L'ultima rinunzia
«...l'una a soffrire e l'altro a far soffrire.»
I.
- «O Poeta, la tua
mamma
che ti diede vita e latte,
che le guance s'è disfatte
nel cantarti ninna-nanna,
lei che non si
disfamò,
perché tu ti disfamassi,
lei che non si dissetò,
perché tu ti dissetassi,
la tua madre ha fame,
tanta
fame! E cade per fatica,
s'accontenta d'una mica;
tu soccorri quella santa!
Ella ha sete! Non
t'incresca
di portarle tu da bere:
s'accontenta d'un bicchiere,
d'un bicchiere d'acqua fresca.»
- «Perché sali alle
mie celle?
Che mi ciarli, che mi ciarli?
Non concedo mi si parli
quando parlo con le Stelle.
Mamma ha fame? E vada
al tozzo
e potrà ben disfamarsi.
Mamma ha sete? E vada al pozzo
e potrà ben dissetarsi.
O s'affacci al
limitare,
si rivolga alla comare:
ma lasciatemi sognare,
ma lasciatemi sognare!»
II.
- «O Poeta, la tua
mamma
che ti diede vita e latte,
che le guance s'è disfatte
nel cantarti ninna-nanna,
la tua mamma che
quand'eri
ammalato t'assisteva,
non mangiava, non beveva
nei tristissimi pensieri,
lei che t'era sempre
intorno
per rifarti sano e forte
per contenderti alla Morte,
e piangeva, notte e giorno
invocava Gesù Cristo
e la Vergine Maria:
o Poeta! ed oggi ho visto
la tua madre in agonia!
Oh! l'atroce
dipartita!
Chinerai la testa bionda
sulla fronte incanutita
della santa moribonda?»
- «Taciturna è la
fortuna.
Che mi ciarli, che mi ciarli?
Non concedo mi si parli
quando parlo con la Luna!
Forse che dallo
speziale
non c'è benda e medicina?
Forse che nel casolare
non c'è Ghita la vicina?
La vicina a
confortare,
medicina a risanare:
ma lasciatemi sognare,
ma lasciatemi sognare!»
III.
- «O Poeta, la tua
mamma
che ti diede vita e latte,
che le guance s'è disfatte
nel cantarti ninna-nanna,
- odi, anco se
t'annoia! -
lei che t'ebbe come un sole,
che t'apprese le parole
che ora sono la tua gioia,
la tua mamma in sulla
porta
fu trovata sola e morta!
Sola e morta chi sa come
singhiozzando nel tuo nome...
Vieni a piangere la
cara,
prima che altri le ritocchi
giù le palpebre sugli occhi
e la metta nella bara.
Son le donne già
raccolte
là, nell'opera funesta:
ma tu chiamala tre volte
s'ella vuol che tu la vesta.»
- «Che mi dici, che mi
dici,
che mi parli tu di lutto?
Non intendo ciò che dici
quando parlo con il Tutto.
Forse che lamentatrici
non ci sono a lamentare?
Forse che becchini e preti
non ci sono a sotterrare?
E la fate lamentare
e la fate sotterrare:
ma lascatemi sognare,
ma lasciatemi sognare!
Ma lasciatemi
sognare!»
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