere il
triangolo, ma il
quatrangolo che è tra il massimo interno e minimo esterno al
circolo. Per
pentagonare il circolo, prenderassi il mezzo tra il massimo
pentagono
contenuto dal circolo e minimo continente del circolo. Similmente
farassi sempre,
per far qualsivoglia altra figura uguale al circolo in campo ed
in linea. Cossì
oltre, per essere trovato il circolo del quadrato uguale al
circolo del
triangolo, verrà trovato il quadrato di questo circolo pare al
triangolo di
quell'altro circolo, di medesma quantità con questo.
12
\ SAUL.\ In questo modo, o Sofia, si possono far tutte l'altre figure uguali
ad altre figure
con l'aggiuto e relazione del circolo, che fate misura de le
misure. Cioè, se
voglio far un triangolo equale al quatrangolo, prendo quel
mezzano tra gli
doi apposti al circolo, con quel mezzano tra doi quatrangoli
apposti al
medesimo circolo, o ver ad un altro uguale. Se voglio prendere un
quadrato uguale a
l'exagono, delinearò dentro e fuori del circolo e questo e
quello, e
prenderò quel mezzano tra gli doi de l'uno e l'altro.
13
\ SOFIA\ Bene l'hai capito. In tanto che quindi non
solamente s'ha la
equatura di tutte
le figure al circolo, ma ed oltre di ciascuna de le figure a
tutte l'altre
mediante il circolo, serbando sempre l'equalità secondo la linea e
secondo la
superficie. Cossì con picciola considerazione o attenzione ogni
equalità e
proporzione di qualsivoglia corda a qualsivogli'arco si potrà
prendere, mentre
o intiera, o divisa, o con certe raggioni aumentata viene a
constituir poligonìa
tale, che in detta maniera da cotal circolo sia compresa, o
lo comprenda.
14
- Or definiscasi presto, disse Giove, di quel che vogliamo collocarvi. -
Rispose Minerva:
- Mi par, che vi stia bene la Fede e Sinceritade, senza la
quale ogni
contratto è perplesso e dubio, si dissolve ogni conversazione, ogni
convitto si
destrugge. Vedete a che è ridutto il mondo, per esser messo in
consuetudine e
proverbio, che per regnare non si osserva fede. Oltre:
agl'infideli ed
eretici non si osserva fede. Appresso: si franga la fede a chi
la rompe. Or che
sarà, se questo si mette in prattica da tutti? A che verrà il
mondo, se tutte
le republiche, regni, dominii, fameglie e particolari diranno,
che si deve esser
santo col santo, perverso col perverso? e si faranno iscusati
d'esser
scelerati, perché hanno il scelerato per compagno o vicino? e pensaranno
che non doviamo
forzarci ad esser buoni assolutamente, come fusseno dei, ma per
commoditade ed
occasione, come gli serpenti, lupi ed orsi, tossichi e veneni? -
Voglio, soggionse
il padre, che la Fede sia tra le virtudi celebratissima; e
questa, se non
sarà data con condizione d'un'altra fede, mai sia lecito di
rompersi per la
rottura de l'altra, atteso che è legge da qualche Giudeo e
Sarraceno
bestiale e barbaro, non da Greco e Romano civile ed eroico, che alcuna
volta e con certe
sorte di genti, sol per propria commoditade ed occasion
d'inganno, sia
lecito donar la fede, con farla ministra di tirannia e
tradimento.
15
\ SAUL.\ O Sofia, non è offesa più infame, scelerosa ed indegna di
misericordia, che
quella che si fa ad uno per un altro, per causa che l'uno ha
creduto a
l'altro; e l'uno vegna offeso da l'altro, per avergli porgiuta fede,
stimandolo uomo
da bene.
16
\ SOFIA\ - Voglio dunque, disse l'altitonante, che questa
virtù compaia
celebrata in
cielo, acciò vegna per l'avenire più stimata in terra. Questa si
veda nel luogo in
cui si vedea il Triangolo, da cui comodamente è stata ed è
significata la
Fede; perché il corpo triangulare (come quello che costa di minor
numero di angoli
ed è più lontano da l'esser circulare) è più difficilmente
mobile che qualsivoglia
altrimente figurato. Cossì viene purgata la spiaggia
settentrionale,
dove comunmente son notate trecento sessanta stelle: tre
maggiori, diece
ed otto grandi, ottanta ed una mediocri, cento settanta sette
picciole,
cinquanta ed otto minori, tredeci minime, con una nebbiosa e nove
oscure.
17
\ SAUL.\ Or espediscasi d'apportare brevemente quel che fu fatto del resto.
18
\ SOFIA\ - Decerni, o padre, disse Momo, di quel che doviam
fare di quel
protoparente de
li agnelli; quello che primieramente fa da la terra uscire le
smorte piante,
quello ch'apre l'anno e di novo florido e frondoso manto
ricoprisce quella
ed invaghisce questo. - Perché dubito, disse Giove, mandarlo
con que' di
Calabria, o Puglia, o de la Campania felice, dove sovente dal rigor
de l'inverno sono
uccisi; né mi par convenevole inviarlo tra gli altri delle
Africane pianure
e monti, dove per il soverchio calore scoppiano; mi par
convenientissimo
ch'egli si trove circa il Tamisi, dove ne veggio tanti belli,
buoni, grassi,
bianchi e snelli. E non son smisurati, come nella regione circa
il Nigero; non
negri, come circa il Silere ed Ofito; non macilenti, come circa
il Sebeto e
Sarno; non cattivi, qual circa il Tevere ed Arno; non brutti a
vedere, come
circa il Tago; atteso che quel luogo quadra alla staggione a cui è
predominante, per
esservi, più ch'in altra parte, oltre e citra l'Equinoziale,
temperato il
cielo; ché dalla supposta terra essendo bandito l'eccessivo rigor
de le nevi e
soverchio fervor del sole, come testifica il perpetuamente verde e
florido terreno,
la fa fortunata, come di continua e perpetua primavera. Giongi
a questo che ivi,
compreso dalla protezion de le braccia dell'ampio Oceano, sarà
sicuro da lupi,
leoni ed orsi, ed altri fieri animali e potestadi nemiche di
terra ferma. E
perché questo animale tiene del prencipe, del duca, del
conduttiero; ha
del pastore, del capitano e guida; come vedete in cielo, dove
tutti li segni di
questo cingolo del firmamento gli correno a dietro; e come
scorgete in
terra, dove quando lui si balza o si precipita, quando diverte o
s'addrizza,
quando declina o poggia, viene facilissimamente tutto l'ovile ad
imitarlo,
consentirgli e seguitarlo; voglio ch'in suo luogo succeda la virtuosa
Emulazione, la
Exemplarità e buono Consentimento con altre virtudi sorelle e
ministre; a le
quali contrarii sono il Scandalo, il Male Essempio; che hanno per
ministra la
Prevaricazione, la Alienazione, il Smarrimento; per guida la Malizia
o l'Ignoranza, o
l'una e l'altra insieme; per seguace la stolta Credulitade; la
qual, come
vedete, è orba e tenta il camino tastando col bastone della oscura
inquisizione e
pazza persuasione; per compagna perpetua la Viltade e
Dappocagine; le
quali tutte insieme lascino queste sedie e vadano raminghe per
la terra.
19
- Bene ordinato - risposero li dei tutti. E dimandò Giunone, che far volesse
di quel suo
Tauro, di quel suo bue, di quel consorte del santo Presepio. Alla
quale rispose:
-Se non vuole andar vicino a l'Alpi, alle rive del Po, dico alla
metropoli del
Piamonte, dove è la deliciosa città di Taurino, denominata da lui,
come da Bucefalo
Bucefalia, dalle capri l'isole che sono al rimpetto di
Partenope verso
l'occidente, Corveto in Basilicata da' corvi, Mirmidonia da le
formiche, dal
Delfino il Delfinato, da gli cinghiali Aprutio, Ofanto da'
serpenti, ed
Oxonia da non so qual altra specie; vada per compagno al prossimo
Montone; dove
(come testificano le lor carni che per la commodità dell'erbe
fresche e
delicatura de pascoli vegnono ad essere le più preggiate del mondo) ha
gli più bei
consorti che veder si possano nel rimanente del spacio de
l'universo. - E
dimandò Saturno del successore; a cui rispose così: - Per esser
questo un animal,
che dura alle fatiche, pazientemente laborioso, voglio che sin
ora sia stato
tipo della Pazienza, Toleranza, Sufferenza e Longanimitade,
virtudi in vero
molto necessarie al mondo; e quindi seco si partano (benché non
mi curo che seco
vadano o non vadano) l'Ira, l'Indignazione, il Furore, che
sogliono
accompagnarsi con questo talvolta stizzoso animale. Qua vedete uscir
l'Ira figlia, che
è parturita da l'apprension d'Ingiustizia ed Ingiuria; e
partesi dolorosa
e vendicativa, perché gli par inconveniente ch'il Dispreggio la
guate e gli
percuota le guance. Come ha gli occhi infocati rivolti a Giove, a
Marte, a Momo, a
tutti! Come li va a l'orecchio la Speranza de la vendetta, che
la consola
alquanto e l'affrena, con mostrargli il favor della Possibilitade
minacciosa contra
il Dispetto, la Contumelia ed il Strazio, suoi provocatori! Là
l'Impeto, suo
fratello, che gli dona forza, nerbo e fervore; là la Furia
sorella, che
l'accompagna con le tre sue figlie, cioè Excandescenzia, Crudeltade
e Vecordia. O
quanto è difficile e molesto di contemprarla e reprimerla! O
quanto
malaggiatamente può esser concotta e digerita da altri dei, che da te,
Saturno; questa,
che ha le narici aperte, la fronte impetuosa, la testa dura,
gli denti
mordaci, le labbia velenose, la lingua tagliente, le mani graffiose,
il petto
tossicoso, la voce acuta, ed il color sanguigno. - Qua Marte fece
instanza per
l'Ira, dicendo ch'ella alcuna volta, anzi più de le volte, è
virtude
necessariissima, come quella che favorisce la Legge, dà forza alla
Verità, al
Giudicio; ed acuisce l'Ingegno, ed apre il camino a molte egregie
virtudi, che non
capiscono gli animi tranquilli. A cui Giove: - Che allora, ed
in quel modo con
cui è virtù, sussista e consista tra quelle, a quali si fa
propicia; però
mai s'accoste al cielo senza che gli vada innante il Zelo con la
lanterna de la
Raggione.
20
- E che farremo de le sette figlie d'Atlante, o Padre? -disse Momo. A cui
Giove: - Vadano
con le sue sette lampe a far lume a quel notturno e merinoziale
santo
sponsalizio; ed avertiscano d'andar prima che la porta si chiuda e che
comincie da sopra
a destillar il freddo, il ghiaccio, la bianca neve, atteso che
allora in vano
alzaranno le voci e picchiaranno, perché gli sia aperta la porta,
rispondendogli il
portinaio che tiene la chiave: Non vi conosco. Avisatele che
saran pazze, se
faranno venir meno l'oglio a la lucerna; la qual se fia umida
sempre e non mai
secca, averrà che non sieno tal volte prive di splendor di
degna laude e
gloria. Ed in questa region che lasciano, vegna a metter la sua
stanza la
Conversazione, il Consorzio, il Connubio, la Confraternitade,
Ecclesia,
Convitto, Concordia, Convenzione, Confederazione; ed ivi sieno gionte
a l'Amicizia,
perché, dove non è quella, in suo luogo è la Contaminazione,
Confusione e
Disordine. E se non son rette, non sono esse; perché mai si trovano
in verità (benché
il più de le volte in nome) tra scelerati; ma hanno verità di
Monopolio,
Conciliabulo, Setta, Conspirazione, Turba, Congiurazione, o cosa
d'altro nome ed
essere detestabile. Non sono tra irrazionali e quei che non
hanno
proponimento di buon fine; non dove è l'ocioso medesimo credere ed
intendere; ma
dove si concorre a medesima azione circa le cose similmente
intese.
Perseverano tra buoni; e son brevi ed inconstanti tra perversi, come tra
quei de quali
dissemo in proposito della Legge e Giudicio, nelli quali non si
trova veramente
concordia, come color che non versano circa virtuose azioni.
21
\ SAUL.\ Quei non sono concordi per parimente intendere, ma nel parimente
ignorare e
malignare e nel non intendere secondo diverse raggioni. Quelli non
consenteno in
parimente oprare a buon fine, ma in far parimente poco caso di
buone opre e
stimar indegni tutti gli atti eroici. Ma torniamo a noi. Che si fe'
de' doi giovanetti?
22
\ SOFIA\ Cupido le dimandò per il gran Turco; Febo volea
che fussero paggi di
qualche principe
italiano; Mercurio, che fussero cubicularii de la gran camera.
A Saturno parea
che servissero per iscaldatoio di qualche vecchio e gran
prelato, o pur a
lui, povero decrepito. A cui Venere disse: - Ma chi, o barba
bianca, le
assicura che non gli dii di morso che non li mangi, se gli tuoi denti
non perdonano a'
proprii figli, per gli quali sei diffamato per parricida
antropofago? - E
peggio, disse Mercurio, che è dubio, che per qualche ritrosa
stizza che
l'assale, non gli piante quella punta di falce su la vita. Lascio
che, se pur a
questi può esser donato di rimaner in corte de gli dei, non sarà
più raggione che
toccano a voi, buon padre, che ad altri molti non meno
reverendi che vi
possono aver aperti gli occhi. - Qua sentenziò Giove, che non
permetteva che in
posterum in corte de gli dei si admettano paggi o altri
servitori che non
abbiano molto senno, discrezione e barba. E che questi si
mettessero alle
sorti, mediante le quali si definisse a chi de gli dei toccasse
di farne
provisione per qualche amico in terra. - E mentre alcuni instavano che
ne determinasse
lui, disse che non volea per queste cose gelose generar
suspizion di
parzialità ne gli lor animi, quasi inchinando più ad una che ad
un'altra parte di
discordanti.
23
\ SAUL.\ Buono ordine, per riparare a le dissenzioni ch'arrebono possute
accadere per
questi!
24
\ SOFIA\ Chiese Venere che in luogo succedesse l'Amicizia,
l'Amore, la Pace,
con gli lor
testimoni Contubernio, Bacio, Imbracciamento, Carezze, Vezzi, e gli
tutti fratelli e
servitori, ministri, assistenti e circonstanti del gemino
Cupido. - La
dimanda è giusta, - dissero gli dei tutti. -Che si faccia, - disse
Giove. Appresso,
dovendosi definire del Granchio (il quale, perché appar
scottato
dall'incendio del foco e fatto rosso dal calor del sole, non si trova
altrimente in
cielo che se fusse condannato a le pene de l'inferno), dimandò
Giunone, come di
cosa sua, che ne volesse far il senato; di cui la più gran
parte lo rimese
al suo arbitrio. E lei disse che, se Nettuno, dio del mare, il
comportava,
arrebe desiderato che s'attuffasse a l'onde del mare Adriatico, là
dove ha più
compagni che non ha stelle in cielo. Oltre, che sarà appresso
l'onoratissima
Republica Veneziana la qual, come fusse anch'ella un granchio, a
poco a poco da
l'oriente sen va verso l'occidente retrogradando. Consentì quel
Dio che porta il
gran tridente. E Giove disse, che in loco del Cancro starà bene
il tropico della
Conversione, Emendazione, Repressione, Ritrattazione, virtudi
contrarie al Mal
progresso. Ostinazione e Pertinacia; e subito soggionse il
proposito del
Leone, dicendo: - Ma questo fiero animale guardisi di seguitar il
Cancro e di voler
là ancora farsegli compagno; perché, se va a Venezia, trovarà
ivi un altro, più
che lui essere possa, forte; percioché quello non solo sa
combattere in
terra, ma oltre guerreggia bene in acqua, e molto meglio in aria,
atteso che ha
l'ali, è canonizato, ed è persona di lettere: però sarà più
espediente per
lui di calarsene a gli Libici deserti dove trovarà moglie e
compagni. E mi
par che a quella piazza si debba transferir quella Magnanimità,
quella eroica
Generositade, che sa perdonar a' soggetti, compatir a gl'infermi,
domar
l'Insolenza, conculcar la Temeritade, rigettar la Presunzione e debellar
la Suberbia. -
Assai bene! - disse Giunone e la maggior parte del concistoro.
Lascio di
riferire con quanto grave, magnifico e bello apparato e gran comitiva
se ne andasse
questa virtude; perché al presente, per la angustia del tempo,
voglio che vi
baste di udire il principale circa la riforma e disposizione delle
sedie; essendo
che sono per informarvi di tutto il resto quando sedia per sedia
vi condurrò
vedendo ed essaminando queste corti.
25
\ SAUL.\ Bene, o cara Sofia. Molto mi appaga la tua cortesissima promessa;
però son
contento, che con la maggior brevità, che vi piace, mi doniate saggio
dell'ordine e
spaccio dato all'altre sedie e cangiamenti.
26
\ SOFIA\ - Or, che sarà della Vergine? - dimandò la casta
Lucina, la
cacciatrice
Diana. - Fategli, rispose Giove, intendere se la vuole andare ad
esser priora o
abbatessa delle suore o monache, le quali son ne' conventi o
monasterii de
l'Europa; dico, in que' luoghi dove non son state messe in rotta e
dispersione da la
peste; o pur a governar le damigelle de le corti, a fin che
non le assalte la
gola di mangiar li frutti avanti o fuor de la staggione, o
rendersi compagne
de le lor signore. - Oh, disse Dittinna, che non puote; e dice
che non vuole in
punto alcuno ritornar onde è una volta scacciata, e donde è
tante volte
fuggita. -Il protoparente suggionse: - Tegnasi dunque ferma in
cielo, e guardisi
bene di cascare, e veda di non farsi contaminare in questo
loco. - Disse
Momo: - Mi par che la potrà perseverar pura e netta, si
perseverarà di
esser lungi da animali raggionevoli, eroi e dei, e si terrà tra
le bestie, come
sin al presente è stata, avendo da la parte occidentale il
ferocissimo
Leone, e dall'oriente il tossicoso Scorpio. Ma non so come si
portarà adesso,
dove gli è prossima la Magnanimitade, l'Amorevolezza, la
Generositade e
Virilitade, che facilmente montandogli a dosso, per raggion di
domestico
contatto facendoli contraere del magnanimo, amoroso, generoso e
virile, da femina
la faranno dovenir maschio, e da selvaggia ed alpestre dea, e
nume da Satiri,
Silvani e Fauni, la convertiranno in nume galante, umano,
affabile ed
ospitale. - Sia quel che deve essere, rispose Giove; ed intra tanto,
gionte a lei
nella medesima sedia sieno la Castità, la Pudicizia, la Continenza,
Purità, Modestia,
Verecundia ed Onestade, contrarie alla prostituta Libidine,
effusa
Incontinenza, Impudicizia, Sfacciatagine; per le quali intendo la
Verginitade esser
una de le virtudi, atteso che quanto a sé non è cosa di
valore. Perché,
quanto a sé, non è virtù né vizio, e non contiene bontà,
dignità, né
merito; e quando non serve alla natura imperante, viene a farsi
delitto,
impotenza, pazzia e stoltizia espressa: e se ottempera a qualche
urgente raggione,
si chiama Continenza, ed ha l'esser di virtù, per quel che
participa di tal
fortezza e dispreggio di voluttadi: il quale non è vano e
frustratorio, ma
conferisce alla conversazione umana ed onesta satisfazione
altrui. - E che
farremo de le Bilancie? - disse Mercurio. - Vadano per tutto,
rispose il primo
presidente: vadano per le fameglie, acciò con esse li padri
veggano dove
meglio inchinano gli figli, se a lettere, se ad armi; se ad
agricoltura, se a
religione; se a celibato, se ad amore; atteso che non è bene
che sia impiegato
l'asino a volare e ad arare i porci. Discorrano le Academie ed
Universitadi,
dove s'essamine se quei che insegnano, son giusti di peso, se son
troppo leggieri o
trabuccanti; e se quei che presumeno d'insegnar in catedra e
scrittura, hanno
necessità d'udire e studiare: e bilanciandoli l'ingegno, si
vegga se quello
impenna over impiomba; e se ha della pecora o pur del pastore; e
se è buono a
pascer porci ed asini o pur creature capaci di raggione. Per gli
edificii Vestali
vadano a far intendere a questi ed a quelle, quale e quanto sia
il momento del
contrapeso, per violentar la legge di natura per un'altra sopra-
o estra- o
contranaturale, secondo o fuor d'ogni raggione e debito. Per le
corti, a fin che
gli ufficii, gli onori, le sedie, le grazie ed exenzioni
corrano secondo
che ponderano gli meriti e dignitade di ciascuno; perché non
meritano d'esser
presidenti a l'ordine, ed a gran torto della Fortuna presiedeno
a l'ordine quei che
non san reggere secondo l'ordine. Per le republiche, acciò
ch'il carrico
delle administrazioni contrapesi alla sufficienza e capacità de
gli suggetti; e
non si distribuiscano le cure con bilanciar gli gradi del
sangue, de la
nobilitade, de' titoli, de ricchezza: ma de le virtudi che
parturiscono gli
frutti de le imprese; perché presiedano i giusti,
contribuiscano i
facultosi, insegnino li dotti, guideno gli prudenti, combattano
gli forti,
conseglino quei ch'han giudicio, comandino quei ch'hanno autoritade.
Vadano per gli
stati tutti, a fin che negli contratti di pace, confederazioni e
leghe non si
prevariche e decline dal giusto, onesto ed utile commune,
attendendo alla
misura e pondo della fede propria e de quei con gli quali si
contratta; e nell'imprese
ed affari di guerra si consideri in quale equilibrio
concorrano le
proprie forze con quelle del nemico, quello che è presente e
necessario con
quello che è possibile nel futuro, la facilità del proponere con
la difficultà
delle exequire, la comodità dell'entrare con l'incomodo
dell'uscire,
l'inconstanza d'amici con la constanza de nemici, il piacere
d'offendere con
il pensiero di defendersi, il comodo turbar quel d'altri con il
malaggiato
conservare il suo, il certo dispendio ed iattura del proprio, con
l'incerto
acquisto e guadagno de l'altrui. Per tutti gli particulari vadano,
acciò ognuno
contrapesi quel che vuole con quel che sa; quel che vuole e sa con
quel che puote;
quel che vuole, sa e puote con quel che deve; lo che vuole, sa,
puote e deve con
quel che è, fa, ha ed aspetta. - Or, che metteremo dove son le
Bilancie? Che
sarà in loco della Libra? - domandò Pallade. Risposero molti: -La
Equità, il
Giusto, la Retribuzione, la raggionevole Distribuzione, la Grazia, la
Gratitudine, la
buona Conscienza, la Recognizion di se stesso, il Rispetto che
si deve a'
maggiori, l'Equanimità che si deve ad uguali, la Benignità che si
richiede verso
gl'inferiori, la Giustizia senza rigore a riguardo di tutti, che
spingano
l'Ingratitudine, la Temeritade, l'Insolenza, l'Ardire, l'Arroganza, il
poco Rispetto,
l'Iniquitade, l'Ingiuria ed altre famigliari di queste. - Bene,
bene! - dissero
tutti del concistoro. Dopo la qual voce s'alza in piedi il bel
crinito Apolline,
e disse: - È pur gionta l'ora, o dei, in cui si deve donar
degna ispedizione
a questo verme infernale che fu la principal caggione
dell'orribil caso
e crudel morte del mio diletto Fetonte; perché, quando quel
miserello
dubbioso e timido con gli mal noti destrieri guidava del mio eterno
foco il carro, questo
pernicioso mostro minaccioso venne a farsegli talmente
incontro con la
punta della sua coda mortale, che per l'orrendo spavento
facendolo di se
stesso fuori, li fe' dalle tenere mani cascar sul tergo de'
cavagli i freni:
onde la tanto signalata ruina del cielo, che ancor nella via
detta lattea
appare arso; il sì famoso danno del mondo, che in molte e molte
parti apparve
incinerito; e sì fattamente ontoso scorno contro la mia deitade ne
seguitasse. È pur
vergogna che tanto tempo una simil sporcaria abbia nel cielo
occupato il
spacio di doi segni.
27
- Vedi, dunque, o Diana, disse Giove, quel che vuoi far di questo tuo
animale, il qual
vivo è tristo, e morto non serve a nulla. - Permettetemi (se
cossì piace a
voi), disse la vergine dea, che ritorne a Scio nel monte
Chelippio; dove
per mio ordine nacque a mal grado del presuntuoso Orione, ed ivi
in quella materia
di cui fu prodotto, si risolva. Seco si partano la Fraude, la
Decepzione,
l'Inganno, la perniciosa Finzione, il Dolo, l'Ipocrisia, la Buggia,
il Pergiuro, il
Tradimento; e quivi succedano le contrarie virtudi, Sincerità,
Execuzion di
promesse, Osservanza di fede, e le lor sorelle, seguaci e ministre.
Fanne quel che ti piace, disse Momo; perché gli fatti di costui non ti saran
messi in
controversia, come a Saturno il vecchio quegli de' doi fanciulli. E
veggiamo presto
quel che si deve far del figlio Euschemico, che son già tante
migliaia d'anni
che con tema di mandarla via senza averne un'altra, tiene quella
vedova saetta
incoccata a l'arco, facendo la mira là dove si continua la coda
alla spina del
dorso di Scorpione. E certo, se, come lo stimo pur troppo
prattico in
prender mira, in collimare, come dicono, al scopo che è la metà de
l'arte
sagittaria, lo potesse ancor stimare non ignorante in quel rimanente
circa il tirare e
dar di punta al bersaglio, che fa l'altra metà de l'esercizio;
donarei conseglio
che lo inviassemo a guadagnarsi un poco di riputazione
nell'isola
Britannica, dove sogliono di que' messeri, altri in giubbarello ed
altri in saio
faldeggiante, celebrar la festa del prencipe Artur e duca di
Sciardichi. Ma
dubito che, mancandogli il verbo principale, per quanto
appartiene a
donar dentro al segno, non vegna a far ingiuria al mistiero. Per
tanto vedete voi
altri che ne volete fare; perché (a dir il vero, come la
intendo) non mi
par comodo ad altro che ad essere spaventacchio degli ucelli,
per guardia,
verbigrazia, delle fave o de' meloni. - Vada, disse il Patriarca,
dove vuole;
donegli pur alcun di voi il meglior ricapito che gli pare; e nel suo
luogo sia la
figurata Speculazione, Contemplazione, Studio, Attenzione,
Aspirazione,
Appulso ad ottimo fine, con le sue circonstanze e compagnie.
28
Qua soggionse Momo: - Che vuoi, padre, che si debba fare di quel santo,
intemerato e
venerando Capricorno? di quel tuo divino e divo connutrizio, di
quel nostro strenuo
e più che eroico commilitone contra il periglioso insulto
della protervia
gigantesca? di quel gran consegliero a guerra, che trovò il modo
di examinare quel
nemico che da la spelunca del monte Tauro apparve ne l'Egitto
formidando
antigonista de gli dei? di quello il quale (perché apertamente non
arremmo avuto
ardire d'assalirlo) ne dié lezione di trasformarci in bestie, a
fin che l'arte ed
astuzia supplisse al difetto di nostra natura e forze per
parturirci
onorato trionfo dell'aversarie posse? Ma, oimè, questo merito non è
senza qualche
demerito; perché questo bene non è senza qualche male aggiunto,
forse perché è
prescritto e definito dal fato, che nessun dolce sia absoluto da
qualche fastidio
ed amaro, o per non so qual'altra caggione. - Or che male,
disse Giove, ne
ha egli possuto apportar, che si possa dir esser stato congionto
a quel tanto
bene? che indignità, che abbia possuto accompagnarsi con tanto
trionfo? -
Rispose Momo: - Fece egli con questo, che gli Egizii venessero ad
onorar le imagini
vive de le bestie, e ne adorassero in forma di quelle; onde
venemo ad esser
beffati, come ti dirò. - E questo, o Momo, disse Giove, non
averlo per male,
perché sai, che gli animali e piante son vivi effetti di
natura; la qual
natura (come devi sapere) non è altro che dio nelle cose.
29
\ SAUL.\ Dunque, natura est deus in rebus.
30
\ SOFIA\ - Però, disse, diverse cose vive rapresentano
diversi numi e diverse
potestadi; che
oltre l'essere absoluto che hanno, ottegnono l'essere comunicato
a tutte le cose
secondo la sua capacità e misura. Onde Idio tutto (benché non
totalmente ma in
altre più e meno eccellentemente) è in tutte le cose. Però
Marte si trova
più efficacemente in natural vestigio e modo di sustanza non solo
in una vipera e
scorpione, ma ed in una cipolla ed aglio, che in qualsivoglia
maniera di
pittura o statua inanimata. Cossì pensa del Sole nel croco, nel
narciso,
nell'elitropio, nel gallo, nel leone; cossì pensar devi di ciascuno de
gli dei per
ciascuna de le specie sotto diversi geni de lo ente, perché sicome
la divinità
descende in certo modo per quanto che si comunica alla natura, cossì
alla divinità
s'ascende per la natura, cossì per la vita rilucente nelle cose
naturali si monta
alla vita che soprasiede a quelle. - È vero quel che dici,
rispose Momo:
perché in fatto vedo, come que' sapienti con questi mezzi erano
potenti a farsi
familiari, affabili e domestici gli dei che per voci, che
mandavano da le
statue, gli donavano consegli, dottrine, divinazioni ed
instituzioni
sopraumane; onde con magici e divini riti per la medesima scala di
natura salevano a
l'alto della divinità, per la quale la divinità descende sino
alle cose minime
per la comunicazione di se stessa. Ma quel che mi par da
deplorare, è che
veggio alcuni insensati e stolti idolatri, li quali, non più
che l'ombra
s'avicina alla nobilità del corpo, imitano l'eccellenza del culto de
l'Egitto; e che
cercano la divinità, di cui non hanno raggione alcuna, ne gli
escrementi di
cose morte ed inanimate; che con tutto ciò si beffano non
solamente di quei
divini ed oculati cultori, ma anco di noi, come di color che
siamo riputati
bestie; e quel che è peggio, con questo trionfano, vedendo gli
lor pazzi riti in
tanta riputazione, e quelli de gli altri a fatto svaniti e
cassi. - Non ti
dia fastidio questo, o Momo, disse Iside, perché il fato ha
ordinata la
vicissitudine delle tenebre e la luce. - Ma il male è, rispose Momo,
che essi tegnono
per certo di essere nella luce. - Ed Iside soggionse, che le
tenebre non gli
sarrebono tenebre, se da essi fussero conosciute. Quelli dunque,
per impetrar
certi beneficii e doni da gli dei, con raggione di profonda magia
passavano per
mezzo di certe cose naturali, nelle quali in cotal modo era
latente la
divinitade, e per le quali essa potea e volea a tali effetti
comunicarsi. Là
onde que' ceremoni non erano vane fantasie, ma vive voci che
toccavano le
proprie orecchie de gli Dei; li quali, come da lor vogliano essere
intesi non per
voci d'idioma che lor sappiano fengere, ma per voci di naturali
effetti, talmente
per atti di ceremoni circa quelle volsero studiare di essere
intesi da noi:
altrimente cossì fussemo stati sordi a gli voti, come un Tartaro
al sermone greco
che giamai udìo. Conoscevano que' savii dio essere nelle cose,
e la divinità,
latente nella natura, oprandosi e scintillando diversamente in
diversi suggetti,
e per diverse forme fisiche, con certi ordini, venir a far
partecipi di sé,
dico de l'essere, della vita ed intelletto; e però con gli
medesimamente
diversi ordini si disponevano alla recepzion de tanti e tai doni,
quali e quanti
bramavano. Quindi per la vittoria libavano a Giove magnanimo
nell'aquila,
dove, secondo tale attributo, è ascosa la divinità; per la prudenza
nelle operazioni
a Giove sagace libavano nel serpente; contra la prodizione a
Giove minace nel
crocodillo; cossì per altri innumerabili fini libavano in altre
specie
innumerabili. Il che tutto non si faceva senza magica ed efficacissima
raggione.
31
\ SAUL.\ Come dite cossì, o Sofia, se Giove non era nomato in tempo di egizii
culti, ma si
trovò molto tempo dopo, appresso gli Greci?
32
\ SOFIA\ Non aver pensiero del nome greco, o Saulino;
perché io parlo secondo
la consuetudine
più universale, e perché gli nomi (anco appresso gli Greci) sono
apposticci alla
divinità: atteso che tutti sanno bene che Giove fu un re di
Creta, uomo
mortale, e di cui il corpo, non meno che quel di tutti gli altri
uomini, è
putrefatto o incinerito. Non è occolto qualmente Venere sia stata una
donna mortale, la
qual fu regina deliciosissima, e sopra modo bella, graziosa e
liberale in
Ciprio. Similmente intendi de tutti gli altri dei che son conosciuti
per uomini.
33
\ SAUL.\ Come, dunque, le adoravano ed invocavano?.
34 \ SOFIA\ Ti dirò.
Non adoravano Giove, come lui fusse la divinità, ma
adoravano la
divinità, come fusse in Giove; perché vedendo un uomo in cui era
eccellente la
maestà, la giustizia, la magnanimità, intendevano in lui esser dio
magnanimo, giusto
e benigno; ed ordinavano e mettevano in consuetudine che tal
dio, o pur la
divinità, in quanto che in tal maniera si comunicava, fusse
nominata Giove;
come sotto il nome di Mercurio Egizio sapientissimo fusse
nominata la
divina sapienza, interpretazione e manifestazione. Di maniera che di
questo e
quell'uomo non viene celebrato altro che il nome e representazion della
divinità, che con
la natività di quelli era venuta a comunicarsi a gli uomini, e
con la morte loro
s'intendeva aver compìto il corso de l'opra sua, o ritornata
in cielo.
35
Cossì li numi eterni (senza ponere inconveniente alcuno contra quel che è
vero della
sustanza divina) hanno nomi temporali altri ed altri in altri tempi
ed altre nazioni:
come possete vedere per manifeste istorie, che Paulo Tarsense
fu nomato
Mercurio, e Barnaba Galileo fu nomato Giove, non perché fussero
creduti essere
que' medesimi dei; ma perché stimavano che quella virtù divina
che si trovò in
Mercurio e Giove in altri tempi, all'ora presente si trovasse in
questi, per
l'eloquenza e persuasione ch'era nell'uno, e per gli utili effetti
che procedevano
da l'altro.
36
Ecco dunque come mai furono adorati crocodilli, galli, cipolle e rape; ma gli
Dei e la divinità
in crocodilli, galli ed altri; la quale in certi tempi e
tempi, luoghi e
luoghi, successivamente ed insieme insieme, si trovò, si trova e
si trovarà in
diversi suggetti quantunque siano mortali: avendo riguardo alla
divinità, secondo
che ne è prossima e familiare, non secondo è altissima,
absoluta in se
stessa, e senza abitudine alle cose prodotte. Vedi dunque come
una semplice
divinità che si trova in tutte le cose, una feconda natura, madre
conservatrice de
l'universo, secondo che diversamente si comunica, riluce in
diversi soggetti,
e prende diversi nomi. Vedi come a quell'una diversamente
bisogna ascendere
per la participazione de diversi doni; altrimente in vano si
tenta comprendere
l'acqua con le reti e pescar i pesci con la pala. Indi ne gli
doi corpi che
vicino a questo globo e nume nostro materno son più principali,
cioè nel sole e
luna, intendeano la vita che informa le cose secondo due
raggioni più
principali. Appresso apprendeano quella secondo sette altre
raggioni,
distribuendola a sette lumi chiamati erranti; a gli quali, come ad
original
principio e feconda causa, riduceano le differenze delle specie in
qualsivoglia
geno: dicendo de le piante, de li animali, de le pietre, de
gl'influssi, e di
altre ed altre cose, queste di Saturno, queste di Giove,
queste di Marte,
queste e quelle di questo e di quell'altro. Cossì de le parti,
de' membri, de'
colori, de' sigilli, de' caratteri, di segni, de imagini
destribuite in
sette specie. Ma non manca per questo, che quelli non
intendessero una
essere la divinità che si trova in tutte le cose, la quale,
come in modi
innumerabili si diffonde e communica, cossì ave nomi innumerabili,
e per vie innumerabili,
con raggioni proprie ed appropriate a ciascuno, si
ricerca, mentre
con riti innumerabili si onora e cole, perché innumerabili geni
di grazia cercamo
impetrar da quella. Però in questo bisogna quella sapienza e
giudizio, quella
arte, industria ed uso di lume intellettuale, che dal sole
intelligibile a
certi tempi più ed a certi tempi meno, quando massima- e quando
minimamente viene
revelato al mondo. Il quale abito si chiama Magia: e questa,
per quanto versa
in principii sopranaturali, è divina; e quanto che versa circa
la contemplazion
della natura e perscrutazion di suoi secreti, è naturale; ed è
detta mezzana e
matematica, in quanto che consiste circa le raggioni ed atti de
l'anima, che è
nell'orizonte del corporale e spirituale, spirituale ed
intellettuale.
37
Or, per tornare al proposito donde siamo dipartiti, disse Iside a Momo, che
gli stupidi ed
insensati idolatri non aveano raggione di ridersi del magico e
divino culto
degli Egizii; li quali in tutte le cose ed in tutti gli effetti,
secondo le
proprie raggioni di ciascuno, contemplavano la divinità; e sapeano
per mezzo delle
specie che sono nel grembo della natura, ricevere que' beneficii
che desideravano
da quella; la quale come dal mare e fiumi dona i pesci, da gli
deserti gli
salvatici animali, da le miniere gli metalli, da gli arbori le poma;
cossì da certe
parti, da certi animali, da certe bestie, da certe piante porgono
certe sorti,
virtudi, fortune ed impressioni. Però la divinitade nel mare fu
chiamata Nettuno,
nel sole Apolline, nella terra Cerere, ne gli deserti Diana; e
diversamente in
ciascuna de le altre specie, le quali, come diverse idee, erano
diversi numi
nella natura, li quali tutti si referivano ad un nume de' numi e
fonte de le idee sopra
la natura.
38
\ SAUL.\ Da questo parmi che derive quella Cabala de gli Ebrei, la cui
sapienza
(qualunque la sia in suo geno) è proceduta da gli Egizii appresso de
quali fu
instrutto Mosè. Quella primieramente al primo principio attribuisce un
nome ineffabile,
da cui secondariamente procedeno quattro, che appresso si
risolveno in
dodici; i quali migrano per retto in settantadoi, e per obliquo e
retto in cento
quarantaquattro; e cossì oltre, per quaternarii e duodenarii
esplicati, in
innumerabili, secondo che innumerabili sono le specie. E talmente,
secondo ciascun
nome (per quanto vien commodo al proprio idioma), nominano un
dio, un angelo,
una intelligenza, una potestà, la quale è presidente ad una
specie; onde al
fine si trova che tutta la deità si riduce ad un fonte, come
tutta la luce al
primo e per sé lucido, e le imagini che sono in diversi e
numerosi specchi,
come in tanti suggetti particulari, ad un principio formale ed
ideale, fonte di
quelle.
39
\ SOFIA\ Cossì è. Talmente dunque quel dio, come absoluto,
non ha che far con
noi; ma per
quanto si comunica alli effetti della natura, ed è più intimo a
quelli che la
natura istessa; di maniera che se lui non è la natura istessa,
certo è la natura
de la natura; ed è l'anima de l'anima del mondo, se non è
l'anima istessa:
però, secondo le raggioni speciali che voleano accomodarsi a
ricevere
l'aggiuto di quello, per la via delle ordinate specie doveano
presentarsegli
avanti: come chi vuole il pane, va al fornaio; chi vuole il vino,
al cellaraio; chi
appete gli frutti, va al giardiniero; chi dottrina, al mastro;
e cossì va
discorrendo per tutte l'altre cose: in tanto che una bontà, una
felicità, un
principio absoluto de tutte ricchezze e beni, contratto a diverse
raggioni, effonde
gli doni secondo l'exigenze de particulari.
40
Da qua puoi inferire, come la sapienza de gli Egizii, la quale è persa,
adorava gli
crocodilli, le lacerte, li serpenti, le cipolle; non solamente la
terra, la luna,
il sole ed altri astri del cielo; il qual magico e divino rito
(per cui tanto
comodamente la divinità si comunicava a gli uomini) viene
deplorato dal
Trimegisto, dove, raggionando ad Asclepio, disse: - Vedi, o
Asclepio, queste
statue animate, piene di senso e di spirito, che fanno tali e
tante degne
operazioni? Queste statue, dico, prognostricatrici di cose future,
che inducono le
infirmitadi, le cure, le allegrezze e le tristizie, secondo gli
meriti ne gli
affetti e corpi umani? Non sai, o Asclepio, come l'Egitto sia la
imagine del
cielo, e per dir meglio, la colonia de tutte cose che si governano
ed esercitano nel
cielo? A dir il vero, la nostra terra è tempio del mondo. Ma,
oimè, tempo verrà
che apparirà l'Egitto in vano essere stato religioso cultore
della divinitade;
perché la divinità, remigrando al cielo, lasciarà l'Egitto
deserto; e questa
sedia de divinità rimarrà vedova da ogni religione, per essere
abandonata dalla
presenza de gli dei, perché vi succederà gente straniera e
barbara senza
religione, pietà, legge e culto alcuno. O Egitto, Egitto, delle
religioni tue
solamente rimarranno le favole, anco incredibili alle generazioni
future, alle
quali non sarà altro, che narri gli pii tuoi gesti, che le lettere
sculpite nelle
pietre, le quali narraranno non a dei ed uomini (perché questi
saranno morti, e
la deitade sarà trasmigrata in cielo), ma a Sciti ed Indiani, o
altri simili di
salvaggia natura. Le tenebre si preponeranno alla luce, la morte
sarà giudicata
più utile che la vita, nessuno alzarà gli occhi al cielo, il
religioso sarà
stimato insano, l'empio sarà giudicato prudente, il furioso
forte, il pessimo
buono. E credetemi che ancora sarà definita pena capitale a
colui che
s'applicarà alla religion della mente; perché si trovaranno nove
giustizie, nuove
leggi, nulla si trovarà di santo, nulla di relligioso: non si
udirà cosa degna
di cielo o di celesti. Soli angeli perniciosi rimarranno, li
quali meschiati con
gli uomini forzaranno gli miseri all'audacia di ogni male,
come fusse
giustizia; donando materia a guerre, rapine, frodi e tutte altre cose
contrarie alla
anima e giustizia naturale: e questa sarà la vecchiaia ed il
disordine e la
irreligione del mondo. Ma non dubitare, Asclepio, perché, dopo
che saranno
accadute queste cose, allora il signore e padre Dio, governator del
mondo,
l'omnipotente proveditore, per diluvio d'acqua o di fuoco, di morbi o di
pestilenze, o
altri ministri della sua giustizia misericordiosa, senza dubbio
donarà fine a
cotal macchia, richiamando il mondo all'antico volto.
41
\ SAUL.\ Or tornate al proposito che tenne Iside con Momo.
42
\ SOFIA\ Or, al proposito di calumniatori del culto egizio,
li recitò quel
verso del poeta:
Loripedem
rectus derideat, Aethiopem albus.
Le insensate
bestie e veri bruti si ridono de noi dei, come adorati in bestie e
piante e pietre,
e de gli miei Egizii che in questo modo ne riconoscevano; e non
considerano che
la divinità si mostra in tutte le cose; benché per fine
universale ed
eccellentissimo in cose grandi e principii generali; e per fini
prossimi, comodi
e necessarii a diversi atti della vita umana, si trova e vede
in cose dette
abiettissime, benché ogni cosa, per quel che è detto, ha la
divinità latente
in sé; perché la si esplica e comunica insino alli minimi e
dalli minimi
secondo la lor capacità; senza la qual presenza niente arrebe
l'essere, perché
quella è l'essenza de l'essere del primo sin all'ultimo. A quel
che è detto,
aggiongo, e dimando: Per qual raggione riprendeno gli Egipzii in
quello nel che
essi ancora son compresi? E per venire a coloro che da noi o
fuggirono, o
fûrno come leprosi scacciati a gli deserti, non sono essi, nelle
loro necessitati,
ricorsi al culto egizio, quando ad un bisogno mi adorarono
nell'idolo d'un
vitello d'oro; e ad un'altra necessità, s'inchinorno, piegâro le
ginocchia ed
alzâro le mani a Theuth in forma del serpente di bronzo, benché per
loro innata
ingratitudine, dopo impetrato favore dell'uno e l'altro nume,
ruppero l'uno e
l'altro idolo? Appresso, quando si hanno voluto onorare con
dirsi santi,
divini e benedetti, in che maniera han possuto farlo eccetto con
intitularsi
bestie, come si vede dove il padre de dodici tribù, per testamento
donando a' figli
la sua benedizione, le magnificò con nome di dodici bestie?
Quante volte
chiamano il lor vecchio dio risvegliato Leone, Aquila volante,
Fuoco ardente,
Procella risonante, Tempesta valorosa; ed il novamente conosciuto
da gli altri lor
successori Pellicano insanguinato, Passare solitario, Agnello
ucciso. E cossì
lo chiamano, cossì lo pingono, cossì l'intendeno, dove lo veggio
in statua e
pittura con un libro, non so se posso dire, in mano, che non può
altro che lui
aprirlo e leggerlo. Oltre, tutti quei che son per credergli
deificati, non
son chiamati da lui, e si chiamano essi ancor gloriandosi, pecore
sue, sua pastura,
sua mandra, suo ovile, suo gregge? Lascio che gli medesimi
veggio
significati per gli asini: per la femina madre, il popolo giudaico; e
l'altre
generazioni che se gli doveano aggiongere, prestandogli fede, per il
polledro figlio.
Vedete, dunque, come questi divi, questo geno eletto vien
significato per
sì povere e basse bestie; e poi si burlano di noi che siamo
presentati in più
forti, degne ed imperiose altre?
43
Lascio che tutte le generazioni illustri ed egregie mentre per gli lor segni
ed imprese
vogliono mostrarsi ed essere significate, ecco le vedi aquile,
falconi, nibbii,
cuculi, civette, nottue, buboni, orsi, lupi, serpi, cavalli,
buovi, becchi; e
tal volta, perché manco si stimano degni de farsi una bestia
intiera, ecco vi
presentano un pezzo di quella, o una gamba, o una testa, o un
paio di corna, o
una coda, o un nerbo. E non pensate che, se si potessero
trasformare in
sustanza di tali animali, non lo farrebono volentiera; atteso, a
qual fine stimate
che pingono nel suo scudo le bestie quando le accompagnano col
suo ritratto, con
la sua statua? Pensate forse che vogliono dire altro eccetto:
Questo, questo,
di cui, o spettatore, vedi il ritratto, è quella bestia, che gli
sta vicina e
compiuta; overo: Se volete saper chi è questa bestia, sappiate che
la è costui di
cui vedete qua il ritratto e qua scritto il nome. Quanti sono,
che per meglior
parere bestie, s'impellicciano di lupo, di volpe, di tasso, di
caprone, di
becco, onde, ad essere uno di cotai animali, non par che gli manca
altro che la
coda? Quanti sono che per mostrar quanto hanno dell'ucello, del
volatile e far
conoscere con quanta leggerezza si potrebono sullevare alle nubi,
s'impiumano il
cappello e la barretta?
44
\ SAUL.\ Che dirai de le dame nobili, tanto de le grandi, quanto di quelle
che voglion far
del grande? non fanno elle più gran caso delle bestie che de
proprii figli?
Eccole, quasi dicessero: - O figlio mio, fatto a mia imagine: se
come ti mostri
uomo, cossì ti mostrassi coniglio, cagnolina, martora, gatto,
gibellino; certo,
si come ti ho commesso a le braccia de la serva, de la fante,
de questa
ignobile nutriccia, di questa sugliarda, sporca, imbreaca, che
facilmente,
infettandoti di lezzo, ti farà morire; perché conviene anco che
dormi con ella;
io, io sarei quella che medesima ti portarei in braccio, ti
sostenerei,
lattarei, pettinarei, ti cantarei, ti farei di vezzi, ti baciarei,
come fo a
quest'altro gentile animale, il qual non voglio che si domestiche con
altro che con me;
non permetterò che sia tocco da altro che da me; e non
lasciarò star in
altra camera e dormir in altro letto che nel mio. Questo se
averrà che la
cruda Atropo mi tolga, non patirò che vegna sepolto come tu, ma
gl'imbalsimarò,
gli perfumarò la pelle; ed a quella, come a divina reliquia,
dove mancano li
membri de la fragil testa e piedi, io vi formarò la figura in
oro smaltato ed
asperso di diamanti, di perle e di rubini. Cossì, dove bisognarà
onoratamente
comparire, il portarò meco, ora avolgendomelo al collo, ora me
l'accostando al
volto, a la bocca, al naso; ora me l'appoggiarò al braccio; ora,
dismettendo il
braccio perpendicolarmente in giù, lo lasciarò ir prolungato
verso le falde, a
fin che non sia parte di quello che non sia messa in
prospettiva. -
Onde aperto si vede, quanto con più sedula cura queste più
generose donne
sono affette circa una bestia che verso un proprio figlio, per
far vedere quanta
sia la nobilità di quelle sopra questi, quanto quelle sono più
onorabili che
questi.
45
\ SOFIA\ E per tornare a più seriose raggioni, quelli che
sono, o si tegnono
più gran prencipi,
per far con espressi segni evidente la loro potestà e divina
preeminenza sopra
gli altri, s'adattano in testa la corona; la quale non è altro
che figura di
tante corna, che in cerchio gl'incoronano, id est gl'incornano il
capo. E quelle
quanto son più alte ed eminenti, tanto fanno più maestrale
representazione,
e son segno di maggior grandezza: onde è geloso un duca che un
conte o marchese
mostre una corona cossì grande come lui; maggiore conviene al
re, massima a
l'imperatore, triplicata tocca al papa, come a quello sommo
patriarca che ne
deve aver per lui e per li compagni. Li pontefici ancora sempre
hanno adoperata
la mitra acuminata in due corna; il duce di Venezia compare con
un corno a mezza
testa; il gran Turco da fuor del turbante lo fa uscir alto e
diritto in forma
rotonda piramidale: il che tutto è fatto per donar testimonio
della sua
grandezza, con accomodarsi con la meglior arte questa bella parte in
testa, la quale
alle bestie ha conceduta la natura: voglio dir, con mostrar di
aver de la
bestia. Questo nessuno avanti, né alcuno da poi ha possuto più
efficacemente
esprimere, che il duca e legislatore del popolo giudeo. Quel Mosè
dico, che in
tutte le scienze de gli Egizii usci addottorato da la corte di
Faraone; quello
che nella moltitudine di segni vinse tutti que' periti nella
maggia; in che
modo mostrò l'eccellenza sua, per esser divino legato a quel
popolo, e
representator de l'autorità del dio d'Ebrei? vi par che, calando giù
del monte Sina
con le gran tavole, venesse in forma d'un uomo puro, essendo che
si presentò
venerando con un paio di gran corna, che su la fronte gli
ramificavano?
Avanti la cui maestral presenza mancando il cuore di quel popolo
errante ch'il
mirava, bisognò che con un velo si cuoprisse il volto; il che pure
fu fatto da lui
per dignità e per non far troppo familiare quel divino e più che
umano aspetto.
45
\ SAUL.\ Cossì odo ch'il gran Turco, quando non porge familiare udienza, usa
il velo avanti la
sua persona. Cossì ho visto io gli Religiosi di Castello in
Genova mostrar
per breve tempo e far baciar la velata coda, dicendo: - Non
toccate, baciate;
questa è la santa reliquia di quella benedetta asina, che fu
fatta degna di
portar il nostro Dio dal monte Oliveto a Jerosolima. Adoratela,
baciatela,
porgete limosina: Centuplum accipietis, et vitam aeternam
possidebitis.
46
\ SOFIA\ Lasciamo questo, e venemo al nostro proposito. Per
la legge e
decreto di quella
nazion eletta nessuno si fa re se non con dargli de l'oglio
con un corno in
testa; e dal sacrato corno è ordine che esca quel regio liquore,
perché appaia
quanta sia la dignità de le corna, le quali conservano, effondeno
e parturiscono la
regia maestade. Or se un pezzo, una reliquia d'una bestia
morta è in tanta
riputazione, che devi pensar d'una bestia viva e tutta intiera,
che non ha le
corna improntate, ma per eterno beneficio di natura? Séguito il
proposito secondo
la mosaica autoritade, la quale nella legge e scrittura sempre
non usa altre
minacce che questa, o simili a questa: Ecco, popolo, mio, che dice
il nostro Giova.
Spuntarò il vostro corno, o transgressori di miei precetti, o
prevaricatori
della mia legge, fiaccarò, dileguarò le vostre corna. Ribaldi e
scelerati, vi
scornarò ben io. Cossì per l'ordinario non usa altre promesse che
questa, o simili
a questa: Te incornarò certo; per mia fede, per me stesso ti
giuro che ti
adaptarò le corna, popolo mio eletto. Popolo mio fedele, abbi per
fermo che non
arranno male le tue corna; di quelle non si scemarà nulla.
Generazione
santa, figli benedetti, inalzarò, magnificarò, sublimarò le corna
vostre, perché
denno essere exaltate le corna de' giusti. Da onde appare aperto,
che ne le corna
consiste il splendor, l'eccellenza e potestade, perché son cose
da eroi, bestie e
dei.
47
\ SAUL.\ Onde aviene che è messo in consuetudine di chiamar cornuto uno, per
dirlo uomo senza
riputazione, o che abbia perso qualche riputata specie di
onore?
48
\ SOFIA\ Onde aviene che alcuni ignoranti porcini alle volte
ti chiamano
filosofo (quale,
se è vero, è più onorato titolo che possa aver un uomo), e te
lo dicono come
per dirti ingiuria o per vituperarti?
49
\ SAUL.\ Da certa invidia.
50
\ SOFIA\ Onde aviene che alcun pazzo e stolto tal volta da
te vien chiamato
filosofo?
51
\ SAUL.\ Da certa ironia.
52
\ SOFIA\ Cossì poi intendere che, o per certa invidia o per
certa ironia,
aviene che quei
che sono, o che non sono onorati e magnifici, vegnono nomati
cornuti.
Conchiuse dunque Iside per il Capricorno, che, per aver egli le corna e
per esser egli
una bestia, ed oltre aver fatti dovenir gli dei cornuti e bestie
(il che contiene
in sé gran dottrina e giudicio di cose naturali e magiche circa
le diverse
raggioni con le quali la forma e sustanza divina o s'immerge, o si
explica, o si
condona per tutti, con tutti e da tutti suggetti), è un dio non
solamente
celeste, ma, ed oltre, degno di maggiore e meglior piazza che non è
questa. E per
quello che gli più vili idolatri, anzi gli vilissimi de la Grecia
e de l'altre
parti del mondo, improperano a gli Egizii, risponde per quel che è
detto, che se pur
si commette indignità nel culto, il quale è necessario in
qualche maniera;
e se peccano quei che per molte commoditadi e necessitadi, in
forme de vive
bestie, vive piante, vivi astri, ed inspiritate statue di pietre e
di metallo (nelle
quali non possiamo dir che non sia quello che è più intimo a
tutte le cose,
che la propria forma di esse), adororno la deità una e semplice
ed absoluta in se
stessa, multiforme ed omniforme in tutte le cose; quanto
incomparabilmente
peggiore è quel culto, e più vilmente peccano quei che senza
commodità e
necessità alcuna, anzi fuor d'ogni raggione e dignità, sotto abiti e
titoli ed insegne
divine adorano le bestie e peggiori che bestie?
53
Gli Egizii, come sanno i sapienti, da queste forme naturali esteriori di
bestie e piante
vive ascendevano e (come mostrano gli lor successi) penetravano
alla divinità; ma
loro da gli abbiti magnifici esterni de gli lor idoli (ad
altri
accomodandogli al capo gli dorati raggi apollineschi, ad altri la grazia
di Cerere, ad
altri la purità di Diana, ad altri l'aquila, ad altri il scettro e
folgore di Giove
in mano) descendeno poi ad adorar in sustanza per dei quei che
a pena hanno
tanto spirito quanto le nostre bestie; perché finalmente la loro
adorazione si
termina ad uomini mortali, dappoco, infami, stolti, vituperosi,
fanatici,
disonorati, infortunati, inspirati da genii perversi, senza ingegno,
senza facundia e
senza virtude alcuna; i quali vivi non valsero per sé, e non è
possibile che
morti vagliano per sé o per altro. E benché per lor mezzo è tanto
instercorata ed
insporcata la dignità del geno umano, che in loco di scienze è
imbibito de
ignoranze più che bestiali, onde è ridotto ad esser governato senza
vere giustizie
civili, tutto è avenuto non per prudenza loro, ma perché il fato
dona il suo tempo
e vicissitudine a le tenebre. E soggionse queste paroli,
voltata a Giove:
- E mi dolgo di voi, o padre, per molte bestie, che, per esser
bestie, mi par
che facci indegne del cielo, essendo però, come ho mostrato,
tanta la dignità
di quelle. - A cui il summitonante: - Te inganni, figlia, che
per esser bestie.
Se gli altri dei sdegnassero l'esser bestie, non sarrebono
accadute tante e
tali metamorfosi. Però non possendo, né dovendovi rimanere in
ipostatica
sustanza, voglio che vi rimagnano in ritratto, il qual sia
significativo,
indice e figura de le virtudi che in que' luoghi si stabiliscono.
E quantunque
alcune hanno espressa significazione di vizio, per essere animali
atti alla
vendetta contra la specie umana, non sono però senza virtù divina in
altro modo
favorevolissime a quella medesima ed altre, perché nulla è
absolutamente,
ma, per certo rispetto, malo, come l'Orsa, il Scorpione ed altri:
questo non voglio
che ripugne al proposito, ma lo comporte nel modo che hai
possuto aver
visto e vedrai. Però non curo che la Verità sia sotto figura e nome
de l'Orsa, la
Magnanimità sotto quel de l'Aquila, la Filantropia sotto quel del
Delfino, e cossì
de gli altri. E per venire alla proposta del tuo Capricorno, tu
sai quel ch'ho
detto da principio, quando feci l'enumerazione di quei che
doveano lasciar
il cielo; e credo che ti ricordi lui essere uno de gli
riservati. Godasi
dunque la sua sedia, tanto per le raggioni da te apportate,
quanto per altre
molte non minori, che apportar si potrebono. E con lui, per
degni rispetti,
soggiorne la Libertà di spirito a cui talvolta amministra il
Monachismo (non
dico quello de cocchiaroni), l'Eremo, la Solitudine, che
sogliono parturir
quel divino sigillo ch'è la buona Contrazione.
54
Appresso dimandò Teti di quel che volea far de l'Aquario. -Vada, rispose
Giove, a trovar
gli uomini, e sciôrgli quella questione del diluvio, e
dechiarare come
quello ha possuto essere generale, perché s'apersero tutte le
cataratte del
cielo; e faccia che non si creda oltre quello esser stato
particolare,
perché è impossibile che l'acqua del mare e fiumi possa gli ambi
doi emisferi
ricuoprire, anzi né pur un medesimo citra ed oltre i Tropici o
l'Equinoziale.
Appresso faccia intendere come questa riparazion del geno
traghiuttito da
l'onde fu da l'Olimpo nostro de la Grecia, e non da gli monti di
Armenia, o dal
Mongibello di Sicilia, o da qualch'altra parte. Oltre che le
generazioni de
gli uomini si trovano in diversi continenti non a modo con cui si
trovano tante
altre specie d'animali usciti dal materno grembo de la natura, ma
per forza di
transfretazione e virtù di navigazione, perché, verbigrazia, son
stati condotti da
quelle navi che furono avanti che si trovasse la prima; perché
(lascio altre
maladette raggioni da canto, quanto a gli Greci, Druidi e tavole
di Mercurio, che
contano più di vinti mila anni non dico de lunari, come dicono
certi magri
glosatori, ma di que' rotondi simili a l'annello, che si computano
da un inverno a
l'altro, da una primavera a l'altra, da uno autunno a l'altro,
da una staggione
a l'altra medesima) è frescamente scuoperta una nuova parte de
la Terra che
chiamano Nuovo Mondo, dove hanno memoriali di diece mila anni e
più, gli quali
sono, come vi dico, integri e rotondi, perché gli loro quattro
mesi son le
quattro staggioni, e perché, quando gli anni eran divisi in più
pochi, erano anco
divisi in più grandi mesi. Ma lui, per evitar gl'inconvenienti
che possete da
per voi medesimi considerare, vada destramente a mantenir questa
credenza,
trovando qualche bel modo di accomodar quelli anni; e quello che non
può glosare ed
iscusare, audacemente nieghi, dicendo che si deve porgere più
fede a gli dei
(de quali portarà le lettere patente e bolle) che a gli uomini,
li quali tutti
son buggiardi. - Qua aggionse Momo dicendo: - E 'l mi par meglio
di scusarla in
questa maniera con dire, verbigrazia, che questi de la terra nova
non son parte de
la umana generazione, perché non sono uomini, benché in membra,
figura e cervello
siano molto simili a essi; ed in molte circonstanze si
mostrano più
savii ed in trattar gli lor dei manco ignoranti. - Rispose Mercurio
che questa era
troppo dura a digerire. - Mi par che quanto appartiene alle
memorie di tempi,
si può facilmente provedere con far maggiori questi, o minori
quelli anni; ma
penso che sia conveniente trovar alcuna gentil raggione, per
qualche soffio di
vento, o per qualche trasporto di balene ch'abbiano
inghiuttite
persone di un paese, e quelle vive andate a vomire in altre parti ed
altri continenti.
Altrimente noi dei greci saremo confusi; perché si dirà che
tu, Giove, per
mezzo di Deucalione non sei riparator de gli uomini tutti, ma di
certa parte
solamente. - Di questo e del modo di provedere si parlarà a più
bell'agio, -
disse Giove. Aggiunse alla commissione di costui, che debba egli
definire circa la
controversia se lui è stato sin ora in cielo per un padre di
Greci, o di
Ebrei, o di Egizii o di altri, e se ha nome Deucalione, o Noemo, o
Otrio, o Osiri.
Finalmente determine se lui è quel patriarca Noè, che, imbreaco
per l'amor di
vino, mostrava il principio organico della lor generazione a'
figli, per fargli
intendere insieme insieme dove consistea il principio
ristorativo di
quella generazione assorbita ed abissata da l'onde del gran
cataclismo,
quando doi uomini maschii ritrogradando gittâro gli panni sopra il
discuoperto seno
del padre; o pur è quel tessalo Deucalione, a cui, insieme con
Pirra sua
consorte, fu mostrato ne le pietre il principio della umana
riparazione; là
onde de doi uomini, un maschio e una femina, retrogradando le
gittavano a
dietrovia al discuoperto seno della terra madre? Ed insegne di
questi doi modi
de dire (perché non possono esser l'uno e l'altro istoria) qual
sia la favola e
qual sia la istoria; e se sono ambi doi favole, qual sia la
madre e quale sia
la figlia; e veda se potrà ridurle a metafora di qualche
veritade degna
d'essere occolta. Ma non inferisca che la sufficienza della magia
caldaica sia
uscita e derive da la cabala giudaica; perché gli Ebrei son
convitti per
escremento de l'Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con
qualche
verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno o indegno
principio da
quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole,
metafore e
dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto, e non
quella
generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o
per giustizia
civile il suo; onde a sufficienza si può conchiudere che non sono
naturalmente,
come né per lunga violenza di fortuna mai furono, parte del mondo.
55
\ SAUL.\ Questo, o Sofia, sia detto da Giove per invidia; perché quindi
degnamente son
detti e si dicono santi, per essere più tosto generazion celeste
e divina che
terrestre ed umana; e non avendo degna parte di questo mondo,
vegnono approvati
da gli angeli eredi di quell'altro, il quale tanto è più degno
quanto non è
uomo, o grande o picciolo, o savio o stolto, che per forza o di
elezione o di
fato non possa acquistarlo, e certissimamente tenerlo per suo.
56
\ SOFIA\ Stiamo in proposito, o Saulino.
57
\ SAUL.\ Or dite, che cosa volse Giove che succedesse a quella piazza?
58
\ SOFIA\ La Temperanza, la Civilità, la Urbanitade,
mandando giù la
Intemperanza,
l'Eccesso, l'Asprezza, Selvaticia, Barbaria.
59
\ SAUL.\ Come, o Sofia, la Temperanza ottiene medesima sedia con
l'Urbanitade?
60
\ SOFIA\ Come la madre può coabitar con la figlia; perché
per l'Intemperanza
circa gli affetti
sensuali ed intellettuali si dissolveno, disordinano,
disperdeno ed
indiluviano le fameglie, le republiche, le civili conversazioni ed
il mondo; la
Temperanza è quella che riforma il tutto, come ti farò intendere,
quando andaremo
visitando queste stanze.
61
\ SAUL.\ Sta bene.
62
\ SOFIA\ Or, per venire alli Pesci, si alzò in piedi la
bella madre di
Cupido, e disse:
- Vi raccomando con tutto il mio core (per il ben che mi volete
ed amor che mi
portate, o dei) li miei padrini, li quali al lido del fiume
Eufrate versâro
quel grand'ovo che covato dalla colomba ischiuse la mia
misericordia. -
Tornino dunque là dove erano, disse Giove; ed assai li baste di
esser stati qua
tanto tempo, e che se gli confirme il privilegio che gli Siri
non le possano
mangiar senza essere iscomunicati; e guardinsi che di nuovo non
vegna qualche
condottiero Mercurio, che, togliendoli le ova interiori, forme
qualche metafora
di nuova misericordia per sanar il mal de gli occhi di qualche
cieco; perché non
voglio che Cupido apra gli occhi, atteso che, se cieco tira
tanto diritto ed
impiaga tanti quanti vuole, che pensate farrebe, se avesse gli
occhi tersi?
Vadino dunque là e stiano in cervello per quel ch'ho detto. Vedete
come da per se
medesimo il Silenzio, la Taciturnità, in forma con cui apparve ne
l'Egitto e Grecia
il simulacro di Pixide, con l'indice apposto alla bocca, va a
prendere il suo
loco. Or lasciatelo passar, non gli parlate, non gli dimandate
nulla. Vedete
come da quell'altro canto si spicca la Ciarla, la Garrulità, la
Loquacità con
altri servi, damigelle ed assistenti. - Soggionse Momo: - Tolgasi
ancora alla
mal'ora quella chioma detta gli Crini di Berenice, e sia portata da
quel Tessalo a
vendere in terra a qualche calva principessa. - Bene! - rispose
Giove. - Or
vedete purgato il spacio del signifero, dove son prese trecento
quaranta sei
stelle notabili: cinque massime, nove grandi, sessanta quattro
mediocri, cento
trentatré picciole, centocinque minori, vintisette minime, tre
nebbiose. –
|