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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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LX.

La cratura in fasciòla, fijjo der capitano.

 (14 giugno 1834)

Bbella cratura! E cche ccos’è? Un maschietto?
Me n’arillegro1 tanto, sora Mea.
Come se2 chiama? Ah, ccomer nonno: Andrea.
E cche ttemp’ha?… Nnun più?! Jjeso! eh a l’aspetto

 

Nun mostra un anno? Che ggran bell’idea!
Quant’è ccaruccio llì ccocquer cornetto!3
Lui mo sse penza de succhià er zucchietto,4
La sisa5 o er cucchiarin de savonea.

 

Vva’, vva’, vva’,6 ccome fissa la sorella!
Nun pare vojji dìjje7 quarche ccosa
Cocquella bbocchettuccia risarella?

 

Nun ho mmai visto un diavoletto uguale;
Dio ve lo bbenedichi, sora spósa,
E vve lo facci presto Ggenerale.

 

 

 

 

 




1 Me ne rallegro. —

2 Si. —

3 Si suole appendere al petto de’ bambini, mercè una catenella di argento, un cornetto o di pietra o di corallo, ch’eglino vanno sempre tenendosi per la bocca e biascicando. Così pure vi si aggiunge un cerchiolino di avorio, detto volgarmente la sciammella (ciambella), sul quale i bambini si arruotano le gengìe verso il tempo della dentizione. Alcune madri uniscono a tuttociò un campanelluzzo di argento. —

4 Zucchero involto e legato entro un pezzetto di pannolino. —

5 Il latte. —

6 Come dicesse: ve’, ve’, ve’. Si veda la nota 6 al sonetto Le ficcanase. —

7 Voglia dirle.




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