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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XIV.

La corda ar corzo.

 (21 novembre 1831)

Cqui, (e cquant’è ggranne Roma1 l’aricorda),
Propio in ner mezzo a sta ritiratella,
C’era piantato un trave e ’na girella,
Dove prima sce daveno2 la corda.

 

Sto ggiucarello era una lima sorda,
O ffussi a tratti oppuro a ccampanella,3
Che cchi ss’è intesa in petto la rotella
De le spalle, perdio, nun ze ne scorda.

 

Sia benedetto sempre er cavalletto!
Armanco mo tte n’esci con onore,
E nun ce fai li cardinali in petto.4

 

Chè ffôr de quer tantino de bbrusciore,
Un galantòmo senza stàcce5 a lletto,
annà pper fatto suo com’un ziggnore.

 

 

 

 




1 «Roma tutta intiera. La ricorda anche l’autore di questi versi, benché giovane.» Così annotava il Belli, che era nato nel 1791. —

2 Ci davano. —

3 Il tirar su e poi ricalare il paziente; senza abbandonarne il peso a stesso, come si usava ne’ tratti, da’ quali, restando il corpo sospeso e legato per le mani dietro il dorso, riceveva l’infelice dolore acutissimo e slogamento di ossa. —

4 Fare i cardinali vale «sputar sangue.» —

5 Starci.




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