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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XCV.

L’urtimo bbicchiere.

 (5 novembre 1835)

Dunque la fin der pranzo nu’ la sai?
Un po’ ppiù sse1 pijjàveno a cazzotti.
Pena mezza parola se sorotti,2
Che gguai a llui si cciaritorna,3 guai!

 

, — strillava er padrone, — , mmai, mai:
Caluggne de vojantri patriotti:4
Li Dottori sostati ommini dotti,
E san Tomasso j’è obbrigato assai. —

 

E cquello risponneva: —Eh ssa, siggnore,
Abbadi come parla. Io nun zo5 aretico,
Ma ppoteva sbajjà ppuro6 un dottore. —

 

— Che? — rrepricava l’antro;7ggnente, ggnente:
Lei, siggnore, è un gismatico, è un asscetico,
Un uteràno marcio, un biscredente.8

 

 

 

 

 




1 Si. —

2 Si sono rotti tanto, che ecc. —

3 Se ci ritorna. —

4 Di voi altri settari. —

5 Non sono. —

6 Pure. —

7 L’altro. —

8 Scismatico, scettico, luterano, miscredente.




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