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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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LX.

’Na bbóna educazzione.

Fijjo, nurribbartà1 mmai tata tua;
Abbada a tte, nun te fa’ mmétte sotto;2
Si cquarchiduno te viè a ddà3 un cazzotto,
, callo callo,4 tu ddàjene dua.

 

E si ppoi quàrche porcaccio da ua5
Te sce facesse un po’ de predicotto,
Dijje:6— De ste raggione7 io me ne fótto:8
Oggnuno abbadi a li fattacci sua. —

 

Si ggiuchi un mezzo a mmorra, oppuro a bboccia,
Bevi, fijjo; e a sta ggente bbuggiarona
Nun je ne fa’ restà9 mmanco una goccia.

 

D’êssecristiano è ppuro10 cosa bbôna;
Pecquesto hai da portà ssempre in zaccoccia
L’aggnusdêo,11 er cortello e la corona.

 

 

 




1 Non ribaltare mai tuo padre: cioè, «non sottrarti mai alla sua autorità.» La metafora è tolta dal buttar giù che fa un cavallo il cavaliere, lo che dicesi comunemente, come dell’andar sossopra de’ cocchi, ribaltare, in senso attivo: per esempio il cavallo lo ha ribaltato. Potrebbe anche significare: «Non degenerar dal padre tuo; fa sempre quello che ho fatto io.» cioè quello che è detto ne’ versi seguenti. —

2 Non ti far metter sotto: non ti far soverchiare. —

3 Ti viene a dare. —

4 Caldo caldo: per , a sangue caldo. —

5 Uva. Porcaccio da ua é una frase appellativa di spregio molto usata, ma della quale, come di tante altre, sarebbe forse impossibile rintracciare l’origine, che pur ci dev’essere. —

6 Digli. —

7 Di queste ragioni. —

8 Io me ne impipo, me ne sgrullo. —

9 Non gliene far restare. —

10 Pure, anche. —

11 Agnus Dei.






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