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Matteo Bandello
Fragmenti de le rime

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CCIV

 

CANZONE DEL BANDELLO

DELLA BELLEZZA E DELLE RARISSIME GRAZIE

DELLA DIVINA SIGNORA LUCREZIA GONZAGA

DI GAZUOLO.

 

Amor piú volte mostro

m'ha nei begli occhi de la Donna mia

come per lor trïonfa e spiega l'ali;

e dicemi: i' ti mostro,

amante, cosa ch'impossibil fia

che mai si veggia piú fra voi mortali.

Ché, quante sono o fur mai donne uguali

non vedi a questa, ond'io men vado altiero,

che senza il suo favor nulla sarei.

Poi scopre agli occhi miei

cose che dir altrui poter non spero.

Ma tant'è quel desío,

ch'accende questo dolce lusinghiero

di scoprir ciò ch'ognor in lei vegg'io,

che di parlarne alquanto almeno desío.

Ma come posso, Amore,

mostrar parlando tanta maestate,

se l'intelletto non la scorge a pena?

Ché ciò che splende fuore

(non pur l'interna e sacra chiaritate

al volgo ascosa, e d'alte doti piena),

ogn'alto ingegno abbaglia, avanza e affrena,

e ratto fallo andar fuor di se stesso

per tant'eccelse e rare meraviglie.

E pur tu vuoi ch'io piglie

ardir di palesar e far espresso

ciò ch'impossibil parme

ch'io dica, e dove indarno mi son messo.

I' nol potrò scoprir, ché 'l ciel levarme

non vuol tant'alto, ov'io potrei bearme.

Ché s'io potessi, o Donna,

tanto di voi parlar quant'è 'l desire,

e quanto meco, e con Amor ragiono,

voi diverreste donna

di quanto vuol Iddio che 'l ciel rimire.

Tante in voi doti e tante grazie sono,

che un sol de' vostri discoperto dono,

come l'indica pietra il ferro fura,

tirerebbe ciascuno a contemplarvi,

e china ad adorarvi

vedreste in terra ogni opra di natura.

Ond'io che vosco a lato

sempre mi trovo, (oh forte mia ventura!),

a dito mostro, lieto e fortunato,

(vostra mercé), sarei talor chiamato.

Indi avverrebbe poi

ch'al vostro pregio e a l'alta gloria vostra

ed al mio bene invidia il mondo avrebbe.

Cosí posta per voi

in colmo d'ogni gloria l'etá nostra

vedrei, ché tanta grazia mai non ebbe.

E fôra il grido tal, ch'ogni uom direbbe:

Oh ben divino, oh grazia mai non vista,

né sotto il ciel da riveder piú mai!

Questa coi santi rai

ch'escon ardenti dalla vaga vista,

a' corpi l'alme invola:

e questi col suo dir ognor le acquista

eterna fama, e seco al ciel sen vola:

egli beato, ella felice sola.

Or lasso! il ciel mi nega

ingegno e forza a tant'eccelsa impresa,

e resta sol ardita in me la voglia.

Ma sotto 'l peso piega

la debil forza che l'è contesa

quell'alta guida ch'a cantar l'invoglia.

E questo è quel che fa che sempre in doglia

vivendo stommi, e resto fòr di spene

d'aver al vostro merto uguale il canto.

Ché ciò che mai da canto

mette il pensier, ch'al mio voler s'attiene,

com'egli è sculto in mente

cosí perfetto poi di fòr non viene.

Perciò la lingua confusamente

parla, ch'a par del ver nulla si sente.

Almen mi desse il cielo

che, come in chiaro, fresco e puro rivo

si vede tutto quel che serba al fondo,

cosí 'l terrestre velo

ciò che nel cor pensando formo e scrivo,

non mi togliesse rimirar profondo.

Ivi vedreste allor ch'amante al mondo

non ha pensier uguali a' miei pensieri,

ch'affina Amor nel vostro vago viso.

Ivi mirando fiso

quanti ho di voi concetti santi e altieri,

e ciò che 'n verso e 'n prosa

di dir la lingua par che si disperi,

direste sospirando: questa è cosa

da farmi eterna, chiara e glorïosa.

E ben ch'ognor m'avveggia

come non giungo di tant'opra al segno,

che non la scerne appena l'intelletto,

lo spirto pur vaneggia,

d'eccelse voglie e d'alto desir pregno,

sforzandosi scoprir ciò ch'ho nel petto;

ma non segue al desir ugual l'effetto.

Ond'appo voi il non poter mi vaglia

a giusta scusa, acciò ch'al mondo avaro

sia manifesto e chiaro,

che il vostro valor mi preme e abbaglia,

che di quell'il gran carco

contende, che di fòr lo stil non saglia,

come la mente ognor m'informo, e carco,

tal che nel dir or resto vinto, or parco.

A che dunque s'ammira

chi vede 'n mezzo ai bei vostr'occhi ognora

trovarsi Amor da la sua madre dèa,

se chi ben fiso mira

vede ch'Amor, voi senz'Amor non fôra,

che quella sète dov'Amor si crea?

Voi d'Amor madre, voi del mondo Idea,

che fra fastidi de l'umana vita

pace porgete a chi v'adora e segue.

E tanto si consegue,

che gioia date eterna ed infinita

che d'ogni ben n'appaga,

tant'è il favor di vostra dolce aíta.

Onde la fama ognor gridando vaga

la divina Lucrezia di Gonzaga.

Se forza al mio desir, Donna, darete,

i' canterò di voi cose belle

che fermerò col sol tutte le stelle.

 


 




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