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Matteo Bandello
Fragmenti de le rime

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CLXXXIII

 

Stancar si può la lingua in dir, begli occhi,

le vostre grazie e doti,

ma non giá tutte, n'io restar mai sazio:

ch'un pensier vuol Amor ch'ognor mi fiocchi

in mezzo l'alma, e noti

cose a lodarvi di gran tempo e spazio.

Ond'io lodo e ringrazio

la sua virtú, che m'ha di voi si accenso

che d'altro mai non penso,

parlar posso che di vostra fiamma,

benché ne scriva appena una sol dramma.

Tolto di me v'avete l'impero,

ch'ad ogni vostra voglia

quel di me fate che vi piace e aggrada.

Ed io, di voi contento, piú non chiero,

vuo' ch'altro mai voglia

quest'alma, fin che 'l corpo in terra cada.

Voi di virtú la strada

prima m'apriste col tremante raggio,

onde timor non haggio

smarrir la via, poi ch'ei m'è fatto guida,

tant'è vostr'alma luce chiara e fida.

Per voi la vita or non mi spiace, ch'era

a me noiosa e a sdegno

quando viveva peggio assai che morto,

occhi beati, senza cui si spera

indarno gir al segno

che di riposo scopre il vero porto.

Ond'io, ch'accese porto

vostre dolci faville in mezzo l'alma,

con cosí cara salma

vommene lieto e d'alto desir vago,

piú di basse voglie il cor appago.

Veggio, begli occhi, che temprate in modo

il fuoco ond'io m'incendo,

che d'eterno gioir mi fate erede.

E m'acqueto e dolcemente godo,

che chiaro pur comprendo

che questa gioia ogn'altra gioia eccede.

E tengo ferma fede

che s'io son vivo in tant'affanni e pene,

da voi, non d'altro viene;

ché da' bei vostri raggi e lor aíta

nasce il vigor che mi nodrisce in vita.

Vile era, anzi pur morto prima ch'io

del vostr'altiero sguardo,

luci serene, avessi ancor contezza.

Ma com'il vago lume m'infollio

col fuoco ove sempre ardo,

ratto conobbi allor la mia bassezza,

Ed ebbi per certezza

che chi per voi sospira, al vostro fuoco

come s'infiamma un poco,

si cangia tutto, e tutto si trasforma

e nova prende qualitate e forma.

Lasso! se l'ombra poi del fragil velo,

ond'io vo basso e grave,

in me di voi la luce non ombrasse,

amante mai non visse sotto 'l cielo

vita dolce e soave,

ch'al mio piacer di dietro non restasse.

Ma le mie forze casse

di virtute al gentil vostro gran carco

fan che nel dir son parco,

per ciò che cosa voi divina e santa,

ed io vile e mortal di terra pianta.

Pur ciò ch'io scorgo, e spesso in carte spiego,

cosí m'acqueta il core

ch'altro non bramo, tanto mi diletta,

né mai dal mio voler punto mi piego,

ché 'l vostro gran favore

ogni dolcezza ed ogni pace alletta.

credo che perfetta

in terra senza voi piú cosa viva,

perché da voi deriva

tutto quel ben che qui s'agogna e cerca,

che vostra grazia, non tesoro merca.

Giá l'ho ben detto, Amor, che la mia lingua

non è bastante e forte

de' begli occhi scoprir la gran virtute.

E se talor avvien che 'n me distingua

la lor beata sorte,

onde dipende sol la mia salute,

i' veggio allor che mute

sarian le lingue dotte ed ispedite.

Perch' a' begli occhi unite

son tante grazie, e parti divine,

ch'umano ingegno non vi scorge il fine.

Tu viverai con l'altre,

povra Canzon, tra queste canne e rive

de le bell'acque vive,

ed io col fuoco di bei raggi ardenti

starò per far i giorni miei contenti.

 




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