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Giordano Bruno
Spaccio de la bestia trionfante

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  • Dial. 3
    • Prima parte del terzo dialogo.
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Dial. 3

Prima parte del terzo dialogo.

1 \ SOFIA\ Non fia mestiero, Saulino, di farti intendere per il particolare

tutti que' propositi che tenne la Fatica, o Diligenza, o Sollecitudine, o come

la volete chiamare (perché ha più nomi che non potrei farti udire in una ora);

ma non voglio passar con silenzio quello che successe subito che colei con le

sue ministre e compagne andò a prendersi il loco là dove dicevamo essere il

negocioso Perseo.

2 \ SAUL.\ Dite, che io vi ascolto.

3 \ SOFIA\ Subito (perché il sprone dell'Ambizione sovente sa spingere ed

incitar tutti eroici e divini ingegni, sin a questi dei compagni Ocio e Sogno)

avenne che non ociosa e sonnacchiosamente, ma solleciti e senza dimora, non sì

tosto la Fatica e Diligenza disparve, che essi vi furono visti presenti. Per il

che disse Momo: - Liberaci, Giove, da fastidio, perché veggio aperto che ancora

non mancaranno garbugli dopo l'espedizione di Perseo, come n'abbiamo avuti tanti

dopo quella d'Ercole. - A cui rispose Giove: - L'Ocio non sarrebe Ocio, ed il

Sonno non sarrebe Sonno, se troppo a lungo ne dovessero molestare per troppa

diligenza o fatica che debbano prendere; perché quella è discostata da qua, come

vedi; e questi son qua solo in virtù privativa che consiste nell'absenza de la

lor opposita e nemica. - Tutto passarà bene, disse Momo, se non ne faranno tanto

ociosi e lenti, che per questo giorno non possiamo definire di quello che si

deve conchiudere circa il principale. - Cominciò, dunque, l'Ocio in questa

maniera a farsi udire: - Cossì l'Ocio, o dei, è talvolta malo, come la Diligenza

e Fatica è più de le volte mala: cossì l'Ocio il più de le volte è conveniente e

buono, come le sue volte è buona la Fatica. Non credo dunque, se giustizia tra

voi si trova, che vogliate negarmi equale onore, se non è debito che mi stimiate

manco degno. Anzi per raggione mi confido di farvi capire (per causa di certi

propositi che ho udito allegare in lode e favore della diligenza e negocio) che

quando saremo posti nel bilancio della raggionevole comparazione, se l'Ozio non

si trovarà equalmente buono, si convencerà di gran vantaggio megliore, di

maniera che non solo non la mi stimarete equalmente virtude, ma, oltre,

contrariamente vizio.

4 Chi è quello, o dei, che ha serbata la tanto lodata età de l'oro? chi l'ha

instituta, chi l'ha mantenuta, altro che la legge de l'Ocio, la legge della

natura? Chi l'ha tolta via? chi l'ha spinta quasi irrevocabilmente dal mondo,

altro che l'ambiziosa Sollecitudine, la curiosa Fatica? Non è questa quella

ch'ha perturbato gli secoli, ha messo in scisma il mondo e l'ha condotto ad una

etade ferrigna e lutosa ed argillosa, avendo posti gli popoli in ruota ed in

certa vertigine e precipizio, dopo che l'ha sullevati in superbia ed amor di

novità, e libidine de l'onore e gloria d'un particolare? Quello che, in

sustanza, non dissimile a tutti, e tal volta, in dignitade e merito, è infimo a

que' medesimi, con malignitade è stato forse superiore a molti, e però viene ad

essere in potestà di evertere le leggi de la natura, di far legge la sua

libidine, a cui servano mille querele, mille orgogli, mille ingegni, mille

sollecitudini, mille di ciascuno de gli altri compagni, con gli quali cossì

boriosa è passata avanti la Fatica; senza gli altri che sotto le vesti di que'

medesimi coperti ed occolti non son apertamente giti, come l'Astuzia, la

Vanagloria, il Dispreggio d'altri, la Violenza, la Malizia, la Fizione e gli

seguaci loro che non son passati per la presenza vostra; quai sono Oppressione,

Usurpazione, Dolore, Tormento, Timore e Morte; li quali son gli executori e

vendicatori mai del quieto Ocio, ma sempre della sollecita e curiosa Industria,

Lavoro, Diligenza, Fatica; e cossì di tanti altri nomi, di quanti, per meno

essere conosciuta, se intitula, e per quali più tosto si viene ad occoltare che

a farsi sapere.

5 Tutti lodano la bella età de l'oro, ne la quale facevo gli animi quieti e

tranquilli, absoluti da questa vostra virtuosa dea; a gli cui corpi bastava il

condimento de la fame a far più suave e lodevol pasto le ghiande, li pomi, le

castagne, le persiche e le radici, che la benigna natura administrava, quando

con tal nutrimento meglio le nutriva, più le accarezzava e per più tempo le

manteneva in vita, che non possano far giamai tanti altri artificiosi condimenti

ch'ha ritrovati l'Industria ed il Studio, ministri di costei; li quali,

ingannando il gusto ed allettandolo, amministrano come cosa dolce il veleno; e

mentre son prodotte più cose che piaceno al gusto, che quelle che giovano al

stomaco, vegnono a noiar alla sanità e vita, mentre sono intenti a compiacere

alla gola. Tutti magnificano l'età de l'oro, e poi stimano e predicano per virtù

quella manigolda che la estinse, quella ch'ha trovato il mio ed il tuo: quella

ch'ha divisa e fatta propria a costui e colui non solo la terra (la quale è data

a tutti gli animanti suoi), ma, ed oltre, il mare, e forse l'aria ancora.

Quella, ch'ha messa la legge a gli altrui diletti, ed ha fatto che quel tanto

che era bastante a tutti, vegna ad essere soverchio a questi e meno a

quell'altri; onde questi, a suo mal grado, crapulano, quelli altri si muoiono di

fame. Quella ch'ha varcati gli mari, per violare quelle leggi della natura,

confondendo que' popoli che la benigna madre distinse, e per propagare i vizii

d'una generazione in un'altra; perché non son cossì propagabili le virtudi,

eccetto se vogliamo chiamar virtudi e bontadi quelle che per certo inganno e

consuetudine son cossì nomate e credute, benché gli effetti e frutti sieno

condannati da ogni senso e ogni natural raggione. Quai sono le aperte ribaldarie

e stoltizie e malignitadi di leggi usurpative e proprietarie del mio e tuo; e

del più giusto, che fu più forte possessore; e di quel più degno, che è stato

più sollecito e più industrioso e primiero occupatore di que' doni e membri de

la terra, che la natura e, per conseguenza, Dio indifferentemente donano a

tutti.

6 Io forse sarò men faurita che costei? Io, che col mio dolce che esce dalla

bocca della voce de la natura, ho insegnato di viver quieto, tranquillo e

contento di questa vita presente e certa, e di prendere con grato affetto e mano

il dolce che la natura porge, e non come ingrati ed irreconoscenti neghiamo ciò

che essa ne dona e detta, perché il medesimo ne dona e comanda Dio, autor di

quella a cui medesimamente verremo ad essere ingrati. Sarà, dico, più favorita

costei, che, sì rubella e sorda a gli consegli, e ritrosa e schiva contra gli

doni naturali, adatta li suoi pensieri e mani ad artificiose imprese e

machinazioni, per quali è corrotto il mondo e pervertita la legge de la nostra

madre? Non udite come a questi tempi, tardi accorgendosi il mondo di suoi mali,

piange quel secolo, nel quale col mio governo mantenevo gaio e contento il geno

umano, e con alte voci e lamenti abomina il secolo presente, in cui la

Sollecitudine ed industriosa Fatica, conturbando, si dice moderar il tutto con

il sprone dell'ambizioso Onore?

O bella età de l'oro

Non già perché di latte

Se 'n corse il fiume e stillò mèle il bosco;

Non perché i frutti loro

Diêr da l'aratro intatte

Le terre, e gli angui errar senz'ira e tòsco;

Non perché nuvol fosco

Non spiegò allor suo velo,

E 'n primavera eterna,

Ch'ora s'accende e verna,

Rise di luce e di sereno il cielo,

Né portò peregrino

O guerra o merce a l'altrui lidi il pino:

Ma sol perché quel vano

Nome senza soggetto,

Quel idolo d'errori, idol d'inganno,

Quel che dal volgo insano

Onor poscia fu detto

Che di nostra natura il feo tiranno,

Non meschiava il suo affanno

Fra le liete dolcezze

De l'amoroso gregge;

Né fu sua dura legge

Nota a quell'alme in libertade avezze,

Ma legge aurea e felice,

Che Natura scolpì: S'ei piace, ei lice.

7 Questa, invidiosa alla quiete e beatitudine, o pur ombra di piacere che in

questo nostro essere possiamo prenderci, avendo posta legge al coito, al cibo,

al dormire, onde non solamente meno delettar ne possiamo, ma per il più sovente

dolere e tormentarci; fa che sia furto quel che è dono di natura, e vuol che si

spregge il bello, il dolce, il buono; e del male amaro e rio facciamo stima.

Questa seduce il mondo a lasciar il certo e presente bene che quello tiene, ed

occuparsi e mettersi in ogni strazio per l'ombra di futura gloria. Io di quel

che con tanti specchi, quante son stelle in cielo, la verità dimostra, e quel

che con tante voci e lingue, quanti son belli oggetti, la natura di fuore

intona, vegno da tutti lati de l'interno edificio ad.esortarlo:

Lasciate l'ombre ed abbracciate il vero.

Non cangiate il presente col futuro.

Voi siete il veltro che nel rio trabocca,

Mentre l'ombra desia di quel ch'ha in bocca.

Aviso non fu mai di saggio o scaltro

Perder un ben per acquistarne un altro.

A che cercate sì lungi diviso

Se in voi stessi trovate il paradiso?

Anzi, chi perde l'un mentre è nel mondo

Non speri dopo morte l'altro bene.

Perché si sdegna il ciel dar il secondo

A chi il primero don caro non tene;

Cossì credendo alzarvi, gite al fondo;

Ed ai piacer togliendovi, a le pene

Vi condannate; e con inganno eterno,

Bramando il ciel, vi state ne l'inferno.

8 Qua rispose Momo, dicendo che il conseglio non aveva tanto ocio, che potesse

rispondere a una per ciascuna de le raggioni che l'Ocio, per non aver avuta

penuria d'ocio, ha possute intessere ed ordinare. Ma che per il presente si

servisse de l'esser suo, con andar ad aspettar per tre o quattro giorni; perché

potrà essere che, per trovarsi gli dei in ocio, potessero determinar qualche

cosa in suo favore; il che adesso è impossibile. Soggionse l'Ocio: -Siami

lecito, o Momo, di apportar un altro paio di raggioni, in non più termini che in

forma di un paio di sillogismi, più in materia efficaci che in forma. De quali

il primo è questo: al primo padre de gli uomini, quando era buon omo, ed a la

prima madre de le femine, quando era buona femina, Giove gli concese me per

compagno; ma, quando devenne questa trista e quello tristo, ordinò Giove che se

gli aventasse quella per compagna, a fin che facesse a costei sudar il ventre ed

a colui doler la fronte.

9 \ SAUL.\ Dovea dire: sudar a colui la fronte, e doler a colei il ventre.

10 \ SOFIA\ - Or considerate, dei, disse, la conclusione che pende da quel che

io fui dechiarato compagno de l'Innocenza, e costei compagna del peccato. Atteso

che, se il simile s'accompagna col simile, il degno col condegno, io vegno ad

esser virtude e colei vizio, e per tanto io degno e lei indegna di tal sedia. Il

secondo sillogismo è questo: Li dei son dei, perché son felicissimi; li felici

son felici, perché son senza sollecitudine e fatica: fatica e sollecitudine non

han color che non si muoveno ed alterano; questi son massime quei ch'han seco

l'Ocio; dunque gli dei son dei, perché han seco l'Ocio.

11 \ SAUL.\ Che disse Momo a questo?

12 \ SOFIA\ Disse che, per aver studiato logica in Aristotele, non aveva

imparato di rispondere a gli argumenti in quarta figura.

13 \ SAUL.\ E Giove che disse?

14 \ SOFIA\ Che di tutto, che lei avea detto e lui udito, non si ricordava altro

che l'ultima raggione circa l'essere stato compagno del buono uomo e femina;

intorno alla quale gli occorreva, che gli cavali non pertanto son asini, perché

si trovano in compagnia di quelli, né giamai la pecora è capra tra le capre. E

soggionse che gli dei aveano donato a l'uomo l'intelletto e le mani, e l'aveano

fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri animali; la qual

consiste non solo in poter operar secondo la natura ed ordinario, ma, ed oltre,

fuor le leggi di quella; acciò, formando o possendo formar altre nature, altri

corsi, altri ordini con l'ingegno, con quella libertade, senza la quale non

arrebe detta similitudine, venesse ad serbarsi dio de la terra. Quella certo,

quando verrà ad essere ociosa, sarà frustratoria e vana, come indarno è l'occhio

che non vede, e mano che non apprende. E per questo ha determinato la

providenza, che vegna occupato ne l'azione per le mani, e contemplazione per

l'intelletto; de maniera che non contemple senza azione, e non opre senza

contemplazione. Ne l'età dunque de l'oro per l'Ocio gli uomini non erano più

virtuosi che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano più stupidi

che molte di queste. Or essendo tra essi per l'emulazione d'atti divini ed

adattazione di spirituosi affetti nate le difficultadi, risorte le necessitadi,

sono acuiti gl'ingegni, inventate le industrie, scoperte le arti; e sempre di

giorno in giorno, per mezzo de l'egestade, dalla profundità de l'intelletto

umano si eccitano nove e maravigliose invenzioni. Onde sempre più e più per le

sollecite ed urgenti occupazioni allontanandosi dall'esser bestiale, più

altamente s'approssimano a l'esser divino. De le ingiustizie e malizie che

crescono insieme con le industrie, non ti devi maravigliare; perché, se gli bovi

e scimie avessero tanta virtù ed ingegno, quanto gli uomini, arrebono le

medesime apprensioni, gli medesimi affetti e gli medesimi vizii. Cossì tra gli

uomini quei ch'hanno del porco, de l'asino e del bue, son certo men tristi, e

non sono infetti di tanti criminosi vizii; ma non per ciò sono più virtuosi,

eccetto in quel modo con cui le bestie, per non esser partecipi di altretanti

vizii, vegnono ad esser più virtuose de loro. Ma noi non lodiamo la virtù de la

continenza nella scrofa, la quale si lascia chiavare da un sol porco ed una

volta l'anno; ma in una donna la quale non solo è sollecitata una volta dalla

natura per il bisogno de la generazione, ma ed ancora dal proprio discorso più

volte per l'apprensione del piacere, e per esser ella ancor fine degli suoi

atti. Oltre di ciò non troppo, ma molto poco lodiamo di continenza una femina o

un maschio porcino, il quale per stupidità e durezza di complessione avien che

di rado e con poco senso vegna sollecitato da la libidine, come quell'altro che

per esser freddo e maleficiato, e quell'altro per esser decrepito; altrimente

deve esser considerata la continenza, la quale è veramente continenza e

veramente virtù in una complessione più gentile, più ben nodrita, più ingegnosa,

più perspicace e maggiormente apprensiva. Però per la generalità de regioni a

gran pena è virtù ne la Germania, assai è virtù ne la Francia, più è virtù ne

l'Italia, di vantaggio è virtù nella Libia. Là onde, se più profondamente

consideri, tanto manca che Socrate revelasse qualche suo difetto, che più tosto

venne a lodarsi tanto maggiormente di continenza, quando approvò il giudicio del

fisionomista circa la sua natural inclinazione al sporco amor di gargioni. Se

dunque, Ocio, consideri quello che si deve considerar da questo, trovarai che

non per tanto nella tua aurea etade gli uomini erano virtuosi, perché non erano

cossì viziosi, come al presente; atteso che è differenza molta tra il non esser

vizioso e l'esser virtuoso; e non cossì facilmente l'uno si tira da l'altro,

considerando che non sono medesime virtudi dove non son medesimi studi, medesimi

ingegni, inclinazioni e complessioni. Però, per comparazione da pazzi ed ingegni

cavallini, aviene che gli barbari e salvatici si tegnon megliori che noi altri

dei, per non esser notati di que' vizii medesimi; per ciò che le bestie, le

quali son molto meno in tai vizii notabili che essi, saranno per questo molto

più buone che loro. A voi dunque, Ocio e Sonno, con la vostra aurea etade

converrà bene che non siate vizii qualche volta ed in qualche maniera; ma giamai

ed in nessun modo che siate virtudi. Quando dunque tu, Sonno, non sarai Sonno, e

tu, Ozio, sarai Negocio, allora sarete connumerati tra virtudi ed essaltati. -

Qua il Sonno si fece un passetto avanti, e si fricò alquanto gli occhi per dire

ancora lui qualche cosetta ed apportar qualche picciolo proposito avanti il

Senato, per non parer d'esservi venuto in vano. Quando Momo il vedde cossì

suavemente rimenarsi pian pianino, rapito dalla grazia e vaghezza de la dea

Oscitazione, che, come aurora avanti il sole, precedeva avanti a lui, in punto

di voler far ella il prologo; e non osando di scuoprir il suo amor in conspetto

de gli dei, per non essergli lecito di accarezzar la fante, fece carezze al

signore in questa foggia (dopo aver gittato un caldetto suspiro), parlando per

lettera, per fargli più riverenza ed onore:

Somne, quies rerum, placidissime somne deorum,

Pax animi, quem cura fugit, qui corpora duris

Fessa ministeriis mulces reparasque labori.

15 Non sì tosto ebbe cominciata questa cantilena il dio de le riprensioni (il

quale per la già detta caggione s'era dismenticato de l'ufficio suo), che il

Sonno, invaghito per il proposito di tante lodi e demulcto dal tono di quella

voce, invita a l'udienza il Sopore che gli alloggiava ne gli precordii. Il

quale, dopo aver fatto cenno alle fumositadi che faceano residenza nel stomaco,

gli montorno tutti insieme sul cervello, e cossì vennero ad aggravarli la testa,

e con questo vennero a discioperarsi gli sensi. Or mentre il Ronfo sonavagli li

scifoli e tromboni innante, andò trepidando trepidando a curvarsi e dar il capo

in seno di madonna Giunone; e da quel chino avenne (perché questo dio va sempre

in camicia e senza braghe) che, per essere la camicia troppo corta, mostrò le

natiche, il coliseo e la punta del campanile a Momo e tutti gli altri dei

ch'erano da quella parte. Or, con questa occasione, ecco venuto in campo il

Riso, con presentar a gli occhi del Senato la prospettiva di tanti ossetti, che

tutti eran denti; e facendosi udire con la dissonante musica di tanti cachinni,

interruppe il filo de l'orazione a Momo. Il qual, non possendosi risentir contra

costui, tutto il sdegno suo converse contra il Sonno che l'avea provocato, con

non premiarlo al meno di buona attenzione, e di sopragionta con andar ad

offrirgli con tanta sollennitade il purgatorio, con la pera e baculo di

Giacobbe, come per maggior dispreggio del suo adulatorio ed amatorio dicendi

genus. Là onde ben si accorgeva che gli dei non tanto ridevano per la condizion

del Sonno, quanto per il strano caso intervenuto a lui, e perché il Sonno era

giocatore ed egli era suggetto di questa comedia; e con ciò avendogli la

Vergogna d'un velo sanguigno ricoperto il volto: - A chi tocca, disse, di

levarci dinanzi questo ghiro? chi fa che sì a lungo questo ludibrioso specchio

ne si presente a gli occhi? - In tanto la dea Poltronaria, commossa da la

rabbiosa querela di Momo (dio de' non più volgari ch'abbia il cielo), se mise il

suo marito in braccio; e presto, avendolo indi tolto, lo menò verso la cavità

d'un monte vicino a gli Cimmerii; e con questi si partiro li suoi tre figli

Morfeo, Icilone e Fantaso; che tutti tosto si ritrovorno là dove da la terra

perpetue nebbie exalano, caggionando eterno crepuscolo a l'aria: dove vento non

soffia, e la muta Quiete tiene un suo palaggio ancora vicino a la regia del

Sonno; avanti il cui atrio è un giardino di tassi, faghi, cipressi, bussi e

lauri; nel cui mezzo è una fontana, che deriva da un picciol rio, che dal rapido

varco del fiume leteo, divertendo dal tenebroso inferno alla superficie de la

terra, ivi viene a discuoprirsi al cielo aperto. Qua il dormiglioso dio rimesero

nel suo letto, di cui d'ebano le tavole, di piume i strami ed il padiglion di

seta di color pardiglio.

16 In questo mentre, presa avendo licenza il Riso, se partì dal conclave; ed

essendo rimesse al suo sesto le bocche e ganasse de gli dei, che poco mancò che

non venesse smascellato alcuno di essi, l'Ocio, il qual solo ivi era rimaso,

vedendo il giudicio de' dei non troppo inchinato al suo favore, e desperando di

profittar oltre in qualche maniera, se le sue quasi tutte e più principali

raggioni non erano accettate, ma, tante quante fûro, di rovescio erano state

ributtate a terra, dove per forza de la repulsa altre erano mal vive, altre

erano crepate, altre aveano il collo rotto, altre in tutto erano andate in pezzi

e fracasso: stimava ogni momento un anno, per pigliar occasione di tôrsi de là

di mezzo, prima che forse gli potesse intravenire qualche vituperosa disgrazia

simile a quella del suo compagno, per rispetto del quale dubitava che Momo non

gli aggravasse le censure contra. Ma quello, scorgendo il spavento, che costui

aveva di fatti non suoi: - Non dubitar, povera persona, gli disse; perché io,

instituito dal fato advocato de poveri, non voglio mancar di far la causa tua.

E voltato a Giove, gli disse: - Per il tuo dire, o Padre, intorno alla causa de

l'Ocio, comprendo che non sei a pieno informato de l'esser suo, della sua stanza

e de gli suoi ministri e corte; la qual certamente se verrai a conoscere,

facilmente mi persuado che, se non come Ocio lo vuoi incatedrare nelle stelle,

almeno come Negocio lo farai alloggiare insieme con quell'altro, detto e stimato

suo nemico; con il qual, senza farsi male l'un l'altro, potrà far perpetuo

soggiorno. - Rispose Giove, che lui desiderava occasione di poter giustamente

contentar l'Ocio, de le cui carezze non è mortale né dio che non soglia sovente

delettarsi; però che volentieri l'ascoltarebbe, se gli facesse intendere qualche

nervosa causa in suo favore. - Ti par, Giove, disse, che in casa de l'Ocio sia

ocio, quanto a la vita attiva, là dove son tanti gentiluomini di compagnia e

servitori che si alzano ben per tempo la mattina, per lavarsi tre e quatro volte

con cinque o sette sorte d'acqua il volto e le mani, e che col ferro caldo e con

l'impeciatura di felce spendeno due ore ad incresparsi e ricciarsi la chioma,

imitando la alta e grande providenza, da cui non è capello di testa che non

viene ad essere esaminato, acciò di quello secondo la sua raggione vegna

disposto? Dove appresso con tanta diligenza si rassetta il giuppone, con tanta

sagacità si ordinano le piegature del collaio, con tanta moderanza s'affibiano

gli bottoni, con tanta gentilezza s'accomodano gli polsi, con tanta delicatura

si purgano e si contemprano le unghie, con tanta giustizia, moderanza ed equità

s'accopulano le braghe col giubbone, con tanta circonspezione si disponeno que'

nodi de le stringhe; con tanta sedulità si menano e rimenano le cave palme, per

far andar a sesto la calzetta; con tanta simmetria vanno a proporzionarsi gli

termini e confini dove l'orificii de cannoni de le braghe s'uniscono a le

calzette in circa la piegatura de le ginocchia, con tanta pazienza si comportano

gli artissimi legami o garrettiere, perché non diffluiscano le calzette a far le

pieghe e confondere la proporzione di quelle con le gambe; dove col polso della

difficultade dispensa e decerne il giudicio, che, non essendo leggiadro e

convenevole che la scarpa s'accommode al piede, vegna il piede largo, distorto,

nodoso e rozzo, al suo marcio dispetto, ad accomodarsi con la scarpa stretta,

dritta, tersa e gentile? Dove con tanta leggiadria si muoveno gli passi, si

discorre, per farsi contemplare, la cittade, si visitano ed intertegnono le

dame, si balla, si fa de capriole, di correnti, di branli, di tresche; e quando

altro non è che fare, per essersi stancato ne le dette operazioni, ad evitar

l'inconveniente di commettere errori, si siede a giocare di giuochi da tavola,

ritrandosi da gli altri più forti e faticosi: ed in tal maniera s'evitano tutti

li peccati, se quelli non son più che sette mortali e capitali, perché, come

disse un Genoese giocatore: - Che Superbia vuoi tu ch'abbia un uomo il quale,

avendo perduti cento scudi con un conte, si mette a giocar per vencere quattro

reali ad un famiglio? Che Avarizia può aver colui a cui mille scudi non durano

otto giorni? Che Lussuria ed Amor cupidinesco può trovarsi in quello il quale ha

messa tutta l'attenzion del spirto al giocare? Come potrai arguire d'Ira colui,

che per tema ch'il compagno non si parta dal giuoco comporta mille ingiurie, e

con gentilezza e pazienza risponde ad un orgoglioso che gli è avanti? Per qual

modo può esser goloso chi mette ogni dispendio e applica ogni sollecitudine a

l'esercizio suo? Che Invidia può essere in costui per quel ch'altri possieda, se

getta via e par che spreggie il suo? Che Accidia può essere in quello che

cominciando da mezo giorno, e tal volta da la mattina, insino a meza notte, mai

cessa di giuocare? E vi par che faccia in questo mentre star in ocio gli

servitori, e quelli che gli denno assistere, e quelli che gli denno

administrare? al tempio, al mercato, a la cantina, a la cocina, a la stalla, al

letto, al bordello? E per farvi vedere, o Giove, e voi altri dei, che in casa de

l'Ozio non mancano de persone dotte e literate, occupate a studii, oltre quelle

occupate a' negocii, de' quali abbiamo detto: pare a voi, che in casa de l'Ocio

si stia in ocio quanto a la vita contemplativa, dove non mancano grammatici che

disputano di chi è stato prima, il nome o il verbo? Perché l'adiettivo accade

che si pona avanti ed appresso al sustantivo? Onde ne la dizione alcuna copula,

quale, verbigrazia, et, si pone innanzi ed alcun'altra, quale per essempio, que,

si pone a dietro? Come lo e e d con la giunta de temone e scissione del d per il

mezzo, viene a far comodamente il ritratto di quel nume di Lampsaco, che per

invidia commise l'asinicidio? Chi l'autore a cui legitimamente deve referirsi il

libro della Priapea, il Maron mantuano, o pur il sulmonese Nasone? Lascio tanti

altri bei propositi simili, e più gentili che questi.

17 Dove non mancano dialettici che inquireno se Crisaorio, che fu discepolo di

Porfirio, avea bocca d'oro per natura, o per riputazione, o solamente per

nomenclatura; se la Periermenia deve passar avanti, o venir appresso, o pur, ad

libitum, mettersi innanzi ed a dietro de le Categorie; se l'individuo vago deve

esser messo in numero e posto in mezzo, come un sesto predicabile, o pur essere

come scudiero de la specie e caudatario del geno; se, dopo esser periti in forma

sillogistica, doviamo per la prima applicarne al studio della Posteriore, dove

si complisce l'arte giudicativa, o ver subito dar su la Topica, per cui si mette

la perfezion de l'arte inventiva; se bisogna pratticar le captiuncule ad usum

vel ad fugam vel in abusum: se gli modi, che formano le modali, son quattro, o

quaranta, o quattrocento; non voglio dire mille altre belle questioni.

18 Dove son gli fisici che dubitano se de le cose naturali può essere scienza;

se lo suggetto è ente mobile o corpo mobile, o ente naturale o corpo naturale;

se la materia ave altro atto che entitativo; dove consiste la linea de la

coincidenza del fisico e matematico; se la creazione e produzione de niente è o

non; se la materia può essere senza la forma; se più forme sustanziali possono

essere insieme; ed altri innumerabili simili quesiti circa cose manifestissime,

se non con disutile investigazioni son messe in questione. Dove gli metafisici

si rompeno la testa circa il principio dell'individuazione; circa il suggetto

ente, in quanto ente; circa il provar che gli numeri aritmetrici e magnitudini

geometriche non son sustanza de le cose; circa le idee, se è vero ch'abbiano

l'essere subsistenziale da per esse; circa l'essere medesimo o diverso

subiettivamente ed obbiettivamente; circa l'essere ed essenzia; circa gli

accidenti medesimi in numero in uno o più suggetti; circa l'equivocazione,

univocazione ed analogia de lo ente; circa la coniunzione de le intelligenze a

li orbi stelliferi, se la è per modo di anima o pur per modo di movente; se la

virtù infinita possa essere in grandezza finita; circa la unità o pluralità de

primi motori; circa la scala del progresso finito o infinito in cause

subordinate; e circa tante e tante cose simili, che fanno freneticar tante

cuculle, fanno lambiccar il succhio de la nuca a tanti protosofossi.

19 Qua disse Giove: - O Momo, mi par che l'Ocio t'abbia guadagnato o subornato,

che cossì ociosamente spendi il tempo ed il proposito. Conchiudi, perché è ben

definito appresso di noi di quel che doviamo far di costui. - Lascio dunque,

soggionse Momo, de referir tanti altri negociosi innumerabili che sono occupati

in casa di questo dio: come è dir tanti vani versificatori ch'al dispetto del

mondo si vogliono passar per poeti, tanti scrittori di fabole, tanti nuovi

rapportatori d'istorie vecchie, mille volte da mille altri a mille doppia

megliormente referite. Lascio gli algebristi, quadratori di circoli, figuristi,

metodici, riformatori de dialettiche, instauratori d'ortografie, contemplatori

de la vita e de la morte, veri postiglioni del paradiso, novi condottier di vita

eterna novamente corretta e ristampata con molte utilissime addizioni, buoni

nuncii di meglior pane, di meglior carne e vino, che non possa esser il greco di

Somma, malvagia di Candia e asprinio di Nola. Lascio le belle speculazioni circa

il fato e l'elezione, circa l'ubiquibilità d'un corpo, circa la eccellenza di

giusticia che si ritrova ne le sanguisughe. - Qua disse Minerva: - Se non chiudi

la bocca a questo ciancione, o padre, spenderemo in vani discorsi il tempo, e

per il giorno d'oggi non sarà possibile di espedire il nostro principal negocio.

Però disse il padre Giove a Momo: - Non ho tempo di raggionar circa le tue

ironie. Ma, per venire alla tua ispedicione, Ocio, ti dico, che quello che è

lodevole e studioso Ocio, deve sedere e siede nella medesima catedra con la

Sollecitudine, per ciò che la fatica deve maneggiarsi per l'ocio, e l'ocio deve

contemperarsi per la fatica. Per beneficio di quello questa fia più

raggionevole, più ispedita e pronta, perché difficilmente dalla fatica si

procede a la fatica. E sì come le azioni senza premeditazione e considerazione

non son buone, cossì senza l'ocio premeditante non vagliono. Parimente non può

essere suave e grato il progresso da l'ocio a l'ocio, percioché questo giamai è

dolce se non quando esce dal seno della fatica. Or fia dunque giamai, che tu

Ocio, possi esser grato veramente, se non quando succedi a degne occupazioni.

L'ocio vile ed inerte voglio che ad un animo generoso sia la maggior fatica che

aver egli possa, se non se gli rapresenta dopo lodabile esercizio e lavoro.

Voglio che ti aventi come signore alla Senettute, ed a colei farai spesso

ritorcer gli occhi a dietro; e se la non ha lasciati degni vestigii, la renderai

molesta, triste, suspetta del prossimo giudicio dell'impendente staggione che

l'amena a l'inexorabile tribunal di Radamanto, e cossì vegna a sentir gli orrori

della morte prima che la vegna.

20 \ SAUL.\ Ben disse a questo proposito il Tansillo:

Credete a chi può farven giuramento,

Che stato tristo non ha il mondo ch'aggia

Pena che vada a par del pentimento;

Poi ch'il passato non è chi riaggia.

E benché ogni pentir porti tormento,

Quel che più ne combatte e più ne oltraggia

E piaghe stampa che curar non lece,

È quand'uom poteo molto, e nulla fece.

21 \ SOFIA\ - Non meno, disse Giove; anzi più voglio che sia triste il successo

dell'inutili negocii, de li quali alcuni ha recitati Momo che si trovano nella

stanza de l'Ocio; e voglio che s'impiomba l'ira de' dei contra que' negociosi

ocii ch'hanno messo il mondo in maggior molestie e travagli che mai avesse

possuto mettere negocio alcuno. Que', dico, che vogliono convertere tutta la

nobiltà e perfezione della vita umana in sole ociose credenze e fantasie, mentre

talmente lodano le sollecitudini ed opre di giustizia, che per quelle dicano

l'uomo non rendersi (benché si manifeste) megliore; e talmente vituperano gli

vizii e desidie, che per quelli dicano gli uomini non farsi meno grati a que'

dei a' quali erano grati, con tutto che ciò, e peggio, esser dovea. Tu, Ocio

inerte, disutile e pernicioso, non aspettar che della tua stanza si dispona in

cielo e per gli celesti dei; ma nell'inferno per gli ministri del rigoroso ed

implacabile Plutone.

22 Or non voglio riferire quanto ociosamente si portava l'Ocio nel caminarsene

via, e con quante spuntonate incitato a pena si sapea muovere, se non che

constretto dalla dea Necessitade, che gli dié de' calci, se rimosse da là,

lamentandosi del conseglio, che non gli avea voluto concedere alcuni giorni di

tempo e di termine, per partirsi dalla loro conversazione.




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