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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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CXIV.

Li dilettanti del lotto.

 (25 febbraio 1837)

C’hai ggiucato? — Ottantuno pe ssiconno.1
Bbôno: me piasce. Io sce ll’ho ddrent’a un terno
E a ’n ambo; e pprima che ffinischi inverno,
Nun c’è ccaso, ha da usscì, ccascassi er monno.2

 

La figura de nove, sor Rimonno,
Ha da fa’ stanno sospirà er governo.
Vedi ch’er ventisette lo chiudérno3
PeFfiorenza, e ppeRroma l’arivônno?4

 

Te sbajji,5 Checco6 mio: quello è er zimpatico
De l’antranno: pecquesto è er discidotto.
De ste regole cqui ssei poco pratico. —

 

Bbè, è ffigura de nove quello puro.7
E in tutta la seguenza, o ssopra o sotto,
Pessei mesi sc’è er nummero sicuro.

 

 

 

 

 




1 Per secondo estratto. —

2 Cascasse il mondo. —

3 Lo chiusero. Quando le poste raccolte sopra un numero, o un ambo, o un terno qualunque superano una certa mèta prestabilita, il di più vien restituito ai giuocatori, annullandone i giuochi; e allora dicesi essere chiuso il numero ecc. —

4 Lo rivogliono per l’estrazione di Roma. —

5 Ti sbagli per sbagli. —

6 Francesco. —

7 Pure.




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