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Matteo Bandello Fragmenti de le rime IntraText CT - Lettura del testo |
Come potrò mai dire
ch'io viva, e vita questo viver sia,
s'è senza vita ognor la vita mia?
Il vivo raggio che dagli occhi viene
l'ésca porgeva al lasso viver mio:
onde tal forza ne prendeva il core,
mi dava d'ogni strazio sempre oblio,
al dolce sfavillar di quella pia
vista, che 'n terra un paradiso cria.
Ben mi potea chiamar contento e vivo,
allor ch'a lei presente
gustava in que' bei lumi ogni dolcezza;
or che mia sorte me ne tiene absente,
questa mia vita il viver piú non prezza.
anzi giá tutta è morta. Ahi sorte ria!
Di me, senz'il favor di quel, che fia?
Quand'io lasciai sul Mencio quella vaga
lasciai la vita innanzi a la mia vita.
Quivi da me lontana ella dimora,
ov'ogni grazia il ciel tien sempr'unita.
Ivi quel ben s'addita,
che fa ch'un uom senz'alma in vita stia
I' non son vivo, Amor, né mai potrei
che, come vuol, il cor or m'apre or serra.
Cosí mi diede il ciel e la mia stella,
a lei del Mencio in la famosa terra.
tempra mai sempre, e me da me disvia,
per cui se stesso il cor disprezza e oblia.
Onde non so se morto o vivo sono,
come mia stella vuol, abbandonai.
E se di vita il segno in viso porto,
da' begli occhi piú chiar che 'l sol assai;
ché fanno ancor que' rai,
con la virtú di lor pietá natia,
spirar la vita in me, com'era pria.
Ahi! strana vita che pur morta spiri,
che giunto son di Stige sulla riva:
quanto di fiumi, mari e monti spazio
mi tien diviso, e posso dir ch'i' viva?
meco restar a farmi compagnia,
né trova a darmi aíta piú la via.
Cosí mi veggio, Amor, giá giunto a tale
e d'uomo sono un'ombra sol e un segno.
E pur mi meraviglio, morto essendo,
qual era allor ch'entrai dentro il tuo regno.
per fuggir morte il cor morir disia.