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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XLI.

La coletta per tempo bbono!1

Eppoi se disce2 un poveromo è strano!
Ma pperché annàmo3 a cojjonà li santi?
Io, pennun dàlla4 vinta a sti bbirbanti,
Vorebbe che ppiovesse un anno sano.5

 

Mo cce 6 er zole,7 e mo la pioggia ar grano;
E tutto come vônno8 li mercanti:9
Er Padreterno, peddàggusto a ttanti,
Dovrebbe sta’ ccor Barbanera10 in mano!

 

Poi cuanno l’hann’avuta a mmodo loro,
T’appòggeno dde posta cuarche mmiffa,11
E sse vénneno12 er grano a ppeso ddoro.

 

Dunque: o è ’r Ziggnore che cce li guai
O sinnò ciarrimedia13 la tariffa,14
E un po’ dde caristia nun manca mai!

 

 

 

 

 

 




1 La collètta pel tempo buono. È noto che in tempi di soverchia pioggia o di siccità, i preti costumano questuar danaro per la celebrazione di tridui e d’altre funzioni religiose, affinché Domineddio mandi un tempo più propizio alle mêssi. —

2 Si dice che.

3 Andiamo. —

4 Darla. —

5 Intero. —

6 Ora ci vuole, ci bisogna. —

7 Il sole. —

8 Vogliono. —

9 Mercanti di campagna, traffichini del bestiame e de’ cereali. —

10 Famoso lunario. —

11 Ti sballano di botto qualche bugia: per esempio, che il grano si tarla, che la grandine ha fatto guasti, ecc. —

12 Vendono. —

13 Ci rimedia, ci ripara. —

14 La tariffa del prezzo delle grascie.




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