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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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X.

Muzzio Sscevola all’ara.

 (Otricoli, 10 ottobre 1831)

Tra ssei cherubbigneri e ddupatujje,
Co’ le mano dereto manettate,
Muzzio Scevola in tonica d’istate
Annò avanti ar zoprano de le trujje.1

 

Stava Porzenno a sséde in zu le gujje2
Che sse vedeno a Arbano inarberate.
Sora mmaschera, come ve chiamate?
(Er Re jje disse), e ccosa soste bbujje?3 —.

 

Disce: — Sagra Maestà, soMmuzzio Sscèvola:
Ve volevo ammazzà; ma ppe’ ’n equivico
ho rotto un coppo in cammio d’una tevola.4

 

Ditto accusì, peariscontà er marrone,5
Cor un coraggio de sordato scivico6
Se schiaffò la mandritta in ner focone.

 

 

 

 

 




1 Sovrano della Etruria. —

2 Guglie, obelischi. —

3 Buglia, sobbuglio, chiasso. —

4 In cambio di una tegola. —

5 Per iscontar l’errore. —

6 Il sarcasmo andava a ferire la Guardia civica, formatasi in Roma durante i moti del 31, per difendere il Trono e l’Altare. Si veda a questo proposito la nota 1a al sonetto Er civico de guardia.




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