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Giovanni Boccaccio
Filocolo

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Poi che più volte Racheio gli ebbe veduti nella soprascritta maniera, e alcuna volta gravemente ripresigliene, egli tra se medesimo disse: “Certo questa opera potrebbe tanto andare avanti, sotto questo tacere ch'io fo, che pervenendo poi alle orecchi del mio signore, forse mi nocerebbe l'aver taciuto. Io manifestamente conosco ne' sembianti e negli atti di costoro la fiamma di che elli hanno acceso i cuori: dunque perché non gli lascio io ardere sotto altrui protezione, che sotto la mia? Io pur ho infino a qui fatto l'uficio mio, riprendendoli più volte, né m'è giovato: e però per mio scarico è il meglio dirlo al re”. E così ragionando Racheio, Ascalion sopravenne: il quale, in molte cose peritissimo, quando lo studio rincrescea loro, mostrava loro diversi giuochi, e tal volta cantando con essi si sollazzava, avendo già ciascuno da lui medesimo appresa l'arte del sonare diversi strumenti; e trovò Racheio pensando, a cui e' disse: - Amico, qual pensiero sì ti grava la fronte, che occupato in esso, altro che rimirare la terra non fai? -. A cui Racheio narrando il suo pensiero rispose. Quando Ascalion intese questo, niente gli piacque, ma disse: - Andiamo, e sanza alcuno indugio il narriamo al re, acciò che se altro che bene n'avvenisse, noi non possiamo essere ripresi -. E dette queste parole, voltati i passi, amenduni n'andarono nella presenza del re; al quale Ascalion parlò così:

 




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