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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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VI.

La lettra de la commare.

 (Morrovalle, 26 settembre 1831)

Cara Commare. Piazza Montanara,1
Oggi li disciannove der currente.
Ve manno a scrìve’ che sta facciamara
De vostra fijja pijjà2 un pezzente.

 

Poi ve faccio sapé che la taccara
Morze, in zalute nostra, d’accidente:
E l’arisposta so’ a pregàvve cara -
mente a dàlla alla tórre3 der presente.

 

Un passo addietro.4 Cqua la capicciola
Curre auffa,5 mannandove un zaluto
Pepparte d’Antognuccio e Luscïola.

 

Me scordavo de dìvve, si ha ppiovuto
Che sta lettra nun passà la mola,
Come, piascenno a Dio, ve dirà el muto.

 

Titta nun ha possuto;
E con un caro abbraccio resto cquane
Vostra Commare Prascita Dercane.6

 

A l’obbrigate mane
De la Signiora Carmina Bberprato,
Roccacannuccia, in casa der curato.

 

 

 




1 In piazza Montanara, presso l’antico teatro di Marcello, siedono alcuni scrivani o segretarii in servizio dei villani dello stato, che ivi si radunano particolarmente le feste ad aspettare occasioni di vendere la loro opera pelavori delle campagne romane: questi segretarii hanno certa tassa per le varie lunghezze di lettere; le più preziose delle quali sono dipinte a cuori trafitti. —

2 Sposare. —

3 Al latore. —

4 Frase usata spessissimo daglindotti, che nel discorso abbiano obliata qualche circostanza. —

5 La bavella va a vil prezzo. —

6 Placida del Cane.




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