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Vittorio Amadeo Cigna-Santi
Mitridate, rè di Ponto

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  • ATTO SECONDO
    • Scena terza. Aspasia, Mitridate
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Scena terza. Aspasia, Mitridate

 

Aspasia
Eccomi a' cenni tuoi.

Mitridate

Diletta Aspasia, le sventure maggiori saran dolci per me, se pur sventura per te non fosse il mio ritorno. Assai mi son teco spiegato, e il pegno illustre che porti di mia fè, quanto mi devi ti rammenta abbastanza. Oggi nel tempio anche la tua mi si assicuri: Altrove la mia gloria ne chiama, ed io ritorno farò teco alle navi al nuovo giorno.

Aspasia
Signor, tutto tu puoi: chi mi diè vita del tuo voler schiava mi rese, e sia sol l'ubbidirti la risposta mia.

Mitridate
Di vittima costretta in guisa adunque meco all'ara verrai. Barbara, intendo: Tu sdegni un infelice. Più che non credi io ti comprendo, e vedo che il ver pur troppo a me fu detto. Un figlio qui ti seduce e tu l'ascolti, ingrata. Ma di quel pianto infido poco ei godrà. Custodi. Sifare a me.

[escono due guardie, ebe ricevuto l'ordine si ritirano]

Aspasia
che far pretendi? Ah Sire. Sifare...

Mitridate
Il so, m'è fido e forse meno arrossirai. se d'un malnato affetto potesse un figlio tal esser l' ogetto. Ma che tenti Farnace sin ripirmi la sposa, e che tu adori un empio ed un audace, che privo di virtù, senza rossore...(a Sifare, che giunge] Vieni, o figlio, è tradito il genitore.




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