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Matteo Bandello
Novelle

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Il Bandello a l'illustrissima ed eccellentissima

signora la signora Isabella da Este

marchesana di Mantova

 

Piú volte, madonna, dopo il pietoso caso de la morte de la contessa di Cellant, m'è sovvenuto di quel che voi, non è gran tempo, nel vostro amenissimo luogo a Diporto mi diceste, alor che ella ne le prime nozze era moglie del nostro signor Ermes Vesconte, che Dio abbia in gloria, perciò che egli era riputato esser di lei geloso. Del che era in Milano assai biasimato. Egli non permetteva che ella praticasse in molti luoghi, se non in casa de la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia, ove spesso io la vedeva e seco domesticamente ragionava. Onde mi ricordo che, essendo ella fanciulletta, e volontarosa, come le fanciulle sono, d'andar a le feste con quella libertá che le donne milanesi vanno, pregò essa signora Ippolita, che l'impetrasse dal marito di poter andar in certo luogo, massimamente essendovi invitata. La signora Ippolita fece in effetto l'ufficio a la presenza mia con il signor Ermes, un giorno che di compagnia eravamo noi tre soli a ragionar insieme. Ascoltò il signor Ermes la richiesta fattagli, e poi sorridendo cosí le rispose: – Io, signora mia, non mi guarderò dal Bandello, sapendo quanto egli v'è servidore ed amico mio. Voi mi perdonarete s'io non lascio andar la mia moglie ov'ella vuole e se non le do tanta libertá quanta in Milano si costuma, perché io conosco il trotto e l'andar del mio polledro, non mi parendo di lasciargli la briglia sul collo. E chiedovi di grazia che di questo piú non mi parliate. Ché da questa casa in fuora, ove di giorno e di notte può sempre venire, quando voi ci sète, io non vo' che pratichi altrove. – Per queste parole la signora Ippolita ed io, poi che egli si fu partito, ragionammo assai onde ciò avvenisse, ma al vero perciò mai non ci sapemmo apporre. Ora la fine che la sfortunata ha fatto e la vita che ella dopo la morte del signor Ermes viveva, hanno tutti quelli sgannati, che pensavano il suo marito esser geloso. Ma il savio signore sapeva molto bene ciò che si faceva, e, come disse, conosceva il trotto de la sua chinea. E nel vero fu il signor Ermes giovine molto prudente e saggio, e la governò mentre che visse di tal maniera, che ella era stimata una de l'oneste e costumate donne di Milano. Ma in questo mi par ch'egli grandemente s'ingannasse, perciò che sendo, come si sa, uno dei primi gentiluomini di questa cittá, nobilissimo e ricchissimo, deveva prender per moglie donna nobile e ben nata e in casa nobile nobilmente nodrita, e non pigliar una che in conto alcuno di sangue non se gli agguagliava, tratto solamente da la grandezza de la roba tutta fatta d'usura. Chi vuol nodrire razze di cavalli, ricerca cavalle generose prodotte da buone e nobili cavalle. Medesimamente costoro che de la caccia si dilettano, se i cani, siano di qual sorte si voglia o per augelli o per fiere, non sono di buona razza, non li vogliano, e con diligenza investigano qual fu il padre e qual fu la madre; e se per sorte una lor cagna è coperta da tristo cane, tutti i figliuoli che nascono gettano a l'acque. Che dirò io? se l'uomo vuol comprar panno o scarpe, vuol che di buona lana e di buon coio siano. E nel prender moglie altro oggidí non si ricerca che roba. E nondimeno a questo piú si deverebbe metter mente e con maggior cura intender, chi fu il padre e chi la madre, che al resto. Io non vo' nomar uno dei primi feudatarii di Lombardia, il quale, per aver il favor del duca Galeazzo, prese per moglie una figliuola d'un suo capitano che era pazza da catena. E bene gliene avvenne, che tutti i figliuoli che generò, ancor che fossero gran signori e ricchi, erano nondimeno tutti pazzi, e fecero molte solennissime pazzie, che forse sono state cagione de la rovina di quella schiatta. Ragionandosi adunque di questa materia, non è molto, e varie cose dicendosi, messer Antonio Sabino, uomo di buone lettere e di molta esperienza, governator dei signori conti Bolognini, figliuoli del conte Matteo Attendulo e de la signora Agnese da Correggio, signori di Sant'Angelo, disputò buona pezza sovra questa materia, dichiarando con gran piacer degli ascoltanti tutte quelle parti che in una giovane da maritare si deveno diligentemente ricercare, conchiudendo con vive ragioni che l'ultima de' esser la dote. Essendosi venuto su 'l particolar de la signora Bianca Maria, io, perché alora che la sua fine occorse era in Romagna, il pregai che per mia sodisfazione volesse narrarmi l'istoria degli amori infelicissimi e morte di quella. Il che egli, che sempre è prontissimo a l'ubidir in tutto quel che può agli amici, puntalmente al mio giudicio mi recitò. Onde avendola scritta per metterla con l'altre mie novelle, a ciò che con loro poi possa a qualche tempo esser letta, le ho voluto preporre il nome vostro e a voi donarla. E cosí questa, madonna mia illustrissima, vi mando, supplicandovi umilissimamente a non sdegnarvi se in cosa di cosí picciol momento del valoroso e vertuoso nome vostro mi prevaglio. Il nostro gentilissimo messer Mario potrá talor, quando non vi rincrescerá, questa leggervi. Nostro Signor Dio vi conservi.

 

 




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