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Arrigo Boito
Ero e Leandro

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  • ATTO PRIMO
    • Scena seconda. Ariofarne, Ero, Leandro, Marinai, Sacerdotesse
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Scena seconda. Ariofarne, Ero, Leandro, Marinai, Sacerdotesse

 

(Fanfana sacra. --Entra Ariofarne; lo seguono Ero con alcune sacerdotesse, Leandro coi pugili vestitio all' asiatica. --Tutto coro si prostra ad Ariofarne che s'arresta davanti alla statua della Dea, imponendo silenzio alla fanfara.)

ARIOFARNE: Cessin gli squilli ed alle sacre trombe
Sacro segua il silenzio. Si ridesta
Già l'alba in ciel, e l'ultim' alba è questa
Che l'annuo rito celebrar c'incombe.
(A un sacerdote).
Porgi il calice d'oro e fino al margo
Lo colma di Lièo. (Ad Ero.) Tu il mirto appronta.
( Alzanda il calice e il mirto.)
La regina di Gnido e d'Amatonta
Propizia sia mentre l'offerta spargo.
(Sparge il vino sull'ara.)

Spargo, o Dea, d'eletto vino
L'ara e I marmi
E il cratere augusto inclino
Sull'altar.
Fra I libiami, I fiori, I carmi
Col divino
Riso, Venere, a bearmi
Vien dal mar.

Fa che s'orni del tuo raggio
La mia fronte;
Fa che splenda in me il miraggio
Dell'amor.
Così in vetta all;aspro monte
Fra il selvaggio
Dumo, nasce il fonte,
Sbuccia il fior.

Or s'inneggi ai mortali. Il tempio e l'urbe
Odan la voce mia. V'oalzate, o turbe.
(Il Coro si alza Ariofarne, accennando Leandro.)
All'eroe della cetera e del gladio,
Al vincitor delle afrodise, al prode
Trïonfator del combattuto stadio
Ergete un' ode:
A Leandro d'Abìdo.
(Ad Ero) Tu, la più bella del leggiadro coro,
Colla più bella delle tuecorone
Cingi il crine al garzon, e sia d' allôro.

(Ero depone gentilmente una corona d'allôro sulla testa di Leandro, mentre risuona il seguente coro:)

MARINAI: A Leandro d'Abìdo allôro e palme!
Ei coll' ira del par che coll' amor
Rapisce l'alme.
A Leandro d'Abìdo e palme e allôr!

ERO: Coronato di gloria eccoti, o forte!
Alteramente il capo tuo si posa
Sotto il serto Penejo e le ritorte
Fronde di quercia e la vermiglia rosa.
Triste colui che l' ora della morte
Vede appressar sulla terrena landa
E che non has, siccome te, pe sorte
Di portare sul crineuna ghirlanda.

LEANDRO:Coronatrice mia, più eletto vanto
Giammai quaggiù trïonfator non ebbe.
E tanta possa la tua man mi crebbe,
Che al tuo parlar risponderò col canto.
(Piglia la cetra.)
M'arde talor disio di cantar l'ira
Del divino Pelide,
Ma la cetra sospira:
Amore!--E invano io muto il pletro
E le vocali corde e il canto e il metro
Insidiatore,
Sempro la certa mia sospira Amore!

SACERDOTESSE ED ERO: E tu canta l'amor, mentre d'intorno
Ti pingerem sorrisi
D' intenti visi
E mentre schiara la sua luce il giorno.

LEANDRO:

(Anacreontica)

Era la notte; ombravano
Le nubi erranti e brune,
Sui talami e le cune
Pioveano I sogni d'ôr.
Ed ecco al mio tugurio
Batte gemendo Amor:

Apri la porta è torbida
La luna e l'aër crudo;
Son fanciuletto e nudo,
Così non mi lasciar,
Fa ch'io m'avvivi al tiepido.
Raggio del focolar.

Pietà mi spinse, al pargolo
Trassi, ei vêr me movendo
Ne lo vedea, piangendo,
Scarmiglïato in crin.
Io lo conforto e suscito
La vita al fanciullin.

Ma come appena ei vedisi
Del suo dolor discarco,
Ecco, ei s'avventa all'arco,
Teso vêr me lo tien,
Scocca la freccia... e il perfido
Già mi ha trafitto il sen.

CORO: A Leandro d'Abìdo allôro e palme!
Ei coll' ira del par che coll' amor
Rapisce l'alme.
A Leandro d'Abìdo e palme e allôr!

ARIOFARNE: Ite, sacerdotesse, a rinnovare
L'offerta della mirra e dell' incenso,
Alimenti dell'are,
Ma finché non s'udran le sacre trombe
V'è tolto il ritornar, sarebbe infausto
Qui addurre il piè pria di quel segno.
(La sacerdotesse escono.)
Io sento
Un aura dolce, prenunzia del Nume,
Quasi alïar di ventilate piume.
Questo il momento
E degli uffici arcani.
(A Ero) Ero, qui resta tu. (Ai marinai, al popolo:) Ite, profani.




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