ATTO TERZO
Orti pensili.
Recitativo
Mitridate
Pera omai chi m'olgraggia, ed il mio sdegno più l'un
figlio dall'altro di distinguer non curi. Vadasi, e a cader sia Sifare il
primo...
Ahi, qual incontro!
Aspasia
[gettando via dispettosamente le bende suddette]
A terra, vani impacci del capo. Alla mia morte di strumento funesto giacché nemmen servite, io vi calpesto.
Mitridate
Qual furor?
Ismene
Degno, o Sire, di chi libera nacque. I doni tuoi di
rendersi fatali disperata tentò, ma i numi il laccio
infransero pietosi. Ah se t'è cara la vita sua, se
ancor tu serbi in seno qualche d'amor scintilla, un ira affrena,
che forse troppo eccede e ciò, che invano per le vie del rigor tenti ottenere,
l'ottenga la clemenza.
Mitridate
E che non feci , Principessa, finor?
Ismene
Nell'ardua impresa non stancarti sì presto. Fa ce il cupido
amante la ravvisa da lei, non il regnante.
Mitridate
Quanto mi costa, o Dio, l'avvilirmi di nuovo! Ma il voui? Si faccia.
Ismene
Ah sì: d'esempio Ismene, Signor, ti serva. Io quell' oltraggio istesso che tu our soffri, e non
pretendo con eccesso peggiore di vendicare il mio tradito amore.
No. 19 Aria
Tu sai per chi m'accese
quanto sopporto anch'io,
e pur l'affanno mio
non cangiasi in furor.
potrei punirlo, è vero,
ma tollerò le offese,
e ancora non dispero
di vincere quel cor.
[parte]
|