La bella del Re
Ciaramella che a'
verd'anni
fu l'amica del Gran Re
(era prode e più non c'è,
era bella e ha settant'anni),
Ciaramella la comare
con il fuso e la conocchia,
se ne viene tutta spocchia
sulla soglia per filare.
«Che furori, cari
miei!
Delle belle la più bella
(ora, già, non son più quella:
parlo del cinquanta... sei...).
E gioielli e sete fine
(ora già non son più quella)
e la chioma ricciutella
fino a mezza crinoline;
occhi neri ed i più
bei
denti, sana, bionda, snella
(ora già non son più quella;
parlo del cinquantasei!).»
Nella tabe che la rôde
fila: tira prilla accocca
con il filo della rocca
i ricordi del Re Prode.
«Egli, fiero alla
battaglia
nell'ardore delle squadre,
qui passava come un padre
vero padre dell'Italia...
Ma cessarono i favori
con il Tempo e con la Morte:
ora filo a mala sorte
per le tele dei signori...»
Un soffiar di
tramontana
scende giù dalla foresta:
fa tremare ciò che resta
della regia cortigiana.
Tira, prilla, accocca,
immota,
ma s'inchina a volta a volta
col pennecchio, intenta, e ascolta
i ricordi che la ruota
le sussurra
nell'orecchio...
E la canape l'innonda,
disfacendosi, il pennecchio,
d'una gran cesarie bionda.
«Ciaramella come sei
bionda! Torni in gioventù!»
- e la canape la illude -
«siamo del cinquantasei...
Ciaramella sta sicura
che Gli piaci, Ciaramella!»
Ella sogna... Crede quella
la sua gran capellatura.
«Ecco i miei capelli
d'oro!
Vo' spartirmeli in due bande:
su recate le ghirlande,
perché ormai lascio il lavoro.
Chi mi disse della
fine?
Il Passato... l'Avvenire...
Oh! Li scialli Casimire,
oh le gonne a crinoline!...
Dite al Re che delle
belle
la più bella...» E resta immota,
resta prona sulla ruota.
Già s'accendono le stelle.
nella notte fresca e
oscura:
la vecchietta sonnolenta
dolcemente s'addormenta
nella gran capellatura.
Ecco, e all'alba, in
su la rocca
prona è ancor la Ciaramella.
«Ciaramè, non sei più quella?»
E un'amica va e la tocca.
Ma si ferma in sulla
porta
e poi grida all'impazzata:
«Ciaramella morta! Morta!
Satanasso l'ha portata!».
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