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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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LXII.

Lo scardìno perzo.1

 (21 giugno 1834)

Che scerchi? lo scardìno? E ffai sta spasa2
De sciafrujji,3 che ppare un arzenale?!
Quieta: lo troverai. Mica è un detale:4
Mica un scardìno è un zeppo de scerasa.5

 

Si6 ll’avevi oggi, e nun ha mmesso l’ale
Pevvolà vvia, pôi êsse7 perzuasa,
Fijja mia bbenedetta, che la casa
Annisconne e nnun rubba: eh? ddico male?

 

Io puro8 un giorno m’ero perza9 un pavolo:
E azzecca10 indóve poi me lo trovai?
In zaccoccia. Eh sse sa: rruzze der diavolo.

 

Tu ddier zarmo Cquì-àbbita,11 Lonora;12
E All’acqua de Venanzio13 vederai
Che sto scardìno tuo scapperà ffôra.

 

 

 

 

 




1 Il caldanino perduto. —

2 Questo sparpagliamento. —

3 Minutaglie confuse. —

4 Ditale: anello da cucire. —

5 Un picciuòlo di ciliegia. —

6 Se. —

7 Puoi essere. —

8 Pure. —

9 Perduta. Il participio, retto dall’ausiliare essere preceduto da particella pronominale, è accordato con la persona che fa l’azione, e non con ciò che la soffre. Così direbbesi da una donna: Io avevo perzo un pavolo. Io m’ero perza un pavolo. —

10 Indovina. —

11 Qui abitat ecc., salmo cui si attribuisce la virtù di far trovare le cose smarrite. —

12 Eleonora. —

13 «Quoniam ipse liberabit me de laqueo venantium, ecc.» versetto del suddetto salmo.




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