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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XCII.

La sabbatina.1

 (4 ottobre 1835)

Pfch:2 Mamma, oh mamma. — Ahó. — Mmamma. — Che hai?3
Pijjateme la pippa4 accapalletto,5
E sporgeteme ggiù ppuro un papetto. —
E sto papetto mo cche tte ne fai? —

 

E a vvoi che vve ne preme de sti guai?6
Voi abbadate a ffacquer che vv’ho ddetto,
E nun state a sfassciàmme er ciufoletto.7
Dimme arméno8 a cquestora indóve vai. —

 

Dove me pare. — Ah Nnino! — Oh, pprincipiamo. —
Ma ffijjo!... — Ebbè, vvado a mmaggnà la trippa. —
E ccocchi?9Cco’ li zoccoli d’Abbramo. —

 

Co’ le solite schiume galeotte. —
Ma inzomma, sto papetto co’ sta pippa? —
Eccolo. E cquanno torni? — Bbôna notte.10

 

 

 

 




1 La sabbatina è quel vegliare la sera del sabato, onde poi mangiar cibi vietati passata che sia mezzanotte. —

2 Segno fonetico di quel fischio acuto e gutturale, che si fa mettendo in bocca il dito indice ripiegato su stesso. —

3 Che vuoi? —

4 Pipa. —

5 A capo del letto. —

6 Di queste cure. —

7 Non istate a rompermi le scatole. —

8 Dimmi almeno. —

9 E con chi? —

10 Questa risposta va pronunziata allungando le sillabe, quasi canterellando.




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