- SONETTI CONSERVATI DALLA TRADIZIONE POPOLARE
- XXVIII. Pe’ la morte de papa grigorio. (1846)
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XXVIII.
Pe’ la morte de papa
grigorio.1
(1846)
—
Fr…a! a cche ttempi sémo, sor Cremente!
Se nega er zole!2 Basti a ddì’, cche cc’era,
Doppo morto Suarfa3 l’antra sera,
Chi ha detto: «A Rroma nun j’importa ggnente!»
E lo sciamanno4 ar braccio der
tenente?
E in der Cracàsse5 la striscetta nera?
E Pallacorda ch’ha ffatto moschiera?6
E ar pallone7 che ppiù nun ce va ggente?
E li tammùrri cor farajoletto?8
E le tromme che ssòneno a scorregge?9
Ce vô deppiù pp’addimostrà l’affetto!?
Ma pperò, ffa er dolore meno amaro
Er penzà che pp’er papa che s’elegge
Sce so’ ttanti Grigorii ar piantinaro!10
1 A meglio
intendere questo sonetto, giova ricordare che il Governo pontificio, quando
muore il papa, impone un lutto ufficiale non solamente a’ suoi impiegati, ma
anche a’ fedelissimi sudditi. Ordina la chiusura di tutti i teatri (senza
credersi obbligato per questo a compensar dei danni gl’impresari): sospende per
parecchi giorni ogni altro pubblico divertimento, e fa suonare a morto tutte le
campane dello Stato. — S’immagini ognuno il parapiglia che succede, se un papa
si fa lecito di morire durante il carnevale! Allora sì che i sudditi, e
particolarmente le sudditesse, lo piangono di cuore. — Leone xii morì appunto sul più bello del
carnevale, e i Romani, non potendo divertirsi altrimenti, sfogarono la stizza
con questo epigramma:
«Tre dispetti ci hai fatto, o Padre
santo:
Accettare il papato, viver tanto,
Morir di carneval per esser pianto.»
—
2 Nota la
vivacità e l’efficacia di codesta frase. —
3 Suarfa, detto
anche Sualfa dalle persone meno idiote, è il nome con cui per ispregio
si designano tutte le autorità abborrite, e sta in luogo di Sua Maestà, Sua
Altezza, Sua Eccellenza, e simili. Qui significa il Papa. Può
darsi che questo vocabolo abbia una qualche parentela coll’Alfa, prima
lettera dell’alfabeto, presa nel senso di anteriore a tutti, soprastante,
principale. —
4 Il lutto: e più spesso
dicono sciamanno a uno straccio grande o piccolo, a uno scialle
malandato, e simili. Donde le voci: sciamannato (sconcio negli abiti e
nella persona), sciamannone e sciamannarsi, proprie anche della
lingua comune. —
5 Fin dal 1716, si chiamò comunemente Cràcas,
e dai popolani Cracàsse il Diario ordinario d’Ungheria,
dal nome di Luca Antonio Cracas, o Chracas, che ne fu il fondatore, e
che lo pubblicava coi tipi del fratello Giovanni Francesco Cracas, il quale
teneva stamperia presso san Marco al Corso. — Scopo di cotesto giornaletto era
allora di ripubblicare le notizie che ufficialmente riceveva da Vienna intorno
alla guerra di Ungheria, che si combatteva dal principe Eugenio di Savoia per
l’imperatore Carlo vi, contro
Acmet iii. Il primo numero, in
piccolissima forma, uscì il 5 agosto 1716. Finita la guerra, continuò le sue
pubblicazioni col titolo di Diario di Avvisi, e pare che sin d’allora
diventasse giornale ufficiale del Governo. Nel 1808 prese il nome di Diario
di Roma. Col primo numero del 1837 comparì in foglio grande. Nel 1849, il
Governo repubblicano lo intitolò Monitore Romano, per far la
scimmia ai Francesi. Pio ix, dopo il ritorno da Gaeta, lo ribattezzò col nome di Giornale di
Roma, che serba tuttavia. Pare anche che per un certo tempo si chiamasse Gazzetta
di Roma. Ma il popoletto non tenne conto di tutti questi battesimi, e lo
chiamò sempre, e lo chiama anche oggi Cràcas o Cracàsse. Di tal
guisa, quel buon uomo di Luca Antonio passa alla posterità collo scappellotto;
e sempre bisognerà sciorinare tutti questi cenci d’erudizione, per far capire
come il verso di Belli: «E in der Cracàsse la striscetta nera?»
significhi: «E la striscia nera messa per la morte del Papa nel giornale
ufficiale?» Non sarà inopportuno lo avvertire che il popolo chiamò, e chiama
tuttora, Cràcas, anche una specie d’Almanacco statistico-amministrativo,
che sotto il titolo di Notizie annuali di Roma, si cominciò a pubblicare
dalla Tipografia Cracas. —
6 Il Teatro Metastasio, che, come tutti
gli altri, si chiuse per lutto legale; quindi il popolo diceva: ha fatto moschiera,
ha fatto mosca, ossia: «ha fatto silenzio, ha taciuto.» Fate mosca,
per fate silenzio, lo dicono anche i meno idioti. Moschiera
per mosca si dice però solo in senso traslato come qui, non sempre. —
7 Al giuoco del pallone all’Anfiteatro di Corèa; ora più
spesso a Campovaccino. —
8 Coperti di gramaglia. Farajoletto
è il mantellino lungo nero, che portano i preti sopra il soprabito. —
9 Anche i trombettieri della soldatesca pontificia
avevano, per la morte del papa, una suonata funebre, a lenti e lunghi squilli,
come per imitare voci gementi e lamentevoli. A tale suonata il popolo trovò per
similitudine (Ahi! parlo, o taccio?) il suono dei peti, che diconsi
comunemente scorregge quando son rumorose, e loffe quando escono
a chetichella. —
10 Piantinaro, da piantine,
piccole piante, equivale al latino viridarium, al toscano piantonaio,
e all’umbro pàstine. Con ciò è chiarito il significato
sarcastico dell’ultima terzina: «Ogni cardinale è una certa pianta, cui per
diventare albero come fu Gregorio, non manca che di venir trapiantata sulla
sedia papale. Laonde consoliamoci della morte di Gregorio, perchè il nuovo
papa, chiunque esso sia, gli rassomiglierà perfettamente.»
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