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Giacomo Gregorio Terribilini La nascita del Redentore IntraText CT - Lettura del testo |
il bosco risuonar? Dai chiusi ovili
i vigili Pastori. Ai prati in seno
s'avanza il nuovo Sol, langue l'Aurora,
e ancor tu dormi, e non ti desti ancora?
Osea, mi sgridi a torto. Io soglio, amico,
l'Aurora prevenir, ché un lungo sonno
alla nostra umil vita assai sconviene.
nella capanna mia posai le membra,
i lumi non mi chiude in dolce oblio:
passo desto la notte, infin che quella
nel mezzo giunta del suo corso appena,
entrar vegg'io, che stupido mi rese
e la capanna di splendore accese.
Confuso io balzo in piè; fuor del tugurio
esco all'aperto, e veggo (oh meraviglia !)
squarciato della notte il fosco velo,
di fulgore vestirsi e terra e cielo.
Laban! Forse sognasti. Io credo appena
Non ho sognato, Osea. M'ascolta, e taci.
Come dalla marina
la gran luce sorgea, che intorno poi
spiegò soavemente i raggi suoi.
sento l'alma ingombrar da un sagro orrore
suonar per l'aria queste voci io sento:
ravviso il fonte allor, ma l'onde chiare
e scorgo, ad onta d'Aquilon gelato,
carco di frondi il bosco e d'erbe il prato.
aggravò gl'occhi miei; questa non vidi
luce che mi narrasti. I colli, i campi,
che lasciai disadorni in su la sera,
mirai poc'anzi l'alba, e meraviglia
mi fè tosto inarcar ambe le ciglia.
Tutto non dissi ancor. Odi, e in entrambi
s'accresca lo stupor. Presso alla torre
ove Giacobbe pascolò gli armenti,
di Salomin sull'antro. Oh avventurato
Pastor! (gridai), cui tanto ora comparte
Non vedi? Salomin s'appressa a noi.
Al suo pensiero
forse si palesò qualche mistero.
Labano, Osea; che vidi! Oh vista! Oh notte!
Oh Madre! Oh Figlio! Oh Amor! Felici noi!
Apportator son io d'alta novella.
il Divin Figlio è nato. Infra l'orrore
d'un'antro io l'adorai. Su poco fieno
egli si giace; e del rigor del verno
per difendersi in parte,
or della Madre al bel seno beato,
di due giumenti or si riscalda al fiato.
Quello da' nostri voti ognor chiamato?
Sì, v'inondi il piacer, sì: quegli è nato.
il Sovrano del Cielo in sé contiene?
Ov'è, tu me'l palesa; ov'è il mio bene?
la cuna gli negò ricca di gemme?
Povero più di noi nato è in Betlemme.
ciò che l'Avo, sedendo a parca cena,
con favella dal pianto accompagnata:
(sì il buon vecchio dicea) no, tu non sei
la più vile città; da te quel forte
sorger dovrà ... Felici voi nipoti,
a cui saranno aperte
del consiglio di Dio le vie segrete,
e la salvezza universal vedrete.
e verseranno i fonti
col lupo l'agnelletta,
Così dicendo il vecchiarel piangea,
ed alte cose in suo pensier volgea.
Quanto l'Avo predisse, e quanto un giorno
i Profeti cantar presso il Giordano,
tutto, tutto s'avvera. Il tempo è giunto
del gaudio universal: partì la guerra,
scesa è la pace ad abitar la terra.
Pastor! Da' detti tuoi, dal gran mistero
quanto vide il tuo ciglio a noi palesa.
alla notte turbar l'ombre, i silenzi.
Li vidi io stesso,
io stesso li ascoltai stupido e desto;
stavan meco Giabele e il bruno Aggeo:
quando su noi rotando
scese lucida nube, il grembo aperse,
e un angel puro agli occhi nostri offerse.
noi colmò di spavento. Ah non temete,
(isse lo spirto alato) Io dalle sfere
felice apportator. È nato, è nato,
il Salvator promesso. Ite, o Pastori,
all'umile Betlemme. Entrati appena,
quel caro fanciullin primi vedrete,
e del Regio Natal nunzi sarete.
Disse e, dolce cantando, un vago stuolo
s'unì con quelli il messaggiero, e sparve.
ché maggior di colpe tante
risplendea la sua bontà.
Oh quanto fosti, oh quanto
Alla partenza,
i compagni affrettai. Tolse dal nido
due tortorelle Aggeo, dai rami tolse
freschi pomi Giabele, io dalla greggia
un candido agnellin: poveri doni
al Celeste Signor. Giunti in Betlemme
con frettolosi passi
l'orecchio ne ferì, luce, armonia.
Dal Fanciullino uscia
fuor dell'antro la luce, e dentro, e intorno
delle angeliche voci. In atto umile
al Fanciullo, alla Madre, al suo Custode
rendemmo onor. Intanto il Pargoletto
lo sguardo vezzosetto,
e dir sembrava in suon tacito e pio:
"Sospiro il vostro cor, vi dono il mio".
Salomino, non più, ch'io già mi sento
per dolcezza mancar l'anima in petto.
A te compagno
nel cammino io sarò.
Con voi desio
Ecco m'invio.
Ti seguo...
il tuo gregge digiun di te si lagna;
lo traggi fuor, del pastorello Alete
l'abbandona alla cura in sì bel giorno.
Approvo il tuo pensier. Vado, e ritorno.
segui a narrar quanto vedesti.
Io vidi,
vidi un giumento in quel presepe e un bue;
fortunati ambedue
perché scelti dal Cielo al grand' onore
di riscaldar col fiato il lor Fattore.
E che facea la Madre
al Fanciullin d'appresso?
Ragionami di Lei.
Vidi su paglia e canne al destro lato,
l'adorava suo Dio con quei celesti
messaggieri di pace, ed or benigna
di noi pastori ai mal formati accenti.
ad un sasso appoggiato,
un Uom tenero sì, che sembra Padre,
ma Custode è al Fanciul, Sposo alla Madre.
mira il dolce Bambino, e piange, e gode,
e appar nel volto suo quant’ha nel core
pietà, letizia, riverenza, e amore.
D’entrambi i nomi ancora
S'appella
Maria la Verginella; il casto Sposo
della Casa Real del buon Davidde.
Un nodo sì gentil mai non si vidde.
Pur non è sì lontano
del fido Alete il rustico soggiorno.
Forse del gran Natale
Altrui
del lieto avviso apportatore io fui.
Ma, oh Dio!
Sospiri Osea! Che mai t'avvenne?
preparar qualche dono. Al nato Infante
tortore, e pomi e un agnellin recaste,
Tu reca a lui quanto da te richiede.
ciò gli basta, e il Divo Infante
altro più non vuol da te.
Ah, che il cor fu al Figlio eterno
troppo ingrato ed incostante;
Presso a Lui tutto arderai.
E l'oggetto ognor sarai,
Mia speranza.
Mio diletto.
Non sdegnarmi.
E l'oggetto ognor sarai,
Oggi il giusto al Cielo inviti,
Osea, qual suono d'incerate canne
Ecco stuol di pastori, ecco Labano.
Presto li aduna,
del Santo Nume a inghirlandar la Cuna.
Io vi riveggo, o amici. A me s'uniro
compagni nel cammin questi che ho intorno,
Ogni dimora
si tronchi ormai. Solleciti partiamo.
E per la via frattanto
seguiam lieti, o compagni, il nostro canto.
È sceso in terra a noi chi pasce l'Agne,
chi d'erbe veste il prato, il sol di lume.
Lasciate, o pastorelli, le campagne,
venite ad adorare il nato Nume.